L’individuazione dei criteri di giurisdizione di cui ci si può avvalere ai fini della determinazione del foro competente per la trattazione dell’azione di tracing dipende dal modo in cui tale azione viene qualificata nei vari ordinamenti civilistici.
Preliminarmente occorre comunque vedere come essa si atteggi negli ordinamenti anglosassoni.
L’azione di tracing157, nei sistemi in cui è stata concepita, ha una finalità meramente recuperatoria e, alla luce delle modalità di sua attuazione, non sembra possibile inquadrarla in una specifica tipologia.
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Ovviamente qui il riferimento è all’art. 1, par. 2 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ma come già detto esso è sostanzialmente equivalente al dettato dei successivi articoli 1, par. 2 del Reg. (CE) n. 44/2001 e art. 1, par. 2 Reg. (UE) n. 1215/2012.
156 Si ricordi che dei criteri di giurisdizione applicabili all’azione di tracing, ossia alle ipotesi di svolgimento patologico del rapporto, ne parleremo a breve.
157 Della cui rilevanza ai fini della determinazione del carattere peculiare del trust originario, ossia della compresenza di due diritti di proprietà insistenti sul medesimo cespite, abbiamo già detto nei paragrafi 2, 5 e 7 del cap. I del presente elaborato.
105 Tali considerazioni possono essere meglio comprese se si guarda alle ipotesi tipiche in cui essa possa essere esperita.
Anzitutto può accadere che il trustee si sia materialmente appropriato di un cespite del trust: in questi casi il beneficiario può promuovere l’azione di tracing sia alla stregua di azione di annullamento dell’atto compiuto dal trustee in eccedenza dei propri poteri, sia come azione di mero accertamento, nel senso cioè che il beneficiario mira per lo più ad ottenere l’affermazione del proprio diritto
equitable su quel bene, sia, infine, come azione costitutiva qualora con essa si
tenda ad ottenere l’imposizione di un privilegio di carattere reale tale da consentire di far valere un titolo preferenziale sui beni o sulle somme detenute dal fiduciario, pure in ipotesi di fallimento di quest’ultimo.
In secondo luogo può darsi che il trustee non si sia limitato a distogliere un bene dal trust per esercitare sullo stesso un diritto dominicale, bensì che lo abbia rivenduto, e magari con il ricavato abbia addirittura acquistato altri beni: in tali ipotesi il tracing mira ad estendere il diritto dei beneficiari sui proventi ottenuti a fronte della cessione del cespite appartenente al trust ovvero sui beni acquistati con tali proventi.
Infine, l’ipotesi più articolata si verifica quando, a fronte dell’alienazione del cespite da parte del trustee a un terzo, il beneficiario agisca in tracing nei confronti di quest’ultimo158
: in tal caso, infatti, il terzo viene generalmente considerato constructive trustee del trust giudiziale istituito sul cespite del trust da lui acquistato ovvero sul ricavato ottenuto da una sua eventuale ulteriore vendita.
Alla luce di queste situazioni tipiche in cui il tracing viene esperito, è dunque possibile rilevare che tale azione, benché presenti una finalità recuperatoria e venga generalmente considerata espressione del carattere reale del diritto del beneficiario, non conduca, di norma, all’affermazione di un diritto dominicale dell’attore, limitandosi o a riaffermare il diritto preesistente, come nelle ipotesi in cui essa venga promossa nei confronti del trustee, ovvero a imporre un nuovo vincolo fiduciario, come nei casi in cui di essa ci si avvalga nei confronti dei terzi.
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Ovviamente tale possibilità si fonda sulla sussistenza delle condizioni prospettate dalla “dottrina della notice”, ossia, lo si ricorda, che il terzo, al momento dell’acquisto, fosse a conoscenza dell’esistenza del trust ovvero avrebbe potuto esserlo qualora avesse usato l’ordinaria diligenza, oppure quando ha ottenuto il medesimo bene a titolo gratuito.
106 Da un punto di vista internazionalprivatistico l’attuazione dell’azione di tracing al di fuori degli ordinamenti originari risulta problematica principalmente per due motivi: in primo luogo perché negli ordinamenti civilistici risulta problematico configurare un diritto di natura reale in capo al beneficiario; in secondo luogo per la difficoltà di riprodurre lo schema processuale che caratterizza tale rimedio nell’ambito dei sistemi di common law.
Con riguardo all’ordinamento italiano la questione dell’individuazione di un diritto reale in capo al beneficiario è stata parzialmente risolta con la ratifica della Convezione dell’Aja del 1985, e più precisamente in virtù dell’art. 11 lett. (d) di questa, il quale, lo si ricorda, sancisce che “qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: (…) (d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro”. Naturalmente, poi, il potere di agire per recuperare i beni oggetto del rapporto può riconoscersi solo con riguardo ai trusts rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione.
Con riguardo all’inquadramento del tracing in uno degli schemi processuali, invece, è dato ravvisare una sua somiglianza soprattutto con le azioni di annullamento e revocatoria: la prima sarebbe esperibile nel caso in cui la tutela si attui attraverso l’invalidazione dell’atto del trustee eccedente i poteri attribuiti; la seconda, invece, permetterebbe di riprodurre una struttura apparentemente simile a quella propria del tracing nel caso in cui si miri esclusivamente a rendere l’atto traslativo inopponibile al soggetto titolare della posizione giuridica di vantaggio. Nessuna analogia, invece, sembra ipotizzabile con riguardo all’ipotesi in cui l’azione di tracing venga promossa nei confronti del terzo acquirente del cespite della trust property, comportando solitamente la costituzione di un trust giudiziale, poiché, come già si è detto159, la forma dei procedimenti e quindi dei provvedimenti adottabili dal giudice dipende dalla lex fori, e il giudice italiano, non avendo tale strumento nel proprio ordinamento, non può emanare un provvedimento costitutivo di un trust giudiziale. L’unica modalità di tutela prospettata dall’ordinamento italiano che più sembra avvicinarsi all’azione di
tracing in una simile ipotesi sembra essere l’esecuzione in forma specifica
dell’obbligo a contrarre di cui all’art. 2932 cod. civ., ma questa disposizione
107 normativa presuppone che vi sia, in capo al convenuto, un obbligo di stipulare il negozio traslativo, e ciò non è riscontrabile con riguardo al terzo acquirente del cespite del trust. In tali ipotesi, quindi, il beneficiario risulta privo di tutela. Ora, è comunque d’uopo osservare che le tre soluzioni sopra prospettate dipendono da una totale svalutazione del carattere reale del diritto del beneficiario: l’azione di tracing è infatti concepita proprio come uno strumento di tutela di un diritto fondamentalmente reale del beneficiario (equitable property) e assolve alla funzione specifica di consentire a costui di riaffermare il proprio diritto sul bene, caratteristiche, queste, che non è dato riscontrare n nell’azione di annullamento, n nell’actio pauliana, n , infine, in quella di cui all’art. 2932 cod. civ..
Ai fini della risoluzione di questi problemi di inquadramento sembra comunque soccorrere il dettato dell’art. 11 lett. (d) della Convenzione dell’Aja del 1985: non sembra infatti necessario andare alla ricerca di strumenti di tutela strutturalmente analoghi a quelli esistenti negli ordinamenti di provenienza poiché per tutti i Paesi che sono parte della Convenzione l’azione di tracing è qualificata dal suddetto disposto normativo come azione di “rivendicazione” e quindi esso, in qualità di norma di diritto materiale internazionalmente uniforme, rende in principio superfluo ogni procedimento di adattamento, consentendo di sostituire ad una tutela indiretta (quale quella fornita dalla costituzione di un constructive
trust) il diritto per il beneficiario di agire per rivendicare la proprietà dei beni
oggetto del rapporto fiduciario.
In questo contesto la disposizione di riferimento nell’ordinamento italiano è quella di cui all’art. 948 cod. civ.. Essa tuttavia può comportare taluni problemi in punto di tutela poiché la sua esperibilità è subordinata alla specifica individuazione della cosa oggetto della domanda, e dunque, qualora il cespite illecitamente trasferito dal trustee al terzo sia una somma di denaro ovvero altro bene fungibile, il beneficiario non potrà avvalersi di tale azione dinanzi al foro italiano. In queste ipotesi, ai fini del perseguimento di una effettiva salvaguardia delle situazioni giuridiche soggettive sottese al riconoscimento del trust, sembra opportuno consentire il ricorso, in via sussidiaria, all’azione revocatoria, in modo da fornire al beneficiario uno strumento per dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto dispositivo.
È infine da rilevare che, se si accoglie questa qualificazione dell’azione di
108 presupposti per la sua proposizione dipendano dalla lex causae, i risultati concreti ottenibili attraverso la sua promozione dipendono dalla lex fori, e quindi, con riguardo all’ordinamento italiano, nell’ipotesi in cui il giudice accolga la domanda, il bene stesso non diviene oggetto di un nuovo trust, ma entra direttamente a far parte del patrimonio del beneficiario: l’esito tipico di un’azione petitoria è infatti l’affermazione immediata di un diritto di proprietà a favore dell’attore. Inoltre, nell’ipotesi in cui l’azione venga promossa al fine di recuperare presso terzi il bene illecitamente distratto è da ricordare che, alla luce del dettato dell’art. 11, lett. (d) della Convenzione dell’Aja del 1985, le condizioni per il suo accoglimento e le circostanze che determinano l’obbligo di restituzione ricadono nella legge che disciplina il diritto che il terzo esercita sul bene, la quale, di norma, corrisponderà alla lex rei sitae.