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Il contributo dell’antropologia culturale

Nel documento Le Mutilazioni Genitali Femminili (pagine 33-0)

CAPITOLO 6 Tra il rispetto dei diritti umani e il rispetto delle diverse identità culturali

6.2 Il contributo dell’antropologia culturale

In un contesto di impegno per abolire le mutilazioni genitali femminili, gli studi antropologici compiuti negli ultimi anni hanno messo in luce come72:

1) Ai fini di una più efficace organizzazione della campagna abolizionista, è necessario abbandonare gli atteggiamenti etnocentrici e adottare invece un approccio multidisciplinare che consenta di comprendere il contesto socio-culturale, economico e di relazioni di genere in cui la pratica delle MGF avviene, evitando inoltre di cadere nell’errore di considerare che convinzioni culturali interiorizzate fin dall’infanzia siano facili da eliminare.

Una donna che ha subito una mutilazione genitale conosce sulla sua pelle il dolore che si prova, ma sa anche che quello è ciò che la sua cultura, la sua comunità, la sua famiglia le chiedono e probabilmente continueranno a chiedere alle donne future.

2) Nessun cambiamento è possibile senza la partecipazione delle donne africane. Infatti qualunque campagna di sensibilizzazione che non coinvolga le dirette interessate verrebbe percepita dalle popolazioni cui si indirizza il proprio messaggio come un’indebita ingerenza da parte degli occidentali interessati a colpire l’identità culturale altrui per affermare la propria.

3) Per riuscire almeno a ridurre il seguito di tali pratiche, c’è bisogno di una strategia fondata sull’educazione, il dialogo e la crescita comune, che non si limiti ad interventi di natura legislativa, che di per sé non portano ad un gran risultato se non a quello di accrescere l’ostilità reciproca e, conseguentemente, inasprire la difesa della propria identità da parte delle comunità in cui la pratica delle MGF è in uso. Alla Conferenza sulle mutilazioni genitali femminili tenutasi a Il Cairo nel 2003 diverse leaders politiche africane, tra cui la first lady egiziana Suzanne Mubarak, hanno ribadito che proibire, senza una campagna di sensibilizzazione e di educazione, non basta. In molti paesi africani esistono già norme penali e civili che puniscono chi pratica le mutilazioni ma, sebbene necessarie, spesso da sole sono inutili dal momento che tutto continua ad avvenire in clandestinità. Infatti,

72 BILOTTI, Edvige, op. cit.

specialmente lontano dalle grandi città, le leggi dello Stato non riescono a reggere il confronto con le pressioni esercitate dai genitori, dai capi del villaggio e dai dignitari religiosi. Se poi si considerano i tentativi di abolire le MFG attraverso la legge in periodo coloniale, si vedrà che essi vennero interpretati come un’intromissione di ordine imperialistico, portando tale pratica a divenire simbolo di resistenza all’influenza straniera.

La condanna di operazioni lesive dell’integrità psicofisica della donna è ormai diffusamente riconosciuta come un’esigenza morale primaria e indiscutibile, ma gli appelli in tal senso e ancor più i divieti risultano sterili se non si comprendono le logiche e le implicazioni socio-culturali di queste pratiche, così come le idee e le rappresentazioni che le accompagnano.

Il contributo che l’antropologia può fornire è proprio quello di aiutare a capire il punto di vista dell’altro per mettere in atto interventi pensati in una prospettiva interculturale, fondati sul dialogo piuttosto che su un’acculturazione forzata attraverso l’imposizione di propri codici di comportamento73.

E’ dunque necessario elaborare una strategia d’azione più complessa che consenta di avviare un processo di trasformazione sociale. Nel tentativo di delinearla, sono di seguito indicate alcune tappe imprescindibili74:

• Compiere ricerche preliminari a carattere psicologico e socio-antropologico per contestualizzare la pratica delle MGF.

• Informare le comunità locali dei danni psicologici, sociali e fisici causati da tale pratica, attraverso i consultori familiari, le scuole, le unità sanitarie e mediche, ecc…

• Organizzare campagne nazionali di sensibilizzazione facendo ricorso ai mass media e coinvolgendo i leaders religiosi, nel rispetto delle diverse sensibilità culturali.

• Predisporre programmi formativi sul tema delle MGF rivolti agli operatori in campo sociale e sanitario che hanno quotidianamente a che fare con potenziali soggetti a rischio.

• Implementare il sistema educativo, diffondendo l’istruzione femminile come mezzo alternativo per raggiungere l’autoidentità e includendo nei programmi scolastici l’illustrazione dei danni provocati dagli interventi di mutilazione.

• Offrire possibilità d’impiego alternative a quelle donne di età avanzata che praticano gli interventi di escissione come loro unica fonte di reddito.

73 FUSASCHI, Michela, op. cit.

74 Rapporto del Minority Rights Group, op. cit.

• Sostenere le associazioni e le ONG da tempo impegnate su questo tema, favorendo un loro coordinamento e prestando particolare attenzione al ruolo che possono ricoprire le organizzazioni femminili locali.

• Estendere al tema delle MGF le informazioni fornite nei programmi di assistenza sanitaria alle donne incinte e a coloro che sono già madri.

Bisogna poi considerare che una campagna volta a sradicare il fenomeno delle MGF deve rivolgersi soprattutto alle donne: sono infatti loro le depositarie di questa tradizione; coloro che, in quanto custodi della moralità delle proprie figlie, hanno un particolare interesse a preservare l’onestà e la

“purezza” di quest’ultime.

Solo in tale contesto una legislazione che vieti le mutilazioni genitali femminili può sortire gli effetti desiderati, minando il consenso su cui si basa la legittimazione di qualsivoglia tradizione, rito o pratica culturale. La cultura infatti non è una realtà immutabile, ma un flusso in costante movimento, perciò le persone possono modificare i propri comportamenti quando si rendono conto della loro dannosità e comprendono che è possibile abbandonare pratiche tradizionali violente senza intaccare gli aspetti significativi della loro cultura75.

75 Rapporto del Minority Rights Group, op. cit.

CAPITOLO 7

La posizione delle donne e le pressioni sociali

E’ il 1980 quando a Copenaghen, durante i lavori della prima Conferenza ONU sulla Donna, un gruppo di donne africane taccia le femministe occidentali di imposizione culturale in riferimento alla campagna da loro intrapresa contro le mutilazioni genitali femminili.

Cinque anni dopo, a Nairobi, la terza Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulla Donna non riuscì, ancora una volta, a prendere alcuna decisione sul tema delle MGF, per il fatto che molte donne islamiche dichiararono la superiorità della propria identità religiosa ed etnica sulla loro salute fisica.

Sono passati una ventina d’anni da allora e le posizioni in seno alla società africana hanno subito notevoli trasformazioni. Eppure la circoncisione femminile e l’infibulazione continuano ad essere diffuse e l’opposizione alle mutilazioni genitali femminili è relativamente forte solo nella Repubblica Centrale Africana e in Eritrea.

La motivazione più frequente nell’interpretare il protrarsi di tali pratiche è che così è sempre stato e così inevitabilmente sempre sarà: molte donne non hanno nemmeno mai preso in considerazione l’ipotesi che questa tradizione di lunga data possa cessare di tramandarsi di generazione in generazione. Ovviamente non si può pensare che una madre sia capace di imporre una sofferenza così grande alla propria figlia per puro piacere o per pura vendetta, avendola a suo tempo subita; è più plausibile che ciò avvenga in buona fede, nel convincimento che sia per il bene della figlia, perché possa trovare un buon marito ed essere rispettata dalla propria comunità76. La volontà di salvaguardare l’accettazione da parte della comunità fa sì che, anche tra coloro che si oppongono alle mutilazioni genitali femminili, vi siano donne che decidono di far circoncidere le proprie figlie, in seguito alle forti pressioni sociali o all’influenza dei membri più anziani della famiglia. Si registrano addirittura casi di bambine i cui genitori si rifiutano di sottoporle all’asportazione di parte del loro apparato genitale e, ciononostante, subiscono tale intervento per opera delle loro nonne, che approfittano dei momenti in cui i genitori non sono presenti77.

Bisogna considerare che ci troviamo di fronte ad un contesto in cui è diffusa l’idea che una ragazza non circoncisa sia inaccettabile e non sarà mai chiesta in matrimonio, che rappresenta il solo mezzo a disposizione di una donna per assicurarsi un futuro. In effetti, sebbene oggi si registri un cambiamento di tendenza, non sono rari i casi di uomini che si sono rifiutati di sposare una donna

76 ALESSANDRINI, Viviana, Oltre i diritti umani: la questione della mutilazione genitale femminile e il concetto di crimine culturale. Articolo tratto dalla Rivista Giuridica on line “Diritto&Diritti” (www.diritto.it)

77 EL DAREER, Asma, op. cit.

non circoncisa o che hanno chiesto alla propria moglie di sottoporsi a tale intervento minacciando, in caso contrario, la separazione. Ciò spiega perché in molti casi le donne siano le più convinte sostenitrici della pratica e perché le sofferenze ed il rischio di gravi infezioni siano spesso ritenuti preferibili alla condizione di reietta non circoncisa78. Per loro è meglio perdere la propria sessualità piuttosto che i privilegi a cui possono accedere solo se si conformano alle regole della società in cui vivono.

Le bambine e le donne non escisse vengono denigrate, emarginate, escluse dalla vita sociale della propria tribù, fino a venire spregevolmente etichettate come “bikaloro” (insulto che significa “prive di maturità”) o appellate con epiteti del tipo: “dissolute”, “imitatrici della cultura occidentale”, ecc…. Agli occhi della comunità esse non sono vere donne, sono considerate impure e sessualmente permissive. Dal momento poi che, secondo la tradizione, le MGF sono un segno di attenzione e cura della famiglia nei confronti della bambina, una donna non escissa si ritiene che sia stata una bambina di cui nessuno si è preso cura. Conseguentemente, le ragazze che rifiutano l’escissione sono accusate di disonorare la famiglia e occupano un rango inferiore nella società79.

Malgrado i rischi cui vanno incontro, sono sempre più le donne che decidono di rompere il silenzio, si impegnano per sradicare la pratica delle MGF e si oppongono all’idea di far subire alle proprie figlie quello che hanno subito loro. In tal senso si può parlare di un vero e proprio mutamento culturale in corso nella società africana80. È possibile che, nel momento in cui un numero sufficiente di donne sarà disposto a rinunciare alla pratica, anche le altre famiglie progressivamente vi rinunceranno in maniera spontanea.

Alcune ricerche hanno dimostrato come esista una diretta correlazione tra il grado di opposizione delle donne ai vari tipi di mutilazione genitale e tre fattori: la loro età, il loro livello d’istruzione e il fatto di risiedere in zone urbane o rurali. Com’è facile prevedere, l’opposizione a queste pratiche - quanto meno nelle loro forme più violente - tende a prevalere tra le donne più giovani, con un livello d’istruzione più elevato e risiedenti nelle aree urbane. La consapevolezza raggiunta dalle nuove e più istruite generazioni in merito alla dannosità della circoncisione femminile lascia dunque ben sperare circa la possibilità che lentamente tale pratica venga abbandonata81.

Fondamentale sarà anche il ruolo giocato dagli uomini, i quali si sono storicamente trincerati dietro un’interpretazione secondo la quale le MGF sarebbero una questione che avrebbe a che fare solo con le donne e il loro mondo82. Difficilmente però una madre rinuncerà ad assicurare un futuro alla propria figlia, fintanto che gli uomini rifiuteranno di sposare donne non circoncise. Essi inoltre

78 BILOTTI, Edvige, op. cit.

79 EL DAREER, Asma, op. cit.

80 Rapporto del Minority Rights Group, op. cit.

81 EL DAREER, Asma, ibidem.

82 FUSASCHI, Michela, op. cit.

dovrebbero farsi veicolo delle informazioni apprese circa i rischi connessi con la pratica delle MGF, avendo più facile accesso delle donne alle fonti d’informazione e all’istruzione scolastica83.

83 ALESSANDRINI, Viviana, art. cit.

CAPITOLO 8

L’impegno politico per sradicare la pratica delle MGF

8.1 Esistono dei diritti umani universalmente riconosciuti?

Norberto Bobbio ha definito il ‘900 l’età dei diritti, il secolo in cui il linguaggio dei diritti umani ha conosciuto un’espansione senza pari, trovando una sanzione ufficiale a partire dalla Dichiarazione Universale del 194884.

Si definiscono “diritti umani” quei diritti inalienabili che spettano a tutti gli esseri umani e dunque non dipendono dalle leggi dei singoli Stati ma dalla stessa appartenenza al genere umano. Il genere umano tuttavia è composto da uomini e donne uguali nei diritti, pertanto sarebbe preferibile parlare non di “diritti dell’uomo”, ma di “diritti della persona”.

Eppure solo a metà degli anni ’90, con la Conferenza di Vienna del ’93 e la Conferenza di Pechino del ’95, si è arrivati a dichiarare ufficialmente che i diritti delle donne e delle bambine sono parte integrante e indivisibile dei diritti umani. Ci è voluto insomma quasi mezzo secolo per affermare un punto di vista di genere nel dibattito sui diritti umani, che oggi ci spinge a domandarci se le mutilazioni genitali femminili costituiscano o meno una violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine85.

Dal momento che la formulazione della teoria dei diritti umani è avvenuta in Occidente (nel ’48 l’intera Africa e gran parte dell’Asia erano rappresentate in sede ONU dalle potenze coloniali), la concezione della persona umana che vi soggiace non può che rispecchiare le assunzioni politico-filosofiche dell’individualismo occidentale.

La compatibilità dei valori espressi negli strumenti di diritto internazionale con i contesti culturali extra-europei risulta dunque alquanto problematica. Bisogna infatti considerare che esistono una serie di valori profondamente radicati nelle società africane ed asiatiche che non trovano spazio nei documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani.

E’ necessario domandarsi se certe assunzioni intorno alla persona umana siano comprensibili all’interno di tradizioni culturali diverse da quella occidentale e sulla possibilità che i valori enunciati dalla teoria dei diritti umani siano riconosciuti come tali anche al di fuori dell’Occidente.

Solo se si accetta l’idea che le culture extra-occidentali si servano del diritto appropriandosene in maniera creativa, tale strumento potrà operare come un potente vettore di dialogo interculturale. La legittimità e la coerenza di qualunque apparato normativo infatti, non può essere valutata prescindendo dal contesto culturale e sociale in cui esso è immerso.

84 Leonardo Marche, “L’antropologia dei diritti umani”.

85 Tratto dal Sito Web Aidos (www.dirittiumani.donne.aidos.it).

Il vero problema è l’incapacità di molti americani ed europei di guardare alla propria cultura come ad una tra le altre; sbaglia tra loro chi ritiene che gli altri popoli debbano abbandonare il proprio sistema di valori tradizionale per abbracciare i “principi universali della modernità”.

Quello dell’universalizzazione dei diritti è un problema di comunicazione interculturale, ovvero delle modalità con le quali è possibile arrivare ad una comprensione di concetti e valori estranei al proprio sistema culturale. Ciò di cui si ha bisogno insomma, è un approccio antropologico che consenta di aprirsi all’alterità e di trovare nel proprio linguaggio le risorse per capire i fenomeni legati alle diverse culture senza imporre su di essi i propri pregiudizi. Chiunque voglia approcciarsi al tema delle mutilazioni genitali femminili non può non tenere conto di queste considerazioni.

8.2 Gli strumenti legali internazionali86 e il ruolo delle ONG

Il diritto internazionale a partire dal secondo dopoguerra si è a più riprese occupato, direttamente o indirettamente, delle mutilazioni genitali femminili. 87

Seguendo un percorso cronologico, non si può non partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la quale contiene ben cinque articoli che potrebbero costituire una valida base per condannare la pratica delle MGF:

• Art. 2, sulla discriminazione.

• Art. 3, sul diritto alla sicurezza della persona.

• Art. 5, sui trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

• Art. 12, sul diritto alla privacy.

• Art. 25, sul diritto ad un minimo standard di vita e alla protezione della maternità e dell’infanzia.

Dopo un lungo silenzio, il tema delle MGF si impone nell’agenda della politica internazionale nel 1979, anno che vede la firma della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW).88

Passi avanti sono stati compiuti in occasione del seminario organizzato dall’Organizzazione Mondiale della sanità a Khartoum (Sudan) nello stesso anno, e della già citata Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne tenutasi a Copenaghen.

86 D’Angelo Gabriella, op. cit.

87 A titolo d’esempio si può citare l’articolo 4 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1993: “States should not invoke any custom, tradition or religious consideration to avoid their obligation to eliminate violence against women”.

88 Gli Stati si impegnano a “prendere ogni misura adeguata al fine di modificare gli schemi e i modelli di

comportamento socio-culturale degli uomini e delle donne e giungere all’eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne”.

Un ulteriore contributo è arrivato dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989, che all’articolo 24 afferma: “Gli stati parte devono prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali che possono risultare pregiudizievoli alla salute dei minori”.

Nel 1994 Il Cairo ospita la Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, la cui dichiarazione finale ha sollecitamente invitato i governi a proibire le MGF attraverso dei provvedimenti legislativi.

L’anno seguente una nuova Conferenza ONU sulle donne si tenne a Pechino e in questa occasione si è chiaramente affermato il primato del rispetto per l’integrità fisica del corpo umano, equiparando in modo inequivocabile le mutilazioni genitali alle altre forme di violenza sessuale89.

Nel 1997 infine, l’OMS, l’UNICEF e il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) hanno prodotto una dichiarazione congiunta, con la quale hanno condannato le MGF come una

“violazione di diritti umani fondamentali”.90

I progressi compiuti a livello internazionale sul tema delle MGF sono in gran parte dovuti all’attivismo di Organizzazioni Non Governative (ONG) che a lungo si sono battute per portare al centro dell’attenzione questa tematica, facendola uscire dall’oblio in cui è stata per anni relegata.

Un gran numero di paesi africani dove la pratica delle MGF è in uso è rappresentato presso il Comitato Inter-Africano sulle pratiche tradizionali che danneggiano la salute di donne e bambini (IAC), costituitosi nel 1984 a Dakar per coordinare le attività delle ONG nazionali africane.

Nel settembre 1997 l’IAC ha tenuto un incontro presso il quartier generale dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU) ad Addis Abeba (Etiopia), nel quale si è avanzata la richiesta ai governi africani di adottare misure concrete per sradicare o ridurre drasticamente entro il 2005 il seguito dell’infibulazione e delle diverse pratiche mutilatorie – rinnovata due anni dopo nella Dichiarazione di Ougadougou.

Tra le ONG internazionali che si battono contro queste pratiche, si ricordano Minority Rights Group, Research Action Information Network for Bodily integrity Of Women (RAINBO), Equality Now, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo (AIDOS), Amnesty International, ecc…91

89 Tratto dall’articolo “C’è chi dice no” di Alessandra Garusi, disponibile sul Sito Web Nigrizia.it (www.nigrizia.it).

90 Hanno inoltre sostenuto che “…è inaccettabile che la comunità internazionale resti passiva in nome di una visione distorta del multiculturalismo”.

91 Queste ed altre organizzazioni hanno fornito contributi enormi nel campo della ricerca, hanno fornito supporto logistico e finanziario alle iniziative compiute sul territorio, hanno esercitato pressioni a livello governativo e intergovernativo ed hanno organizzato una mobilitazione internazionale sul tema. Tutte hanno collocato la questione delle MGF in un contesto di discriminazione e violenza contro donne e bambine e di negazione dei loro diritti fondamentali sociali, economici, civili e politici.

L’obiettivo di queste ONG è quello di contribuire al lavoro già avviato dai movimenti delle donne africane, dando loro la possibilità di farsi sentire al di fuori dei contesti nazionali, nella speranza che questo possa aiutarli a trovare i sostegni materiali, sociali, politici e culturali necessari per sviluppare i loro progetti .

8.3 La campagna “STOP FGM!”92

“STOP Female Genital Mutilations!” è una campagna internazionale che ha l’obiettivo di contribuire alla costruzione e al consolidamento della partnership tra le organizzazioni africane ed internazionali che lottano per l’eradicazione delle MGF, spingendo inoltre l’opinione pubblica africana ed araba a guardare con favore all’abbandono di tale pratica.

Questa campagna è stata concepita ed è condotta da due organizzazioni non governative: l’AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) e Non c’è Pace Senza Giustizia (NPWJ), un’associazione affiliata al Partito Radicale Transnazionale, con la collaborazione di otto ONG africane.

La campagna “STOP FGM!” è stata lanciata simbolicamente il 10 dicembre 2002, anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, durante una Conferenza internazionale presso il Parlamento Europeo a Bruxelles aperta da Emma Bonino, ex commissario europeo, ora

La campagna “STOP FGM!” è stata lanciata simbolicamente il 10 dicembre 2002, anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, durante una Conferenza internazionale presso il Parlamento Europeo a Bruxelles aperta da Emma Bonino, ex commissario europeo, ora

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