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Segue: i criteri pilota per la localizzazione della fattispecie ai fini dell’art 13 e questione d

riconoscimento dei trusts interni.

Tenuto conto dei vari argomenti interpretativi ricavabili dall’art. 13 della Convenzione ai fini della riconoscibilità o meno dei c.d. trusts interni al nostro

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V. infatti S. M. Carbone, Autonomia privata, cit., p. 784 e R. Luzzatto, Legge applicabile, cit., p. 752.

80 L. 364/1989.

59 ordinamento passati in rassegna nel paragrafo precedente, occorre ora individuare quali siano i criteri che devono orientare il giudice per individuare la localizzazione del rapporto ai fini dell’art. 13 e le conseguenze che ne vengono tratte dai due filoni interpretativi circa l’incostituzionalità o meno del mancato riconoscimento dei trusts interni. I fautori dell’ammissibilità dei c.d. trusts interni al nostro ordinamento ritengono, infatti, che il mancato riconoscimento di questi ultimi costituisca motivo di illegittimità costituzionale ai sensi dell’art. 3 Cost. poiché verrebbe a porre i cittadini italiani in una situazione di sostanziale disuguaglianza rispetto agli stranieri, dal momento che verrebbero privati della possibilità di avvalersi di uno strumento (il trust, appunto) nelle medesime situazioni in cui ciò sia invece consentito ai cittadini di altri Stati82. I fautori della posizione avversa ritengono invece che, proprio in virtù della diversa localizzazione del rapporto desumibile dai criteri pilota che andremo a vedere, sia da escludersi una situazione di disuguaglianza sostanziale. Tali AA. ritengono infatti che, ai fini dell’operatività dell’art. 13, più del trust in s , rileva la situazione giuridica in cui l’istituto è chiamato ad operare, e dunque la diversa localizzazione di tale situazione giuridica giustifica il ricorso a strumenti normativi diversi83.

Tenuto in debita considerazione quanto appena detto come ulteriore punto di divergenza nella dottrina italiana in relazione alla questione dei trusts interni al nostro ordinamento, andiamo adesso a vedere quali sono i criteri che, a prescindere dall’appoggio all’uno o all’altro filone interpretativo84

, sono stati individuati come rilevanti ai fini dell’operatività dell’art. 13, e dunque ai fini dell’esclusione dell’obbligo di riconoscimento ivi sancita.

Al riguardo è da rilevare come la dottrina maggioritaria abbia proposto di utilizzare, ai fini della valutazione del collegamento con un ordinamento che conosce il trust richiesta dall’art. 13, il meccanismo di cui all’art. 7 della Convenzione, il quale, lo si ricorda, sancisce il criterio sussidiario del collegamento più stretto ai fini dell’individuazione della legge applicabile in mancanza di scelta ovvero in ipotesi di inefficacia della scelta ai sensi dell’art. 6, c. 2.

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V. al riguardo S. M. Carbone, Autonomia privata, cit., p. 783/784. 83 V. al riguardo G. Contaldi, Il trust, cit., p. 163.

84 Cfr. G. Contaldi, Il trust, cit., p. 157 ss. come sostenitore della non riconoscibilità dei trust interni e R. Luzzatto, Legge applicabile, p. 752 come sostenitore della posizione contraria.

60 In linea di principio, infatti, gli artt. 7 e 13 implicano valutazioni analoghe e dunque l’assimilazione di tali due disposizioni appare senz’altro condivisibile, anche se risulta necessario operare un coordinamento tra di esse: il luogo di amministrazione del trust e quello di residenza del trustee, utili ai fini dell’art. 7, non possono infatti operare ai fini dell’art. 13, stante l’esclusione espressa contemplata in tale ultimo disposto normativo.

Gli elementi desumibili dall’art. 7 che quindi possono essere utilizzati nel giudizio degli interpreti ex art. 13 sono il luogo di situazione dei beni e il luogo in cui lo scopo del trust deve essere realizzato.

Ad un’analisi più approfondita risulta però agevole constatare che tali due criteri di collegamento non sono sempre idonei a garantire una localizzazione precisa del rapporto dal momento che, da un lato, per quanto concerne il luogo ove lo scopo del trust deve essere realizzato, questo potrebbe anche essere stato individuato dal disponente in funzione di specifiche esigenze materiali, prescindendo del tutto dalla localizzazione complessiva del rapporto, e dall’altro lato il criterio del luogo di situazione dei beni potrebbe risultare inidoneo ai fini dell’art. 13 nelle ipotesi in cui tale luogo sia stato scelto esclusivamente per rendere obbligatorio il riconoscimento di una situazione che altrimenti non godrebbe di tale possibilità.

Alla luce di queste considerazioni si deve dunque andare alla ricerca di ulteriori criteri idonei per l’operatività dell’art. 13, e all’uopo soccorre la Relazione esplicativa, la quale menziona al riguardo la cittadinanza e la residenza abituale dei beneficiari e del disponente85.

Ora, con riguardo a tali criteri è tuttavia da rilevare come si imponga una certa cautela nel loro utilizzo, dal momento che la Convenzione non sembra attribuire autonomo rilievo a criteri strettamente inerenti ai soggetti del rapporto come abbiamo potuto constatare nella parte di questo elaborato in cui abbiamo analizzato il criterio del collegamento più stretto86. Tuttavia non è da escludere in

toto, la rilevanza di tali criteri alla luce anche dell’importanza che questi

rivestono nella disciplina internazionalprivatistica di talune fattispecie: si pensi, a titolo esemplificativo, ad un trust testamentario in cui sicuramente potranno assumere rilevanza la cittadinanza ovvero la residenza del de cuius87, oppure ad

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V. Von Overbeck, Report, cit., p. 397, punto 122. 86 V. supra par. 12, cap. II del presente elaborato.

87 Infatti in diversi ordinamenti internazionalprivatistici, tra cui anche quello italiano (v. art 46 L. 218/1995 che ha ripreso, seppur con taluni temperamenti, il disposto di cui all’abrogato art. 23

61 un trust utilizzato per la gestione di rapporti rilevanti nell’ambito familiare come ad esempio in caso di separazione personale dei coniugi88. In queste ipotesi, infatti, la cittadinanza e il luogo di residenza dei partecipanti alla relazione potranno senz’altro ricoprire un ruolo decisivo per la “localizzazione” del rapporto ai fini anche dell’art. 13, mentre essi appaiono certamente ininfluenti nel caso di trusts utilizzati in rapporti nei quali gli ordinamenti contemporanei normalmente impiegano altri criteri di collegamento89.

In conclusione, quindi, gli elementi astrattamente suscettibili di rilevare ai fini dell’applicazione dell’art. 13 sono la localizzazione dei beni, lo scopo del trust, la cittadinanza o residenza delle parti (i quali ultimi sono però da accogliere con una certa cautela, come detto).