CAPITOLO 3 – La partecipazione intercomunale nel Planning
3.1.5 Il criterio delle polarizzazioni per l’articolazione regionale
Una precisazione dei criteri operativi per tale articolazione può contribuire a chiarire ulteriormente il discorso finora condotto. Tale criterio operativo può essere indicato nella ricerca delle città intercomunali quali zone organiche di dimensioni e dislocazioni rapportate al “criterio della polarizzazione interna o esterna”. La motivazione culturale relativa è quella che scaturisce dalla considerazione di quella crescente polarizzazione, con riscontro di una crescente capacità di relazione, degli insediamenti sul territorio, di cui si diceva all’inizio. E tale motivazione, che del resto può ricondursi alle grandi idee di un Teilhard de Chardin, è l’unica capace di ricondurre a unità, anche ai fini operativi, quel complesso di metodologie e di analisi per l’approfondimento della conoscenza della realtà per la quale finora non si è individuato uno sbocco solutivo. Un altro suo elemento di validità consiste nella possibilità che tale metodo consente, di inserire lo sforzo di un ulteriore approfondimento (sia al livello scientifico sia al livello di impegno da parte di organismi ed enti locali) in una visione realistica ed attuale dei problemi (secondo esigenze già sottolineate dal prof. Benevolo e dal prof. Valle nel 1956, in occasione della presentazione degli studi per il piano regionale degli Abruzzi).
In questo senso, una tale visione realistica porta anche a non rifiutare le divisioni amministrative attualmente esistenti, per la loro capacità di una effettiva messa in moto di tutte le energie occorrenti per una pianificazione democratica; e a non rifiutare in modo particolare, specie in un primo momento, le attuali divisioni provinciali all’interno di ciascuna regione. Tutto ciò naturalmente è possibile proprio in quanto la visione globale del territorio e la sua suddivisione realistica,
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può portare all’individuazione, nelle zone di confine, di comprensori di transizione che, secondo il criterio dei poli, possono essere definiti come comprensori di polarizzazione esterna. In concreto il criterio proposto prevede la suddivisione completa di ciascuna regione in comprensori intercomunali urbanistico- amministrativi - donde il nome, che qui si propone, di “città intercomunali” per tali comprensori - comprensori che rispettino realisticamente i confini provinciali e che siano sinteticamente delimitati secondo criteri: - di integrazione interna, polarizzata da un evidente capoluogo dominante, secondo l’esempio costituito in provincia di Roma dalla nota delimitazione del perimetro intercomunale della capitale; - di integrazione per polarizzazione esterna, secondo delimitazioni che interessano soprattutto i comprensori di confine fra provincia e provincia, e che in genere, più che da un centro dominante interno, sono caratterizzati dall’essere zone di transizione tra comprensori di polarizzazione interna; - di integrazione di tipo misto tra i due tipi sopra accennati.
È ovvio che a tale criterio sintetico della polarizzazione andranno ricondotte, nella delimitazione finale le risultanze di studi concernenti la grande viabilità di interconnessione, le zone di sviluppo industriale, turistico, agricolo, e in generale tutti gli studi circa i caratteri e le possibilità di sviluppo economico della regione, e circa le “permanenze storiche” da salvaguardare (come sottolineato ad esempio, per queste, nel Convegno di Spoleto del 20-21 ottobre 1962 organizzato da Italia Nostra sul tema: “Città minori tradizionali”); ma il tutto secondo una metodologia di giudizi sinteticamente evidenti: 1) nel rilevamento delle situazioni (ad esempio col metodo della gravitazione naturale dei vari centri tra loro); 2) nella individuazione di un primo criterio di organizzazione per il futuro (appunto secondo l’idea dei comprensori di polarizzazione); 3) nella individuazione, circa la regione, da una parte, delle essenziali strutture di organizzazione in- terna delle città intercomunali, e, dall’altra, delle grandi strutture di interconnessione della regione con le regioni circostanti e col resto del paese.
3.1.6 Distinzione fra piano ed indagini
Una tale proposta, per l’articolazione generalizzata in comprensori intercomunali, quali ambiti nei quali organizzare le città intercomunali, esprime, come già si è premesso, essenzialmente una visione urbanistica e può sembrare non direttamente espressiva delle elaborazioni concernenti l’aspetto dello “sviluppo”, e soprattutto dello “sviluppo economico”. Ed è vero, ma è anche questo un aspetto positivo, nel processo per una chiarificazione circa la “pianificazione”, giacché così si contribuisce a far riscoprire anche in sede economica il vero significato della pianificazione nei suoi fini ultimi, significato legato soprattutto alla prospettazione di una idea, di una “visione” verso la quale far muovere la realtà; significa in termini più espliciti, riscoprire la distinzione fondamentale fra obiettivi da
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raggiungere e ostacoli (sia conoscitivi, sia operativi) da superare e tra aspetti totali umani e schematizzazioni economicistiche; significa infine battere in breccia la posizione, elusiva e sterile, di tutti coloro per i quali potrebbe dirsi: “andavan facendo delle indagini e credevano di star facendo piani”. Del resto i tempi sono maturi in tal senso, ed importanti contributi di chiarificazione per una pianificazione che riscopra i suoi fini e le sue linee essenziali ci vengono anche dal campo degli economisti.
È abbastanza recente infatti la presa di posizione di Galbraith a proposito del “dibattito sullo sviluppo”, nel senso di affermare l’esigenza, ormai, di passare dalle analisi quantitative, parziali, e sviluppate all’infinito, alla fase di valutazioni di qualità, centrate su una considerazione vitale e quindi sintetica, degli ambienti e delle situazioni locali. Ed è illuminante poi quanto risulta da una recentissima indagine, disposta dall’amministrazione provinciale di Varese, nelle cui conclusioni gli autori, Corna-Pellegrini e Ferraro, scrivono che l’indagine stessa (definita con i termini di “premesse alla programmazione”) lascia scoperti una serie di problemi che pure “si pongono, in ordine logico, come prioritari rispetto a tutti gli altri. E sono i problemi del nuovo rapporto che si prospetta fra uomo e prosperità; meglio: tra una intera comunità che conosce il benessere e, d’altro lato, gli ideali civili ed umani che essa tende a perseguire”. Porre l’accento sul “piano” significa così porre l’accento sui contenuti, su ciò che si vuole realizzare, ed imboccare l’unica via capace non solo di far discutere sugli impedimenti (usura fondiaria in primo luogo ), ma di farli concretamente superare. Dopo la fase dei discorsi sugli strumenti e sugli . impedimenti per una sana politica urbanistica, per l’avvenire gli urbanisti italiani sono così richiamati, dall’attesa del paese, al loro dovere di parlare, in concreto, di “piani” che siano nello stesso tempo una visione concreta di ciò che occorre realizzare, ed una indicazione illuminante a tutti gli amministratori locali per muoversi per tale realizzazione : in questo momento e dovunque. In tal senso, non basta più parlare di “piani comprensoriali”, ma occorre dare un contenuto finalistico a tali piani, precisandolo nell’idea di “città intercomunale”.