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Il coordinamento internazionale nella determinazione del giudice competente

La divaricazione tra giurisdizione e legge applicabile che deriva dalle considerazioni svolte nel paragrafo precedente può però comportare che giudici di Stati diversi possano ritenersi competenti in relazione ad uno stesso trust, e che nell’esame delle medesime questioni essi pervengano a soluzioni contrastanti. Ad esempio può accadere che un trustee ottenga da uno dei giudici che si ritengano competenti l’autorizzazione per il compimento di talune transazioni commerciali mentre un altro foro vieti le medesime, oppure, portando a conseguenze estreme tale assunto, potrebbe accadere che in una certa sede un giudice disponga la rimozione del fiduciario mentre in un’altra si ritenga che i motivi addotti dal beneficiario non appaiano sufficienti per adottare un simile provvedimento. Una simile evenienza potrebbe ricorrere quando i vari elementi del rapporto (domicilio dei partecipanti, sede dell’amministrazione e luogo di situazione dei

118Come vedremo, qualora la competenza giurisdizionale spetti al giudice italiano sulla base dei criteri di giurisdizione che individueremo, in talune questioni concernenti la gestione del rapporto le funzioni giudiziarie saranno espletate nella forma della giurisdizione volontaria.

89 beni) siano localizzati in Stati diversi e i criteri di giurisdizione stabiliti dai diversi ordinamenti non siano fondati sugli stessi presupposti.

Per far fronte a simili evenienze si dovrebbe dunque procedere ad un coordinamento internazionale nella determinazione dei criteri di giurisdizione, e in effetti in tal senso ci si è mossi nel corso degli anni.

Con particolare riguardo all’ordinamento italiano è infatti possibile riscontrare un’evoluzione che ha portato da un sistema particolarmente rigido e caratterizzato da una sostanziale chiusura nei confronti dei valori giuridici provenienti da altri ordinamenti, ad un sistema consentaneo a un coordinamento con gli altri sistemi giudiziari competenti, e infine, con specifico riguardo alla materia oggetto di esame, a un sistema idoneo a localizzare tutte quante le questioni relative ad un determinato trust in un unico foro.

Il sistema instaurato dal codice di procedura civile del 1940, infatti, sul presupposto che la potestà giurisdizionale fosse considerata una prerogativa fondamentale della sovranità, veniva a sancire, da un lato, la sostanziale inderogabilità della giurisdizione italiana e l’irrilevanza dell’eventuale giudizio contemporaneamente pendente all’estero119, e dall’altro lato, l’espletamento di un

procedimento di delibazione delle sentenze straniere affinché queste potessero produrre effetto nel nostro ordinamento120. Alla luce di simili previsioni è agevole constatare come quello adottato dal legislatore del 1940 si atteggiasse a mo’ di sistema sostanzialmente esclusivo, in virtù del quale l’unico processo rilevante per il nostro ordinamento fosse quello che si svolgeva in Italia, con la necessaria conseguenza, dunque, che in questo contesto potesse ben accadere che nella regolamentazione di rapporti giuridici caratterizzati da connessioni con diversi ordinamenti si pronunciassero tanto i giudici del foro quanto quelli di Stati stranieri, e che gli uni e gli altri potessero pervenire a soluzioni contrastanti. Una prima breccia nel senso del coordinamento con gli altri sistemi giurisdizionali stranieri eventualmente competenti è stata aperta nell’ordinamento italiano a fronte della ratifica della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in

119 V. al riguardo gli artt. 2 e 3 del c.p.c. i quali, rispettivamente, recitavano: “La giurisdizione

italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di una giurisdizione straniera, né di arbitri che pronuncino all'estero, salvo che si tratti di causa relativa ad obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un cittadino non residente né domiciliato nella Repubblica e la deroga risulti da atto scritto” e “La giurisdizione italiana non è esclusa dalla pendenza davanti a un giudice straniero della medesima causa o di altra con questa connessa”.

90 materia civile e commerciale121. Tale accordo era infatti ispirato a principi diametralmente opposti a quelli che hanno caratterizzato il nostro ordinamento fino alla legge di riforma n. 218 del 1995: esso infatti mirava a creare uno spazio unitario nell’ambito del quale la giurisdizione viene distribuita tra i giudici degli Stati contraenti in modo da restringere al massimo la possibilità che all’interno dell’area comunitaria potessero essere adottate decisioni tra loro inconciliabili, e ciò soprattutto grazie al rilievo attribuito alla litispendenza internazionale122 e alla sostanziale riduzione dei controlli esperibili nei confronti della decisione straniera123.

Sulla scia della Convenzione di Bruxelles, il legislatore italiano nel 1995, consapevole dell’incidenza che lo strumento pattizio esercitava nel nostro ordinamento, ha ritenuto opportuno, anzitutto, recepire i criteri di giurisdizione apprestati in detto accordo, estendendone per giunta, seppure solo per alcuni di essi, il campo di applicazione ai rapporti che ai sensi dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 1968 ne rimanevano esclusi ratione personarum124, e, in secondo luogo, aderire all’idea del riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri125.

Infine, come sopra accennato, l’apice nell’apertura alle giurisdizioni degli ordinamenti stranieri è stato raggiunto con l’introduzione di criteri di giurisdizione idonei a localizzare in un unico foro tutte o quasi le attività giudiziarie inerenti un dato rapporto, e nella specie un dato trust. Ciò ha avuto luogo a fronte della adesione nel 1978 alla Convenzione di Bruxelles sopra detta da parte di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca: i primi due Paesi, infatti, hanno richiesto l’introduzione di tre disposizioni specifiche relative alla materia oggetto di esame, e più precisamente gli articoli 5, n. 6, 17, comma 3 e 53, comma 2, rispettivamente concernenti la determinazione di un criterio giurisdizionale speciale in materia di trust, la proroga di giurisdizione e il modus operandi ai fini della definizione del criterio speciale del “domicilio del trust”. Questi disposti,

121 Tale Convenzione è entrata in vigore per l’Italia il 1° febbraio 1973 e produceva effetti nei rapporti con gli altri cinque Stati allora membri della Comunità Economica Europea (ossia Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo).

122V. al riguardo l’art. 21 della Convenzione in commento.

123 V. al riguardo gli artt. 21-30 della Convenzione di Bruxelles del 1968.

124 L’art. 3 della L. 218/1995, infatti, sancisce l’applicazione delle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II di detta Convenzione anche quando il convenuto non è domiciliato in uno Stato contraente. Cfr. art 3 L. 218/1995 e art. 2 Convenzione di Bruxelles del 1968.

125 V., per quanto interessa per la materia oggetto di esame, gli artt. 64 e 66 della legge di riforma nella misura in cui prevedono che “non è necessario il ricorso ad alcun procedimento” ai fini del riconoscimento delle sentenze e dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.

91 infatti, vengono sostanzialmente a consentire la localizzazione delle questioni giurisdizionali concernenti un determinato trust nel foro del domicilio dell’istituto ovvero in quello scelto dal settlor.

L’esser parte della Convenzione di Bruxelles del 1968 ha dunque comportato per l’Italia dapprima una parziale apertura al coordinamento con le giurisdizioni degli altri Stati a fronte della rilevanza data alla litispendenza internazionale e alla sostanziale automaticità del riconoscimento delle pronunce straniere, e poi, a seguito della Convenzione di adesione di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca del 1978, l’adozione di criteri di giurisdizione idonei ad individuare un unico foro come centro di gravità per la risoluzione delle questioni relative ad un determinato trust.

Ora, è da tenere in conto che la Convenzione di Bruxelles del 1968 è stata sostituita dapprima dal Regolamento (CE) n. 44/2001 nei rapporti tra i Paesi membri della Comunità Europea, e di recente dal Regolamento (UE) n. 1215/2012 nei rapporti tra i Paesi membri dell’Unione Europea. Tuttavia per la materia oggetto di esame non è dato riscontrare problemi interpretativi di sorta dal momento che essi hanno riprodotto in termini pressoché uguali126 le precedenti disposizioni della Convenzione di Bruxelles in materia di trust: più precisamente gli articoli corrispettivi a quelli introdotti a seguito dell’adesione di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca alla Convenzione di Bruxelles del 1968 sono i numero 5 n. 6, 23 n. 4 e 60 n. 3 per quanto concerne il Reg. (CE) n. 44/2001, e i numero 7 n. 6, 25 n. 3 e 63 n. 3 per quanto riguarda il Reg. (UE) n. 1215/2012. Date queste considerazioni, nel prosieguo terremo conto delle più recenti disposizioni nel trattare le questioni interpretative che si sono poste con riguardo ai criteri di giurisdizione ivi sanciti, i quali ultimi, consistenti come già ricordato

126 L’unica differenza a livello di formulazione normativa si riscontra, infatti, dal confronto dell’art. 7 n. 6 del Reg. (UE) n. 1215/2012 con quello che, tanto nella Convenzione di Bruxelles del 1968 quanto nel Reg. (CE) n. 44/2001, era l’art 5 n. 6. Nel determinare il criterio speciale di giurisdizione del “domicilio del trust” il più recente Regolamento, infatti, adotta una formulazione parzialmente diversa e rispecchiante quella dettata in materia di proroga della giurisdizione da tutti i tre strumenti normativi oggetto di disamina: le precedenti formulazioni, infatti, sancivano la possibilità di adire in detto foro i soggetti protagonisti del rapporto nelle loro “qualità” di fondatore, trustee e beneficiario mentre l’art. 7 n. 6 del Reg. (UE) 1215/2012 prevede che in tale foro possano essere promosse le controversie “contro” il fondatore, il trustee o il beneficiario. Ciò può dunque comportare che tali soggetti possano essere aditi di fronte all’autorità giudiziaria del “domicilio del trust” non solo per le questioni relative alle attività da loro svolte nella loro qualità di settlor, trustee o beneficiario, bensì anche per quelle loro riconducibili nelle ipotesi in cui taluno di essi rivesta anche altre qualifiche, come ad esempio quella di guardiano (ovviamente in tal caso è escluso tale cumulo di qualifiche con riguardo al trustee). Al riguardo v. D. Hayton, Trusts, cit., p. 42 ss..

92 nel domicilio del trust e nel foro individuato dal settlor nell’atto istitutivo oltre che nel generale foro del domicilio del convenuto127, sono sicuramente vincolanti per l’ordinamento italiano nei suoi rapporti con gli altri Stati membri, e dunque si pongono su un binario parallelo a quello delle disposizioni della L. 218/1995 che consentono di individuare il foro competente per le ipotesi non rientranti nell’ambito di applicazione del Reg. (UE) n. 1215/2012.