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Il Metodo Paulo Freire: teoria e prassi pedagogica

Il Metodo Paulo Freire tra passato e futuro

3.1 Il Metodo Paulo Freire: teoria e prassi pedagogica

L’esposizione sistematica del Metodo Paulo Freire di alfabetizzazione si trova nel quarto e ultimo capitolo de L’educazione come pratica della libertà (1967), il primo libro pubblicato dal pedagogista, a ridosso delle azioni educative condotte con i contadini brasiliani nei primi anni Sessanta e nel corso di altre azioni educative che egli stava svolgendo nell’esilio cileno.

Il Metodo Paulo Freire consta di cinque fasi distinte, che qui di seguito si riportano schematicamente:

1) indagine sull’universo lessicale dei gruppi con cui si deve lavorare, attraverso interviste semistrutturate agli abitanti della comunità e del luogo in cui si verifica l’azione educativa;

2) scelta delle “parole generatrici” – ossia dei termini più frequentemente usati nel linguaggio popolare locale, che evidenziano speranze, ansie, frustrazioni, propositi futuri, ecc. – attraverso un triplice criterio che comprende: a) ricchezza fonetica della parola, b) grado di difficoltà fonetica della parola, c) contenuto pragmatico della parola; 3) elaborazione dei “quadri-situazione”, ossia di immagini – sottoforma di disegno, diapositiva o altro supporto visivo – che rappresentino situazioni che hanno a che fare direttamente con la vita quotidiana della comunità locale. Le situazioni “codificate” nel quadro-situazione devono essere via via, attraverso il dibattito collettivo, “decodificate”, attraverso il disvelamento del loro significato reale;

4) elaborazione di schede che aiutano i coordinatori del dibattito all’interno del Circolo di cultura nella selezione delle parole generatrici;

5) compilazione delle schede attraverso la decomposizione delle famiglie di fonemi di cui constano le parole generatrici143.

Le tre fasi che in generale vengono maggiormente messe in evidenza del processo pedagogico elaborato da Freire sono: a) l’alfabetizzazione; b) la coscientizzazione; c) la liberazione.

L’idea di fondo è che il processo di alfabetizzazione non sia un procedimento fine a se stesso o una mera acquisizione tecnica, bensì un procedimento finalizzato a far riappropriare l’educando della sua stessa vita, coscientizzandolo via via sul contesto sociale in cui è immerso e favorendo così una liberazione che non è mai individuale e sempre in comunione144.

Come acutamente affermato da Bruno Schettini,

“ai suoi allievi brasiliani Freire non insegnava f di farfalla ma, piuttosto, f di favela, non le parole decise dall’accademia, ma quelle nate dall’esperienza quotidiana…

Da questo punto di vista, occorrerebbe insegnare a leggere la t come totalitarismi – vecchi o nuovi che siano – e non solo come t di tecnologie che, ove rappresentate come l’unico panorama possibile di alfabetizzazione, si palesano come un richiamo seduttivo e una nuova forma di totalitarismo di tipo tecnocratico; e così pure occorrerebbe imparare a leggere la i come intelligenza e idiograficità e non solo come internet e inglese”145.

Anche Mariacarla Adrianopoli Cardullo, in un recente lavoro, ha individuato tre fasi del Metodo Paulo Freire, corrispondenti alla ricerca, alla tematizzazione e alla problematizzazione146.

Nell’ambito della metodologia della ricerca sociale e pedagogica, il Metodo Paulo Freire è stato più volte associato al filone di ricerca che, partendo dal lavoro condotto con i gruppi etnici minoritari negli Stati Uniti dallo psicologo ebreo tedesco Kurt Lewin147, viene oggi denominato “ricerca partecipativa” o “ricerca-azione”.

Come affermato da Nico Bortoletto,

“la ricerca azione si è differenziata anche a seconda del contesto geo-politico in cui essa è stata studiata ed applicata. Ad esempio nell’America Latina grazie a Paulo Freire ed Orlando Fals Broda si è venuto ad

144 Cfr. Catarci M., “La pedagogia degli oppressi di Paulo Freire”, in Studium, n.4, 2004, pp.491-504. 145 Schettini B., Leggere le parole per leggere il mondo. Attualità del pensiero e dell’azione di Paulo

Freire (1921-1997), in “Studium”, marzo/aprile 2007, pp.303-304.

146 Cfr. Adrianopoli Cardullo M.C., Paulo Freire: un percorso di apprendimento e di coscientizzazione,

Le Mani, Genova 2004, pp.167-169.

147 Lewin K., Action Research and Minority Problems, in “Journal of Social Issues”, n.2, Massachussets

1946, pp.34-46; dello stesso autore si veda anche I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Angeli, Milano 1980.

imporre un modello critico di ricerca-azione, rivolto più all’emancipazione delle popolazioni oggetto di studio piuttosto che alla ricerca vera e propria. In Europa le due maggiori scuole rifacentesi a questa metodologia sono quella francese, che fa sostanzialmente capo ad Hess e Touraine con la loro Sociologia dell’Intervento o Sociologia dell’Azione…e quella inglese, che trova per altro grandi applicazioni nei paesi del nord Europa, di derivazione più prettamente lewiniana.

Metodologicamente il ciclo della ricerca-azione è piuttosto semplice e sostanzialmente valido per tutte le sue elaborazioni. Esso comprende:

1. identificazione dei problemi da risolvere, dei fattori casuali esistenti, delle limitazioni ambientali presenti e delle professionalità di cui ci si può avvalere;

2. formulazione delle ipotesi di cambiamento e dei piani di implementazione; 3. applicazione delle ipotesi nei contesti-obiettivo del piano formulato;

4. valutazione dei cambiamenti intervenuti ed implementazione dei metodi applicati;

5. approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione capillare delle applicazioni con valutazione positiva”148.

A partire dal lavoro svolto con i contadini brasiliani e cileni, nel corso degli anni e con l’aumetare delle esperienze pedagogiche condotte da Freire, il Metodo conosce un processo di “planetarizzazione”, nel senso che viene portato – con modalità differenti e anche con effetti di rilievo differente a seconda delle situazioni – in contesti culturali molto distanti da quelli in cui è stato elaborato.

Il Metodo Paulo Freire nasce a Recife fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del Novecento. In quel periodo la città di Recife e lo stato del Pernambuco stavano vivendo un momento di intensa produzione culturale, innovativa e per alcuni aspetti rivoluzionaria, attraverso le attività del Movimento di Cultura Popolare (MCP), di cui Freire era tra i principali esponenti.

Paulo Rosas, uno psicologo e intellettuale amico e collaboratore di Freire, nonché altro esponente di rilievo del MCP, ha ricordato così quegli anni di grande fermento culturale:

“o que aconteceu no Recife, de 1960 a 1964, foi a eclosão de um movimento que existia latente, que se desenvolvia, de modo concreto, a partir dos anos 50 e encontrava raízes na tradição libertária de Pernambuco, de modo particular na Faculdade de Direito do Recife. Desenvolvia-se, também concretamente, na organização politica partidária, com a constituição da Frente de Recife…

148 Bortoletto N., La ricerca-azione: un excursus storico-bibliografico, in Minardi E., Cifiello S. (a cura

di), Ricercazione. Teoria e metodo del lavoro sociologico, Franco Angeli, Milano 2005, p.55. Sulla ricerca azione si veda anche il volume di Mantovani S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione. I

De 1960 a 1964, Recife pode ser considerada como um laboratório, onde se desenvolveu um experimento único: hoje, talvez, se falasse em pesquisa participativa ou pesquisa-ação…O fato è que a cidade, naquele periodo, foi um laboratório. Claro, o esperimento não poderia se encaixar nos cánones positivistas. Nem se precisaria disto. Seguiu, enquanto experimento, sem planejamento ortodoxo. Sem definição de objetivos nem de hipóteses. Sem deliberada construção de instrumentos. Sem caraterização de amostra, nem sorteio aleatório, nem controle das variáveis”149.

A partire da questi fermenti culturali e dai primi esperimenti condotti con piccoli gruppi nelle parrocchie e nei quartieri popolari di Recife, il Metodo Paulo Freire viene poi sperimentato con successo nell’azione educativa di Angicos, cittadina situata nello stato del Rio Grande do Norte, che porta clamorosamente all’alfabetizzazione funzionale di 300 lavoratori rurali in un mese e mezzo di lavoro. Dal Brasile si sperimenta poi in Cile, dove Freire visse in esilio per cinque anni, riscontrando numerosi nuovi successi con i contadini coinvolti nel processo di riforma agraria del governo progressista di Eduardo Frei.

Dopo l’esperienza cilena e in seguito alle nuove esperienze dell’educatore e pedagogista in Svizzera, negli anni Settanta il Metodo Paulo Freire approda in Africa, nelle ex-colonie portoghesi di recente indipendenza: Guinea Bissau, Capo Verde, São Tomé e Príncipe.

Proprio dell’esperienza in quest’ultima ex-colonia Freire parla nell’ultimo capitolo di un piccolo testo pubblicato in Brasile per la prima volta nel 1982, dal titolo A

importância do ato de ler (“L’importanza dell’atto di leggere”). Nelle isole di São

Tomé e Príncipe, piccoli agglomerati di pescatori di poche decine di migliaia di abitanti, il Metodo deve infatti rinnovarsi, spostando l’attenzione dalle parole generatrici che avevano a che fare con la campagna e la vita contadina a quelle che invece potevano facilmente associarsi al mare e alla vita di un villaggio di pescatori150.

149 “Quel che succedeva a Recife, dal 1960 al 1964, fu l’emersione di un movimento che esisteva latente,

che si sviluppava in modo concreto, a partire dagli anni 50 e aveva radici nella tradizione libertaria del Pernambuco, in modo particolare nella Facoltà di Diritto di Recife. Si sviluppava, anche concretamente, nell’organizzazione politica partitica, con la costituzione del Fronte di Recife…Dal 1960 al 1964 Recife può essere considerata come un laboratorio, dove si sviluppò un esperimento unico: oggi, forse, si parlerebbe di ricerca partecipata o di ricerca-azione…il fatto è che la città, in quel periodo, fu un laboratorio. Chiaro, l’esperimento non si poteva rinchiudere nei canoni positivisti. Nemmeno ce n’era bisogno. Continuò, in quanto esperimento, senza una pianificazione ortodossa. Senza una definizione di obiettivi né ipotesi. Senza una costruzione deliberata di strumenti. Senza una connotazione di mostra, né sorteggio aleatorio, né controllo delle variabili”. Rosas P., Recife: cultura e participação (1950-64), in Freire P., Educação e atualidade brasileira, Cortez, São Paulo 2001, pp.LXVI-LXVII (mia traduzione dal portoghese).

Verso la metà degli anni Ottanta, poi, diversi dialoghi con Donaldo Macedo – linguista capoverdiano docente da molti anni negli Stati Uniti, confluiti nel volume pubblicato nel 1990 Alfabetização. Leitura do mundo leitura da palavra (“Alfabetizzazione. Lettura del mondo lettura della parola”), riprendono e chiariscono meglio l’esperienza di Freire in Guinea Bissau, già raccontata nel testo degli anni Settanta Pedagogia in cammino. Lettera alla Guinea Bissau, che rimane comunque il racconto più importante e fedele dell’esperienza africana del pedagogista (oltre che l’unico tradotto in italiano)151.

I dialoghi con Macedo chiariscono alcuni punti rimasti oscuri nella precedente opera, tanto da far parlare, come hanno fatto diversi critici dell’opera del pedagogista, di fallimento del Metodo Paulo Freire in Africa. Va detto, a scanso di equivoci, che Freire in effetti non ottenne in Africa gli stessi risultati che ottenne precedentemente in Brasile e in Cile. Va anche precisato, però, che le condizioni e le possibilità dei Paesi in cui il pedagogista si è trovato ad operare negli anni Settanta presentavano situazioni di difficoltà assolutamente straordinarie, dal punto di vista sì economico, ma soprattutto politico e culturale.

Il problema che sembra aver determinato un successo soltanto parziale del Metodo di alfabetizzazione in Guinea Bissau (e in tutta l’Africa lusofona) riguarda proprio la questione di ordine culturale costituita dalla lingua. La discrepanza fra il portoghese, lingua ufficiale del regime coloniale, e il creolo, lingua dell’interazione quotidiana fra le popolazioni locali, causò una situazione di stallo sia nelle riunioni dei formatori della équipe, sia nelle riunioni con gli educandi stessi, che non riuscivano a interagire in una lingua a loro straniera – o al massimo considerata “seconda lingua”.

Ciò sembra aver causato una sorta di conflitto ideologico tra Freire e il governo della Guinea Bissau: mentre il pedagogista proponeva insistentemente l’alfabetizzazione in lingua creola locale, poichè gli sembrava l’unico modo per uscire dalla situazione di stallo, il governo guinense impose invece l’alfabetizzazione in lingua portoghese, sia per il motivo politico dell’affermazione dell’unità nazionale, sia per il motivo culturale della mancanza di un manuale di regole grammaticali in lingua creola e della conseguente mancanza di “ufficialità” a livello internazionale di questa lingua.

Freire si rimise completamente al volere del governo della Guinea Bissau, al punto tale che nel libro-raccolta delle sue lettere al ministro guinense Mário Cabral scelse di autocensurarsi, non pubblicando la lettera in cui affermava l’idea di procedere al più presto alla stesura di un manuale di grammatica in lingua creola per favorire così in tempi rapidi l’alfabetizzazione delle popolazioni locali.

Si è trattato non certo di una resa, meno ancora di un atto di piaggeria politica, ma soltanto di una volontà di andare incontro alle idee governative, nella convinzione che la causa più importante di tutte era e rimaneva il consolidamento dell’indipendenza nazionale appena raggiunta – convinzione, questa, che Freire stesso diceva influenzata dalla concezione dell’ “intellettuale organico” di Antonio Gramsci.

Così, in questa lettera autocensurata a Mário Cabral datata luglio 1977, ripubblicata poi nello scritto in collaborazione con Macedo del 1990, il pedagogista affermava senza usare mezzi termini:

“na verdade, a língua portuguesa não é a língua do povo da Guiné-Bissau. Não è por acaso que o camarada presidente se cansa, como nos afirmou, quando tem de falar, por longo tempo, em português. O que se vem observando, nas zonas rurais, apesar do alto nível de interesse e de motivação dos alfabetizandos e dos animadores culturais, è a impossibilidade de aprendizado numa língua estrangeira como se ela fosse nacional. De uma língua virtualmente desconhecida, pois que as populações, durante os séculos de presença colonial, mutando por preservar sua identidade cultural, resistiram a ser tocadas pela língua dominante…O uso de suas línguas deve ter sido, por muito tempo, um dos únicos instrumentos de luta de que dispunham. Não è de estranhar, pois, que os próprios animadores culturais destas mesmas zonas dominem precariamente o português. De estranhar seria que, em tais circunstâncias, o aprendizado da língua portuguesa se estivesse dando, mesmo razoavelmente, apenas”152.

Nel medesimo testo, Donaldo Macedo opera alcune importanti distinzioni fra i diversi approcci all’alfabetizzazione che si possono teorizzare e mettere in atto.

152 “In realtà, la lingua portoghese non è la lingua del popolo della Guinea Bissau. Non è un caso che il

compagno presidente si stanca, come ci ha detto, quando deve parlare per molto tempo in portoghese. Ciò che si osserva nelle zone rurali, nonostante l’alto livello di interesse e di motivazione degli alfabetizzandi e degli animatori culturali, è l’impossibilità di apprendimento di una lingua straniera come se fosse la lingua nazionale. Di una lingua di fatto sconosciuta, in quanto le popolazioni, durante i secoli di presenza coloniale, lottando per preservare la loro identità culturale, resistettero a essere toccati dalla lingua dominante…L’utilizzo delle loro lingue dev’essere stato, per molto tempo, uno degli unici strumenti di lotta di cui disponevano. Non è strano, perciò, che gli stessi animatori culturali di queste stesse zone dominino precariamente il portoghese. Sarebbe strano, in tali circostanze, che si stesse impartendo soltanto l’apprendimento della lingua portoghese, anche se in maniera razionale”. Freire P., Macedo D.,

Alfabetização. Leitura do mundo leitura da palavra, Paz e Terra, Rio de Janeiro 1990, p.141 (mia

Ne vengono individuati cinque, così indicati:

1) l’approccio accademico, in cui si impartiscono esercizi tecnici per facilitare la comprensione e l’identificazione delle parole;

2) l’approccio utilitarista, in cui si mira a dotare gli individui delle competenze tecniche maggiormente richieste nel mondo contemporaneo;

3) l’approccio dal punto di vista dello sviluppo cognitivo, in cui la comprensione del testo è di secondo piano, poiché l’obiettivo principale sta nello stimolare lo sviluppo di strutture cognitive sempre più complesse nella mente dell’alfabetizzando;

4) l’approccio romantico, in cui si enfatizza l’aspetto dell’apprendimento della lettura come esperienza personale e piacevole per l’individuo;

5) l’approccio emancipatorio, in cui l’apprendimento della lingua si rivela come mezzo per l’apprendimento della storia e della cultura, privilegiando la dimensione della comprensione diretta del testo e dell’inquadramento dello stesso nel contesto storico, culturale e sociale di riferimento153.

L’approccio freireano all’alfabetizzazione si può inquadrare certamente nell’ultimo fra gli approcci menzionati da Macedo, ossia in quello emancipatorio.

Come afferma anche Ernani Maria Fioril, infatti,

“il metodo Paulo Freire non insegna a ripetere, non si limita a sviluppare la capacità di pensarle secondo le esigenze logiche del discorso astratto; colloca semplicemente l’alfabetizzando in condizione di poter dare una seconda esistenza critica alle parole del suo mondo, per sapere e potere, al momento opportuno, dire la sua parola. Ecco perché, in una cultura letterata, impara a leggere e scrivere, ma l’intenzione ultima con cui lo fa va oltre l’alfabetizzazione. Attraversa, dandole vita, tutta un’iniziativa di educazione, che non è altro che l’apprendistato permanente di questo sforzo di totalizzazione mai finito, attraverso cui l’uomo tenta di abbracciare interamente se stesso nella pienezza della sua forma. È la stessa dialettica per la quale l’uomo diventa un’esistenza”154.

Tali concezioni, peraltro, rivelano una radice vygotskijana del pensiero di Paulo Freire, dal momento che nel metodo freireano uno dei presupposti basilari e degli obiettivi

153 Cfr. Ivi, pp.89-107.

154 Fioril E.M., Imparare a parlare. Il metodo di alfabetizzazione Paulo Freire, in Freire P., La pedagogia

stessi del percorso pedagogico è costituito dalla conoscenza linguistica del mondo, nella convinzione che i processi del pensiero e del linguaggio inteso come espressività del pensiero sono contigui e assolutamente non scindibili.

Lo psicologo culturale sovietico Lev Semenovic Vygotskij (1896-1934), infatti, nella sua fondamentale opera Pensiero e linguaggio, apparsa pochi mesi dopo la sua morte, analizzando i processi attraverso cui si formano i concetti nel percorso di crescita dell’essere umano, affermava che essi

“non giacciono nella mente del bambino come piselli in un sacco, senza legami tra di loro. Se così fosse, nessuna operazione intellettuale che richieda la coordinazione di più pensiero sarebbe possibile, né lo sarebbe alcuna concezione generale del mondo. E neppure dei concetti separati potrebbero come tali esistere; la loro stessa natura presuppone un sistema. Lo studio dei concetti del bambino ad ogni livello di età, dimostra che il grado di generalità (pianta, fiore, rosa) è la variabile psicologica fondamentale secondo cui essi possono essere ordinati in modo significativo”155.

Nel Metodo Paulo Freire, il momento del passaggio dalle parole generatrici ai quadri- situazione e dalla codifica alla decodificazione delle immagini contenute in ognuno dei quadri, mira a costituire un progressivo ampliamento dei processi cognitivi dell’individuo e delle relazioni che egli può stabilire con la realtà sociale e culturale di riferimento, in perfetto accordo quindi con la visione di Vygotskij.

João Wanderley Geraldi, inoltre, ha individuato un’ulteriore radice di questo “sfondo linguistico” su cui si muove e si elabora il Metodo di Freire nel testo dei semiologi russi Bakhtin e Voloshinov Marxismo e filosofia del linguaggio (1929).

Anche in questo testo, il concetto su cui i due studiosi insistono è l’esprimibilità di tutta l’attività mentale, secondo cui il linguaggio non è che un mezzo culturale finalizzato ad esprimere l’attività pensante propria di ogni individuo e tale funzione espressiva, di conseguenza, non può risultare separata dal resto delle attività mentali156.

Da qui discenderebbe, dunque, la concezione freireana del linguaggio come mezzo predisposto per il dialogo con l’alterità: se non può esserci dialogo con l’altro, se non ci sono un “tu” e un “io” che funzionano come due canali comunicativi differenti e

155 Vygotskij L.S., Pensiero e linguaggio, Barbera, Firenze 1966, p.137.

156 Cfr. Voloshinov V., Bakhtin M., Marxismo e filosofia da linguagem, cit. in Geraldi J.W., A linguagem

em Paulo Freire, in AA.VV. Caminhando para uma cidadania multicultural, Actas IV Encontro

Internacional Forum Paulo Freire, Porto 2004, dal sito Internet www.ipfp.pt (consultazione: novembre 2007).

complementari, allora non avrebbe senso neanche la parola stessa, né sarebbero ravvisabili in essa funzioni storico-sociali più importanti o di uguale importanza a quella della comunicazione dialogica.

Tale concezione avvicina il pensiero di Paulo Freire anche alla corrente del personalismo cristiano e in particolare al filosofo francese Jacques Maritain (1882- 1973), più volte direttamente citato dal pedagogista, soprattutto nelle sue opere di esordio. Maritain e il personalismo, infatti, rappresentano una delle importanti radici culturali in cui nacquero il Movimento di Cultura Popolare di Recife e lo stesso Metodo freireano.

I concetti del pensiero personalista che sono stati particolarmente ripresi dal pedagogista riguardano da un lato la concezione della persona, dall’altro la concezione