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Il dibattito sui modelli di associazionismo intercomunale

DELLE FUNZIONI AMMINISTRATIVE E DELLE LORO MODALITÀ DI ESERCIZIO

3. L’esercizio associato di funzioni per il superamento dell’inadeguatezza degli enti comunali

3.1 Il dibattito sui modelli di associazionismo intercomunale

Le teorizzazioni dei differenti modelli di associazionismo comunale38

rispecchiano in massima parte le altrettanto differenti concezioni relative alla modalità di gestione delle funzioni amministrative: se si sostiene l’assoluta unità e uniformità di funzioni a livello comunale, si considera necessariamente l’associazionismo come uno strumento necessario al fine di consentire anche ai piccoli comuni lo svolgimento delle funzioni che, autonomamente, non sarebbero in grado di esercitare (cd. modello volontario); se, invece, si dovesse optare per una piena attuazione dei principi di differenziazione e di adeguatezza, si aprirebbe la prospettiva di una netta diversificazione delle funzioni attribuite ai comuni in ragione delle loro capacità organizzative e funzionali, vedendo nella strutturazione di forme associative una condizione necessaria per il conferimento delle funzioni al livello comunale, pena la loro allocazione ad un altro livello di governo (cd. modello differenziato).

Nessuna delle due possibilità prospettate sarebbe, tuttavia, realmente risolutiva: se, infatti, si optasse in favore del modello volontario, in caso di inerzia nella creazione di una simile struttura, anche il comune italiano più

37 Cfr. A.PAJNO, Il piccolo Comune come modello ordinamentale - Una disciplina speciale per mutare approccio in un quadro unitario, in Ancirivista, luglio/agosto 2007, p. 116 e MELONI G., L’amministrazione locale come amministrazione generale, Roma, 2005, p. 246.

38 Cfr. C.TUBERTINI, Le forme associative e di cooperazione fra enti locali tra i principi di autonomia e di adeguatezza, in Le istituzioni del federalismo, n. 2/2000, p. 305 ss.

piccolo39 sarebbe comunque chiamato ad esercitare le funzioni ad esso conferite; con il modello differenziato, invece, qualora il comune non volesse associarsi, le funzioni andrebbero trasferite ad un livello di governo territorialmente più ampio, come la provincia, dando così vita ad un modello di

amministrazione che potremmo definire “a macchia di leopardo”40. In entrambi

i casi, accanto ad una disattivazione de facto dei livelli comunali, sarebbe altresì minato il carattere di “invarianti di sistema” che dovrebbe caratterizzare le funzioni fondamentali che dovrebbero obbligatoriamente essere esercitate da parte di tutti gli enti comunali.

In particolare, l’opzione in favore di un netta differenziazione di tutte le funzioni comunali presenterebbe alcuni problemi di costituzionalità: in primo luogo, l’attribuzione di una funzione amministrativa ad un livello di governo territorialmente più ampio rispetto a quello comunale (costituzionalmente previsto) sarebbe lesivo del principio di autonomia e di decentramento sancito all’art. 5 della Costituzione, dal momento che una mera inadempienza dell’amministrazione comunale non potrebbe e non dovrebbe comportare alcun effetto di tipo sanzionatorio, tale da ripercuotersi sul profilo costituzionale delle competenze individuate in capo all’ente stesso, ma, al più, la sola sostituzione nell’azione volta a realizzare le condizioni affinché il comune possa esercitare le funzioni amministrative ad esso demandate.

D’altro canto, la riallocazione delle funzioni in questione in capo a un ente che in origine non si riteneva fosse competente, sembrerebbe minare il

39 In base ai dati del bilancio demografico ISTAT, aggiornati al 30 giugno 2010, emerge che il più piccolo Comune italiano è Pedesina (Prov. di Sondrio) e conta solo 33 abitanti. Inoltre gli ultimi cento comuni italiani per popolazione contano fino a 143 residenti, mentre ben 49 comuni hanno una popolazione che non supera i 100 abitanti. Di questi cento comuni ben 57 si trovano in Piemonte e 17 in Lombardia, mentre per quanto concerne le altre regioni: 7 in Abruzzo; 1 in Emilia-Romagna; 1 nel Lazio; 6 in Liguria; 1 nelle Marche; 1 in Molise; 3 in Sardegna; 1 in Trentino-Alto Adige; 4 in Valle d’Aosta e 1 in Veneto.

40 Il tema è sviluppato da G. MELONI, Autonomia costituzionalmente garantita ed esercizio associato delle funzioni comunali, in G.C.DE MARTIN, L’intercomunalità in Europa, Padova, 2013, pp. 417 ss.

principio di adeguatezza, da intendersi tuttavia non nel senso che l’ente in questione non sarebbe dotato delle necessarie dotazioni organiche e strumentali, bensì in quello per cui la funzione sarebbe a questo punto svolta da

un ente la cui vocazione non sarebbe coerente con l’oggetto della stessa41.

Ciò premesso, è dunque necessario che il legislatore individui una serie di misure che consentano agli enti locali il raggiungimento di condizioni sufficienti di adeguatezza che consentano l’efficace esercizio delle funzioni ad essi demandate: non potendo procedere alla fusione coattiva ex lege dei comuni di minori dimensioni che, in assenza di un’esplicita volontà in tal senso delle popolazioni interessate, contrasterebbe con gli artt. 5 e 133 Cost., il ricorso all’esercizio associato in forma obbligatoria – con eventuale intervento sostitutivo da parte dello Stato o della regione in caso di inerzia – rappresenta, di fatto, l’unica prospettiva in grado di garantire che gli enti di minori dimensioni siano in condizione di poter esercitare fattivamente le funzioni ad esse demandate.

Una simile prospettiva avrebbe, dalla sua, solidi fondamenti costituzionali a partire dal fatto che essa rappresenterebbe un importante elemento di garanzia rispetto alla conservazione del ruolo stesso delle realtà comunali più piccole che, solo in questo modo, potrebbero continuare a svolgere il ruolo centrale di enti di prima e di ultima istanza svolto nel corso della loro storia, nel pieno rispetto del principio autonomistico. L’affermazione di un modello obbligatorio non sottrarrebbe, inoltre, alcun margine di scelta in capo al comune, se non per quanto concerne l’an e il quomodo, in quanto spetterebbe in ogni caso alla potestà regolamentare del singolo ente la definizione delle forme e delle

41 Nonostante tali osservazioni, la Regione Puglia ha proceduto all’introduzione nel proprio ordinamento del cd. modello differenziato mediante la legge n. 5 del 2010 che, nel prevedere all’art. 7 la soppressione di tutte le comunità montane, dispone la modifica dell’art. 5 della legge regionale n. 36 del 2008, in base al quale le funzioni ad esse spettanti sono svolte dai comuni in forma associata oppure, in caso di mancata costituzione dell’unione di comuni o di mancato raggiungimento del livello ottimale di esercizio, dalle province territorialmente competenti.

modalità con cui ottemperare a tali previsioni. La realizzazione di forme associative a carattere obbligatorio sarebbe, dunque, una vera e propria condizione strumentale al mantenimento del ruolo svolto storicamente da parte dei comuni e, dunque, la prima funzione fondamentale che i piccoli comuni dovrebbero essere chiamati a svolgere e che lo Stato dovrebbe disciplinare prima di ogni altra.

Parallelamente, anche il principio di sussidiarietà, introdotto prima dalla cd. legge n. 59 del 1997 e successivamente costituzionalizzato con la riforma del titolo V, rappresenta un adeguato fondamento all’introduzione dell’obbligo di provvedere in forma associata all’esercizio delle funzioni fondamentali: infatti, il ricorso a tale strumento rappresenterebbe la sola garanzia del fatto che l’amministrazione locale assuma effettivamente i caratteri di amministrazione generale, gestendo effettivamente le funzioni amministrative a livello comunale. Nei fatti, in assenza di un tale strumento verrebbe, meno la sostanza stessa dell’art. 118 Cost., mancando l’elemento che consentirebbe al tessuto degli enti comunali di esercitare effettivamente il complesso delle funzioni loro spettanti, ed essendo dunque impossibile la concreta realizzazione del principio di sussidiarietà.

3.2 Dal d.l. n. 78 del 2010, alle modifiche apportate dal d.l. n. 138 del 2011 e dal d.l. n. 95 del 2012

Negli ultimi anni, il legislatore ha mostrato di propendere per la soluzione appena illustrata, introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento l’obbligo di esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni di minori dimensioni, con tutta probabilità badando molto più ai risparmi che ne sarebbero potuti derivare che all’esigenza di fornire ai piccoli comuni strumenti

che consentissero loro di raggiungere effettivamente gli opportuni livelli di adeguatezza nell’esercizio delle funzioni.

Dapprima, l’art. 14, commi 25–31, del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 122 del 2010, introduceva obbligo di esercitare le

funzioni fondamentali42 in forma associata a carico dei comuni43 con

popolazione residente inferiore ai 5 mila abitanti o ai 3 mila in caso di comune appartenente o appartenuto a una comunità montana.

In questo quadro, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe stato stabilito il termine entro il quale il procedimento si sarebbe dovuto concludere, nonché il limite demografico minimo che la

costituenda forma associativa avrebbe dovuto raggiungere44. La regione, da parte

sua, era invece chiamata a individuare con propria legge, nelle materie di cui al secondo e terzo comma dell’art. 117 della Costituzione e previa concertazione con i comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica, nonché il termine per l’avvio dell’esercizio delle funzioni stesse da parte dei comuni.

Tale disciplina è stata, tuttavia, oggetto di modifica da parte del d.l. n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 111 del 2011, su cui – e su altri profili – è successivamente intervenuto il più recente decreto legge n. 138 del 2011, come modificato dalla legge di conversione n. 148 del 2011. Dal

42 La legge n. 122 del 2010 rinviava espressamente a quanto previsto all’art. 21 della l. n. 42 del 2009, che le individua nelle seguenti: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; funzioni di polizia locale; funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica; funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia, nonché per il servizio idrico integrato; funzioni del settore sociale.

43 L’art. 14, comma 29, del provvedimento in esame dispone inoltre che i comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata e che la medesima funzione non può essere svolta da più di una forma associativa.

44 Nonostante la previsione contenuta all’art. 14, comma 31, della legge n. 122 del 2010 che prevede che il d.P.C.M. in questione debba essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della stessa, ad oggi, il decreto in questione non è stato ancora emanato.

susseguirsi di tali interventi, il nuovo comma 31 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 prevedeva che le forme associative dovessero raggiungere il limite demografico dei 10 mila abitanti, fatta salva la possibilità per la regione di individuarne uno diverso45, e che i comuni fossero tenuti a svolgere in forma associata almeno due funzioni fondamentali entro il 30 giugno 2012; per poi dover assicurare l’esercizio in forma associata di tutte e sei le funzioni

fondamentali individuate dalla l. n. 42 del 2009 entro il 30 giugno 201346.

Il successivo d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha esteso l’obbligo di ricorrere a forme associative per l’esercizio di funzioni comunali per gli enti con popolazione fino a mille abitanti, prevedendo che questi fossero tenuti ad esercitare obbligatoriamente in forma associata tutte le funzioni amministrative ed i servizi loro spettanti – e non solo quelle fondamentali – mediante l’istituzione di una unione di comuni, ad eccezione dei comuni il cui territorio fosse coincidente

con quello di una o più isole47 e di quelli che, alla data del 30 settembre 2012,

esercitavano le funzioni amministrative e i servizi pubblici mediante convenzione ed al Comune di Campione d’Italia (art. 16). Per ottenere l’esclusione da tale obbligo, i comuni in questione erano tenuti ad inviare al Ministero dell’Interno (entro il 15 ottobre 2012) un’attestazione comprovante «il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione delle rispettive attribuzioni al fine di emanare, entro il 30 novembre 2012, un

45 In questo senso sono intervenute solamente la Regione Calabria (l.r. n. 43 del 2011), che ha abbassato tale soglia a 7.000 abitanti, e la Regione Umbria (l.r. N. 18 del 2011), che l’ha fissata a 5.000 abitanti.

46 La versione originaria del decreto legge, antecedente alle modifiche apportate dal d.l. n. 216 del 2011 e ss.mm.ii ancora in attesa di conversione, prevedeva che le date degli adempimenti fossero rispettivamente il 31 dicembre 2011 e il 31 dicembre 2012.

decreto contenente l’elenco dei comuni esentati dall’esercizio associato»48. Le unioni di comuni avrebbero dovuto, di norma, raggiungere una popolazione di almeno 5 mila abitanti, ovvero di almeno 3 mila qualora gli enti aderenti appartenessero o fossero appartenuti a comunità montane; fatta salva la

possibilità per la regione di individuare limiti demografici differenti49. I comuni

che contestualmente facessero parte di altre forme associative, quali convenzioni o consorzi, sarebbero cessati di diritto da tale appartenenza a partire dalla data di costituzione dell’unione di comuni.

Alle unioni sono altresì affidate le funzioni di programmazione economico–finanziaria e la gestione contabile, disciplinate alla parte II del d.lgs. n. 267 del 2000, cui i comuni partecipano concorrendo alla predisposizione del bilancio di previsione dell’unione mediante l’approvazione di un documento programmatico.

Quanto agli organi, si prevedeva che una volta costituita l’unione di

comuni50, le giunte comunali sarebbero decadute mentre ai consigli sarebbero

spettati poteri di indirizzo nei confronti del consiglio dell’unione, oltre alle funzioni normative ad essi spettanti in riferimento alle attribuzioni non esercitate da parte dell’unione.

48 Il decreto ministeriale menzionato non è più previsto in seguito alla modifica operata dall’art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012 che ha sostituito integralmente i commi 1-16, dell’art. 16, del d.l. n. 138 del 2011.

49 In questo senso, quattro regioni sono intervenute a modificare la soglia demografica prevista a livello nazionale: la Calabria, con la l.r. N. 43 del 2011, l’ha abbassata a 4.000 abitanti, prevedendo altresì due ulteriori eccezioni a 2.000, in caso di comuni appartenenti alla medesima isola linguistica, ed a 2.500, in caso di comuni appartenenti o appartenuti a comunità montane; l’Emilia-Romagna, con la l.r. . 21 del 2011, definendo come ambiti ottimali le unioni di comuni, le nuove comunità montane e il nuovo circondario imolese già istituiti, ha fissato la soglia minima al raggiungimento dei 3.000 abitanti; la l.r. N. 18 del 2011 della Regione Umbria ha invece fissato tale limite demografico a 1.000 abitanti; infine, la Lombardia, con la l.r. N. 22 del 2011 ha confermato le soglie previste a livello nazionale pari a 5.000 abitanti, o 3.000 nel caso di comuni appartenenti o appartenuti a comunità montane, o, in ogni caso, pari al quadruplo della popolazione del più piccolo comune facente parte della forma associativa.

50 La decadenza delle giunte di tutti i comuni facenti parte dell’unione avviene a decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per primo interessato al rinnovo del sindaco e del consiglio comunale.

Le unioni di comuni istituite a tal fine sono tuttavia soggette ad una disciplina istituzionale derogatoria rispetto a quanto previsto all’art. 32 del TUEL: in particolare il consiglio sarebbe stato composto dai soli sindaci dei comuni aderenti e, in sede di prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di essi di cui almeno un rappresentante delle opposizioni, ferma restando la possibilità per la legge statale di stabilire – secondo una previsione assolutamente innovativa – che le successive elezioni si svolgessero a suffragio universale e diretto, contestualmente a quelle per il rinnovo degli organi nei comuni ad essa aderenti. Il presidente dell’unione, cui spettano le attribuzioni che l’art. 50 del TUEL demanda ai sindaci51, sarebbe eletto per due anni e mezzo dal consiglio tra i propri componenti e, nelle more, ne eserciterebbe le funzioni il sindaco del comune avente il maggior numero di abitanti. La giunta sarebbe invece nominata dal presidente tra i sindaci componenti il consiglio, in numero non superiore a quanto previsto per i comuni aventi una consistenza demografica pari a quella dell’unione. I rapporti tra gli organi e le modalità di funzionamento sono rimessi alla disciplina dello statuto dell’unione che deve essere approvato dal consiglio entro venti giorni dall’istituzione dell’unione.

Il d.l. n. 138 del 2011, all’art. 16, co. 2, si preoccupava infine di introdurre una disposizione di collegamento tra i due differenti obblighi di esercizio in forma associata delle funzioni, prevedendo che alle unioni o alle convenzioni istituite dai comuni al di sotto dei mille abitanti potessero aderire anche gli enti inferiori ai 5 mila per l’esercizio associato delle sole funzioni fondamentali.

Nel complesso, per quanto la disciplina introdotta nel 2010 e nel 2011 fosse da apprezzare per la scelta di introdurre nel nostro ordinamento l’obbligo di esercizio associato delle funzioni amministrative da parte dei comuni di

51 Le competenze di cui all’art. 54 del TUEL, concernente le attribuzioni del sindaco nelle funzioni statali, spettano invece esclusivamente ai sindaci dei comuni aderenti.

piccole dimensioni, non si può non rilevare il fatto che ciò sia avvenuto con provvedimenti di urgenza privi di un reale coordinamento e di un qualsivoglia approccio sistemico e, pertanto, di non facile ed immediata attuazione. In particolare, la previsione che intende estendere l’applicazione delle disposizioni del decreto del 2011 ai comuni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, nel rispetto degli statuti e secondo quanto previsto dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, è da apprezzare nell’intento di raggiungere una sostanziale uniformità di trattamento tra tutti i piccoli comuni presenti nel nostro Paese, ma pone non pochi problemi applicativi di non facile soluzione in ragione della competenza spettate alle regioni in materia di ordinamento degli enti locali.

La disciplina appena illustrata è stata, tuttavia, pressoché integralmente modificata da parte del d.l. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 135 del 2012, il cui art. 19 riscriveva, anzitutto, l’art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010 abrogando il rinvio operato alla l. n. 42 del 2009, in materia di individuazione in via transitoria delle funzioni fondamentali, e provvedendo ad introdurre ex novo una disciplina a regime52. In riferimento alle modalità di esercizio delle funzioni in forma associata da parte dei piccoli comuni, il d.l. 95

52 Le funzioni fondamentali sono dunque individuate nei seguenti ambiti e materie: a) organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo; b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

f) l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;

g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall’articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali e statistici, nell’esercizio delle funzioni di competenza statale.

del 2012 interviene sul d.l. n. 78 del 2010, modificandone l’art. 14, commi 28, 30 e 31 e introducendo i nuovi commi 28–bis, 31–bis e 31–ter.

Anzitutto, in base al nuovo comma 28, l’obbligo per i comuni con popolazione fino a mille abitanti di esercitare in forma associata tutte le funzioni è ora trasformato in mera facoltà, accanto all’obbligo confermato a carico di tutti gli enti inferiori ai 5 mila abitanti di esercitare in forma associata le sole funzioni fondamentali. In secondo luogo, le regioni sono private della possibilità di stabilire una soglia demografica differente da quella prevista dalla legge statale (fissata a 3 mila abitanti), al cui mancato raggiungimento imporre l’obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali da parte dei comuni appartenenti o già appartenuti ad una comunità montana. In terzo luogo, rispetto all’elencazione operata dalla nuova normativa, viene eliminato l’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni di tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e dei compiti in materia di servizi anagrafici, nonché in materia di servizi elettorali e statistici.

Gli strumenti per adempiere a tali obblighi rimangono, in base ai nuovi commi 28 e 28–bis, le unioni di comuni (art. 32 TUEL) e le convenzioni: le prime dovranno raggiungere almeno i 10 mila abitanti, a meno di previsioni differenti da parte delle regioni (commi 30 e 31), le seconde dovranno invece avere una durata minima triennale e saranno soggette a periodiche verifiche del livello di efficacia e di efficienza della gestione che – in caso di esito negativo – possono comportare l’obbligo di istituzione di una unione di comuni (co. 31–

bis). Quanto ai tempi di attuazione, i comuni sono tenuti ad adeguarsi a tali

disposizioni entro il 1° gennaio 2013, con riguardo ad almeno tre funzioni, ed entro il 1° gennaio 2014, con riguardo alle restanti funzioni di cui al nuovo comma 27, dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, pena l’attivazione dei poteri sostitutivi da parte del prefetto che assegnerà agli enti inadempienti un termine