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La legge n.133/2008

CAPITOLO II: L’attuazione della direttiva 1999/70/CE in Italia

3. I successivi interventi di riforma

3.2. La legge n.133/2008

Il legislatore è intervenuto nuovamente a modificare il decreto n.368/2001 con il d.l. n.122/2008, convertito nella legge n.133 del 5 agosto 2008.

La prima modifica ha riguardato l’articolo 1 che disciplina i casi in cui può essere apposto il termine al contratto di lavoro: l’art.21 della legge in esame, al primo comma, aggiunge alla formulazione originale, ovvero “È

73 G. Proia - M. Persiani (a cura di), La nuova disciplina del Welfare, Commentario alla

legge 24 dicembre 2007, n. 247, Padova, Cedam, 2008.

74 M. Cinelli - G. Ferraro, Lavoro, competitività, welfare, Commentario alla legge 24

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consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” le parole “anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”.

La novella utilizza un inciso già presente nella disciplina del contratto di somministrazione a tempo determinato, in cui si ritrova il concetto di esigenze di carattere tecnico, organizzativo e produttivo riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore (art. 20, d.lgs. n.276/2003) e interviene su uno dei punti più controversi della disciplina contenuta nel d.lgs. n.368/2001, cioè la natura straordinaria oppure ordinaria delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo che giustificano il ricorso al contratto a termine.

Muovendosi in una prospettiva opposta rispetto a quella che ha segnato la legge n.247/2007, il legislatore arriva a stabilire che costituisce valido presupposto che legittima l’apposizione del termine qualsiasi ragione oggettiva non arbitraria che renda preferibile in concreto nell’organizzazione aziendale il contratto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato. In tal modo viene derogato, ed è questa la vera novità, il carattere di eccezionalità e straordinarietà che la giurisprudenza del lavoro aveva posto come condizione indispensabile affinché il contratto a termine fosse genuino e non costituisse l'espediente per eludere il lavoro a tempo indeterminato.

La suddetta precisazione, correlata con l’ampia formula di base che sostanzialmente comprende tutte le possibili esigenze aziendali, sembra consentire un ampio impiego del contratto a termine con esclusione delle sole ragioni meramente soggettive o per meglio dire di quelle che hanno una valenza illecita, frodatoria o discriminatoria75.

75 G. Ferraro, Ancora sul contratto a tempo determinato, in M. Cinelli - G. Ferraro (a cura

di), Lavoro, competitività, welfare. Dal d. l. n. 112/2008 alla riforma del lavoro pubblico, Torino, Giappichelli, 2009.

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Nel corso dell’esame in sede referente, con l’em. 5.10, è stato aggiunto all’articolo in esame il comma 1 bis, che prevede l’introduzione nel d.lgs. n.368/2001 dell’articolo 4 bis, che, in caso di violazione delle norme del medesimo decreto legislativo che disciplinano la possibilità e le modalità di apposizione del termine nonché la proroga del contratto a termine (articoli 1, 2 e 4), pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di indennizzare il lavoratore con un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. Inoltre, introducendo l’articolo 4 ter al d.lgs. n.368/2001, si precisa che, salvo nei casi di sentenze passate in giudicato, le disposizioni di cui al menzionato articolo 4 bis devono essere applicate “anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”.

E’ bene ricordare come, in via ordinaria, in caso di illegittimità di apposizione del termine, il rapporto si considera a tempo indeterminato e il lavoratore ha diritto al ripristino del rapporto di lavoro con il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla messa a disposizione sino alla effettiva riammissione in servizio.

Con la nuova norma, per le cause pendenti alla data di entrata in vigore della legge n.133/08, in caso di accertata illegittimità di apposizione del termine, il lavoratore ha diritto al pagamento dell’indennità prevista per il risarcimento in materia di licenziamenti illegittimi in aziende con occupazione inferiore ai sedici dipendenti per unità produttiva o 60 complessivamente, secondo le disposizioni della legge n.604/1966, come integrata e modificata dalla legge n.108/1990.

La ratio che sottende alla riforma non è certo imperscrutabile: paralizzare il contenzioso in corso di migliaia di lavoratori precari che legittimamente si attendevano di veder convertito il loro rapporto a termine, illegittimamente a termine, in rapporto a tempo indeterminato.

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La norma, apparsa da subito in aperto contrasto coi dettami costituzionali di cui all’art.3 Cost., nonché con quelli comunitari, è stata immediatamente oggetto di critiche. Il giudice di merito che è stato chiamato a decidere sulle cause pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge 133/08, o non ha applicato la disposizione per essere la stessa in contrasto con i principi comunitari, oppure ha sollevato la questione di legittimità costituzionale: così hanno fatto le Corti di Appello di Bari (22/9/08), Torino (2/10/08), Roma (21/10/08) e Genova (26/9/08), e i Tribunali di Ascoli (30/9/08), Roma (26/9/08), Rossano (17/11/2008), Foggia (22/12/08) e Trieste (15/10/08).

La Corte Costituzione, intervenuta con la decisione n.214/2009, ha stabilito l’illegittimità costituzione della predetta disposizione poiché situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro, erogazione di una modesta indennità economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch'essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore della legge). Siffatta discriminazione è priva di ragionevolezza, né è collegata alla necessità di accompagnare il passaggio da un certo regime normativo ad un altro. Infatti l'intervento del legislatore non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l'apposizione del termine o per la proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro.

Un ulteriore intervento apportato dalla legge n.133/2008 riguarda la possibilità assegnata alla contrattazione collettiva di derogare a due norme

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introdotte con la legge n.247/2007: il tetto dei 36 mesi di cui all’art.5, comma 4 bis, e il diritto di precedenza ex art.5, comma 4 quater. Grazie all’aggiunta in entrambe le disposizioni dell’inciso “fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” viene infatti dato nuovo respiro alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello.