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Teologia della liberazione, Marx e Freire

Riferimenti e affinità cultural

2.1 Marxismo e Teologia della liberazione

2.1.1 Teologia della liberazione, Marx e Freire

Prima di passare ad analizzare i legami fra le visioni pedagogiche e filosofiche di Freire e il pensiero della Teologia della liberazione, sembra utile, per maggiore chiarezza e completezza, soffermarsi brevemente anche sui legami fra quest’ultima e alcuni aspetti del pensiero marxiano.

Uno degli aspetti che avvicina la dottrina del cristianesimo socialista latinoamericano al pensiero di Marx si ravvisa nell’intento, perseguito dai principali ideologi di questa corrente, di avvicinare il più possibile la sfera del teologico alla sfera dell’umano, al fine di fare del pensiero religioso e della pratica stessa della religione due importanti leve di trasformazione sociale.

A questo proposito Gustavo Gutierrez, sacerdote peruviano che fu tra i fondatori del movimento teologico latinoamericano, in un’importante opera dei primi anni ‘70 affermava che

“la teologia contemporanea si trova in un inevitabile e fecondo dialogo col marxismo, mentre il pensiero teologico, in gran parte, sotto questo stimolo e richiamandosi alle sue origini, si orienta verso una

71 “Difficile invece immaginare cosa accadrà in paesi immensi, come la Cina e l’India, sempre più

protagonisti della storia del pianeta. Il carattere occidentale della globalizzazione reca con sé le istanze e i desideri di una soggettività individuale e collettiva, non solo mortificata, ma anche arricchita dalla sensazione che la vita sia tutta qui: una soggettività che cerca chiarezza nella confusione e precarietà del rapporto tra tempo di lavoro e di vita; insofferente verso un crescente potere delle cose e bisognosa di vecchi e nuovi rapporti di socialità”. Donaggio E., Kammerer P., Introduzione, in Marx K., Antologia.

riflessione sul significato della trasformazione del mondo e sulla azione dell’uomo nella storia. Da ultimo, la riscoperta, in teologia, della dimensione escatologica ha permesso di vedere il ruolo centrale della

prassi storica”72.

Si tratta, in questa prospettiva, di inserire la teologia pienamente all’interno delle scienze umane, inserendo gli elementi di trascendenza nella realtà concreta e fattuale e nel suo divenire storico, al fine di fare del teologo

“un nuovo tipo di intellettuale organico, per usare un’espressione di A.Gramsci, qualcuno che sia veramente impegnato, con tutta la sua vita, nei fatti storici concreti, che esprimono la lotta di paesi, classi sociali e di uomini per liberarsi dal dominio e dall’oppressione di chi tiene sottomessi altri paesi, classi e uomini”73.

Un altro aspetto che funge da collegamento tra la Teologia della liberazione e il pensiero marxiano è l’accento posto dal teologo peruviano sul tema della lotta di classe. Sebbene la Chiesa nella dottrina ufficiale abbia sempre osteggiato questo tema in vista dell’unità mondiale dei cristiani,

“la partecipazione alla lotta di classe non solamente non si oppone all’amore universale, ma è oggi la mediazione necessaria e insostituibile per diventare effettivo, per arrivare, cioè, a una società senza classi, senza proprietari e spogliati di tutto, senza oppressori e oppressi. La riconciliazione, in una impostazione dialettica, è superamento di un conflitto. La comunione della gioia pasquale passa per lo scontro e la croce”74.

Va precisato, comunque, che la grande differenza rimanente fra la Teologia della liberazione e il pensiero di Marx sta proprio nella visione della religione.

Mentre per la prima corrente di pensiero essa costituisce la principale leva per la trasformazione sociale e l’avvento di una rivoluzione socialista in Sud America, per il filosofo di Treviri al contrario si avverte la necessità di “liberare le coscienze dallo spettro della religione”.

Essa, infatti, nella prospettiva dell’avvento della futura società comunista, costituisce

72 Gutierrez G., Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972, p.19. 73 Ivi, p.23.

“un fenomeno destinato a svanire appena l’esperienza del mondo garantirà agli individui quella felicità

reale che la fede in un Dio elargisce in forma soltanto ingannevole. Un’esistenza sufficientemente buona, umana, non necessita del sostegno di risorse di senso estranee, ma si giustifica da sé persino al cospetto

della morte”75.

È però anche necessario puntualizzare, per completezza, che Marx elaborò questa concezione della religione relativamente alle coordinate storico-culturali del suo tempo, cioè a una società europea, in fase di inurbamento massiccio e di diffusione a macchia d’olio dell’economia capitalista. Ciò va rilevato non tanto per criticare o sminuire questa concezione marxiana, bensì semplicemente per far notare che un movimento religioso come la Teologia della liberazione, maturato nel tardo Novecento in un contesto differente dalla chiesa cattolica o protestante europea – un ambito coloniale, multiculturale e per alcuni versi in fase ancora pre-industriale – si è fatto da subito e con forza portatore di tematiche di grande rilevanza sociale, insistendo sulla vocazione fondamentalmente socialista del messaggio di Cristo.

La prospettiva della Teologia della liberazione, insomma, può essere definita come una forma di marxismo “temperata” da altri tipi di istanze di carattere umanistico- religioso, calata nel contesto culturale latinoamericano degli anni ’60 e ’70 del Novecento e basata principalmente su un’interpretazione della teologia e delle Sacre scritture venata di istanze politiche e sociali.

In questo quadro tracciato, il pensiero di Paulo Freire – intellettuale latinoamericano, socialista e di radici cattoliche – risulta un riferimento naturale dei teologi della liberazione, data anche la contemporaneità storica in cui l’uno e gli altri si trovano ad agire.

Un elemento di collegamento forte fra il pedagogista e i teologi, ad esempio, riguarda il concetto di utopia come unione di “denuncia” e “annuncio”.

Secondo la corrente teologica latinoamericana, infatti, mentre la denuncia serve per portare alla luce la situazione socio-politica dell’America latina degli anni ’60 e ’70 del Novecento - basata sull’ingiustizia sociale, sulla violenza e sul dominio dei forti sui deboli, degli oppressori sugli oppressi - l’annuncio, invece, serve per portare al popolo la speranza del verbo liberatore di Cristo, la cui lotta viene accomunata alla lotta di tutti

gli oppressi del mondo povero. L’unione di questi due momenti porta alla realizzazione dell’utopia nella storia, ossia alla trasformazione strutturale della società.

In questa concezione si avvertono forti echi freireani, anche dal punto di vista del linguaggio usato, poiché anche il pedagogista affermava che

“utopico non significa qualcosa di irrealizzabile, non è espressione di idealismo. Utopia significa un atteggiamento dialettico negli atti di denunciare e dell’annunciare-denunciare la struttura che disumanizza ed annunciare la struttura che umanizzerà. Quindi l’ utopia è un impegno nella storia”76.

Il concetto freireano di “utopia”, tra l’altro, verrà ripreso più compiutamente in

Pedagogia della speranza, importante opera del 1992 dove il pedagogista, alla luce

delle nuove esperienze fatte come educatore e professore universitario e a quasi 25 anni di distanza da La pedagogia degli oppressi, propone un’attualizzazione di quest’ultima, basandola su un approccio coerente con il passato ma al contempo ricco di novità anche dal punto di vista epistemologico.

Qui Freire afferma:

“sono un uomo di speranza. Con ciò non voglio dire che attribuisca alla mia speranza il potere di trasformare la realtà e, così convinto, parta per il confronto senza prendere in considerazione i dati concreti, materiali basandomi sull’affermazione che la mia speranza basti. La mia speranza è necessaria ma non sufficiente. Essa, da sola, non vince la battaglia: senza di essa, però, la lotta si infiacchisce e vacilla. Abbiamo bisogno di una speranza critica, come il pesce ha bisogno di acqua non inquinata!”77.

I due concetti di “utopia” e “speranza”, dunque, sembrano fortemente collegati e di grande importanza nella visione della dinamica della storia e dell’essere umano – che sempre si muove dentro di essa – proposta dal pedagogista brasiliano.

La funzione storica della speranza, tra l’altro, viene messa in luce anche dalla corrente del pensiero teologico, che sostiene che la denuncia è valida solo se accompagnata da una realtà nuova che si annuncia.

Come afferma ancora Gutierrez, infatti,

76 Freire P., Coscientizzazione, cit. in Bellanova B., Postfazione. “Essere altri da come siamo stati”, in

AA.VV., Il metodo Paulo Freire. Nuove tecnologie e sviluppo sostenibile, CLUEB, Bologna 2002, p.467.

77 Freire P., Pedagogia della speranza. Un nuovo approccio alla Pedagogia degli oppressi, EGA, Torino

“sperare non è conoscere il futuro ma essere disposti, in un atteggiamento d’infanzia spirituale, ad accoglierlo come un dono. Ma lo si accoglie nella negazione dell’ingiustizia, nella protesta per i diritti umani conculcati e nella lotta per la pace e la fratellanza. Per questo la speranza adempie una funzione dinamica e liberante della storia, reale e profonda anche se non molto appariscente”78.

Anche il tema della parola come fattore di liberazione, su cui il pensiero teologico latinoamericano si è a più riprese soffermato, rimanda a un ulterore eco freireano della Teologia della liberazione:

“l’annuncio evangelico ha, dunque, una funzione coscientizzatrice o, in altri termini, politicizzatrice. La predicazione della Parola sarebbe vuota e astorica se pretendesse evitare questa dimensione, non sarebbe il messaggio del Dio che libera, di Colui che si reintegra”79.

Questa tematica sembra collegarsi direttamente, infatti al valore centrale attribuito alla parola all’interno del metodo di alfabetizzazione elaborato dal pedagogista brasiliano: una parola carica di significati individuali, sociali e in ultima istanza politici.

Il concetto di sviluppo, poi, nel pensiero della corrente religiosa latinoamericana, è strettamente connesso al concetto di liberazione. A questo proposito, rifacendosi evidentemente a Celso Furtado e agli economisti teorici della dependencia, Gutierrez afferma una visione dello sviluppo come “processo sociale globale”,

“comprendente aspetti economici, sociali, politici e culturali, e si cerca di dimostrare come questi diversi livelli siano interdipendenti. La crescita di uno abbassa il livello degli altri, mentre, inversamente, il ristagno dell’uno ostacola lo sviluppo degli altri…si arriva, così, alla conclusione che la dinamica dell’economia mondiale porta simultaneamente all’aumento di ricchezza per pochi e di povertà per molti”80.

Attraverso questo processo si genera la teoria della liberazione, dove lo sviluppo muove da una prospettiva umanistica e olistica che parte dalla liberazione personale per

78 Gutierrez G., Teologia della liberazione, già cit., p.216. 79 Ivi, pp.268-269.

arrivare alla liberazione collettiva, sociale, culturale e politica – esattamente come nel percorso della pedagogia dell’oppresso elaborato da Paulo Freire.

Va precisato, per completare il percorso tracciato, che tali concezioni della Teologia della liberazione sono da contestualizzare geograficamente ai Paesi dell’America latina e storicamente al peculiare momento rappresentato dagli anni ’60 e ’70 del Novecento, momento in cui si agitavano molte speranze di liberazione dalle situazioni di oppressione, generate dalla sudditanza storica ed economica nei confronti dei Paesi occidentali e materializzate in nuove forme di dipendenza e di colonialismo.

Oggi, in seguito alle numerose prese di posizione della Chiesa cattolica contro la Teologia della liberazione, il movimento religioso latinoamericano risulta indebolito e meno organizzato, sebbene esistano ancora numerosi sacerdoti e intellettuali che si richiamano a questa corrente di pensiero e numerose iniziative di educazione popolare sul territorio organizzate da movimenti cattolici e protestanti81.

Nella fase attuale, diversi studiosi e attivisti del movimento latinoamericano, più che di Teologia della liberazione, preferiscono parlare di “Teologie della liberazione”, ossia di movimenti religiosi più vasti, che attraverso sia la chiesa ufficiale sia le associazioni di volontariato e le parrocchie slegate dai circuiti istituzionali si occupano delle problematiche sociali del nostro tempo a diversi livelli: non solo il dramma della povertà, dunque, ma anche la differenza di genere, la differenza culturale e il problema ecologico.

Il riconoscimento delle alterità, come sostiene José R. Regidor, deve partire proprio dal riconoscimento del ruolo giocato dall’oppressione culturale coloniale nella storia sociale - anche e soprattutto dal punto di vista religioso - dei Paesi e dei popoli latinoamericani:

81 Per quanto concerne gli intellettuali e i sacerdoti, vanno citati almeno Leonardo Boff e Frei Betto.

Leonardo Boff ha pubblicato molti volumi sulla teoria e la prassi della Teologia della liberazione, fra cui è importante citare La teologia, la chiesa, i poveri (Einaudi, Torino 2001). Frei Betto ha avuto una importante collaborazione intellettuale con Freire, confluita nel libro Una scuola chiamata vita (EMI, Bologna 1986).

Per quanto riguarda le iniziative sul territorio, invece, è utile accennare alla realtà della Universidade

Popular do Nordeste (UNIPOP), con sede a Recife nella favela Bola de ouro, alle cui attività chi scrive

ha avuto la possibilità di partecipare nei mesi di agosto-settembre 2007. La UNIPOP, fondata e coordinata dal Rettore Jardson Gregório, pastore evangelico e fondatore di una Comunità evangelica di base, si propone di migliorare le condizioni di vita della favela attraverso la garanzia di una presenza fissa e costanti interventi educativi. Il reverendo Jardson, insieme al gruppo di educatori e volontari che coordina, organizza giornalmente lezioni ed altre attività per i favelados. Il Grupo amigos e amigas da

sabedoria (GAAS), inoltre, organizza attività settimanali di studio e di lettura collettiva sempre dentro la favela e alcune lezioni aperte sul tema della tolleranza religiosa, tenute in diversi luoghi, istituzionali e

“nella prima evangelizzazione i missionari europei non furono capaci di cogliere l’alterità e quindi gli aspetti positivi delle culture e delle religioni dei popoli che abitavano quelle terre. Questa negazione

dell’alterità era legata al colonialismo e ha portato al genocidio e all’etnocidio di quei popoli. Per cercare

di rispondere a questi e altri problemi emergono oggi altre teologie della liberazione. La teologia

femminista della liberazione latino-americana ha raggiunto una elaborazione profonda e articolata,

prodotta da Elsa Támez, Yvone Gevara, Maria Pilar Aquino…Parallelamente stanno sorgendo la teologia

indigena e la teologia nera. Per quanto riguarda il discorso ecologico, il problema di fondo sta nel come

mettere insieme il grido della terra e il grido dei poveri, la questione ecologica e la questione sociale”82.