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Il contributo dell’antropologia

III PARTE: IDENTITÀ CULTURALE

7. IL CONCETTO DI IDENTITÀ

7.1 Il contributo dell’antropologia

Lo spirito di fondo dell’antropologia riguardo la concezione dell’identità tende a distaccarsi dal paradigma della filosofia classica, alla quale spesso si ricorre per dare un primo inquadramento alle questioni, il quale aveva reso equivalenti i concetti di identità ed essenza. L’identità, al pari dell’essenza, era stata considerata come qualcosa di stabile e fisso, dunque si riteneva fosse sottratta ad ogni forma di mutamento oltreché al divenire. La filosofia antica, concentrata sull’opposizione essere-non essere e costantemente attratta dal rigore logico-formale, chiusa nei propri schematici orizzonti, ad oggi non è in grado di competere con la proposta avanzata dall’antropologia, la quale è per definizione attenta e sensibile alle varie forme di vita e di umanità che tanto diverse si impongono di fronte ai nostri occhi.

L’antropologia odierna ha completamente abbandonato la visione essenzialista e fissista dell’identità, in favore di una concezione che tende invece a definire quest’ultima come un costrutto. L’identità culturale non è data e/o innata, ma si costruisce a seconda dello spazio e del tempo nei quali gli individui sono inseriti. L’individuo si forma in base al contesto sociale e culturale nel quale si trova a vivere; l’uomo è plasmato in maniera determinante dall’ambiente che lo circonda e dalle relazioni sociali che in esso intrattiene. Se Aristotele asseriva che l’uomo è un animale sociale intendendo con ciò il fatto che l’individuo non può realizzarsi al di fuori di un contesto relazionale, l’antropologia spinge all’estremo questo pensiero, affermando che l’ambiente sociale condiziona e modella l’uomo nel suo profondo. Annullare i condizionamenti sociali è difficile se non addirittura impossibile; da ciò consegue il fatto che l’identità, dal punto di vista antropologico, non è altro che un prodotto sociale, frutto di un patto o di una convenzione.

Se in una prospettiva filosofica al ricercatore spettava il compito di attestare quell’identità che in linea teorica era già data e disponibile, ora, secondo una prospettiva antropologica, il compito del ricercatore è piuttosto quello di decostruire il processo di costruzione dell’identità e di indagare, attraverso un ragionamento di causa-effetto, a quali influenze sociali corrispondono le varie caratteristiche e sfaccettature identitarie dei soggetti analizzati.

109 In tutto ciò sembra che all’individuo, vero focus dell’analisi, non siano date né rilevanza né voce in capitolo. Ovvero sembra che la sua identità sia semplicemente in balia delle correnti e delle influenze esterne. Sembra che l’individuo subisca in maniera passiva caratteristiche ed etichette provenienti dal mondo esterno.

Eppure, nella definizione della propria identità, non solo personale, ma anche culturale, oltre che religiosa, politica, ecc., l’individuo gioca un ruolo essenziale. Attraverso decisioni e rifiuti, egli esercita appieno la propria facoltà di scelta, risultando allora, coautore della propria identità, assieme agli inevitabili condizionamenti esterni. Avere chiara a se stessi la propria identità è un’esigenza naturale, e nessuno vorrebbe sottrarsi alla possibilità di scegliere ciò che è meglio per sé.

Rimanendo nell’ambito dell’antropologia, ma spostandoci nell’analisi del concetto di identità collettiva, interessanti sono le considerazioni dello studioso Francesco Remotti. In “Contro l’identità” 113 egli afferma che l’identità è una finzione, una maschera che si indossa per legittimare e nutrire il proprio gruppo sociale al fine di renderlo più forte nel momento dell’incontro o dell’opposizione con gruppi sociali diversi. In “Ossessione identitaria” 114 Remotti approfondisce la questione definendo l’identità collettiva come uno sforzo immaginativo. Egli suggerisce di prendere con le pinze tale concetto e di evitare di usarlo, come spesso fanno molti antropologi, con troppa disinvoltura. A sua detta, infatti, l’identitarismo potrebbe essere considerato equivalente al razzismo. Entrambi gli approcci trarrebbero infatti origine dal rifiuto verso le risorse e le possibilità garantite dalla conoscenza dell’alterità e dal confronto con essa.

Il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman riteneva che il mondo contemporaneo fosse caratterizzato dalla categoria della liquidità115. Tale mondo non

riuscirebbe a ravvicinare tra loro gli individui con fedeltà sotto la stessa bandiera. Offrendo sempre nuove opportunità, nuove possibilità di associazione, tenderebbe piuttosto a creare e disgregare di continuo i vari gruppi sociali, a seconda della bandiera di turno che meglio cavalca il vento. Un processo del genere non può che essere stato inevitabile. Tra le varie conseguenze di un mondo realmente globalizzato, soprattutto

113 Francesco Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 2007 114 Francesco Remotti, Ossessione identitaria, Laterza, Roma-Bari 2010 115 Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2011

110 dal punto di vista delle conoscenze, delle comunicazioni e dei trasporti, vi è senza dubbio anche questa: gli individui hanno maggiori possibilità per conoscere le varie strade da intraprendere e i modelli da inseguire. Ciò detto, risulta evidente la facilità con la quale si può anche scegliere chi e come essere. Ed al “voler essere” non ci sono limitazioni!

Per quanto riguarda la propria scelta identitaria, l’individuo occidentale ad oggi non ha dunque costrizioni e può spingersi ad aderire ai modelli ed ai percorsi più diversi, consapevolmente o meno. Anche in questo caso, ma questa volta con un significato leggermente diverso e forse più positivo, l’identità può essere considerata, riprendendo Remotti, come una finzione. Finzione che non deve però essere intesa come sinonimo di falsità. Se quest’ultima parola è carica di negatività ed è accostabile ad un qualcosa che trae in inganno, la parola finzione sta semplicemente ad indicare l’artificialità intrinseca al processo di costruzione dell’identità. Se con “artificiale” ci si riferisce per definizione a ciò che può essere ottenuto attraverso le attività umane, considerare tale l’identità altro non significa che sottolineare il fatto che ciascuno è chiamato in prima persona a costruire ed inventare il proprio essere.

Risulta allora nuovamente ribadita, ai fini della costruzione di sé, l’importanza della scelta individuale; la quale deve pur sempre essere considerata in relazione alle influenze ed ai condizionamenti provenienti dall’ambiente esterno. Un ambiente quest’ultimo, che al giorno d’oggi è più condizionante che mai, tant’è vero che Bauman giunge a parlare di identità multiple; con questo aggettivo egli si riferisce alle infinite possibilità che ad oggi abbiamo di entrare in contatto e di conoscere esaurientemente altre culture, altre ideologie, altre espressioni di vita, le quali essendo in grado di farci assorbire alcune loro peculiarità, finiscono per renderci a nostra volta, anche se in piccole dosi, loro rappresentanti.

Ne consegue quello che può sembrare un marasma generale, nel quale si può provare un sincero amor di patria pur auspicando alla buona tenuta dell’Unione Europea, nel quale ci si può legittimamente sentire tanto italiani quanto francesi. Un marasma che nel suo disordine in realtà è ben strutturato, perché a rigor di logica, la molteplicità non comporta affatto la contraddittorietà. Dunque, a diversi e vari stimoli si può rispondere con l’adottare alcune pratiche che da essi dipendono, senza cadere necessariamente in contraddizione con se stessi.

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