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Parte II – Analisi e critica delle interpretazioni della filosofia della religione

1. L’interpretazione mistica

1.1 Il neoplatonismo: Plotino e Proclo

Ho ritenuto opportuno cominciare da una corrente di pensiero che pur essendo precedente alla fase più propriamente cristiana della filosofia che qui stiamo considerando ne costituisce comunque una radice fondamentale, in quanto considerata dallo stesso Hegel la via d’accesso alla verità contenuta nella religione cristiana. Il neoplatonismo, infatti, anche definito all’interno delle Lezioni sulla storia della filosofia come filosofia alessandrina, concepisce per la prima volta in Grecia la natura spirituale di Dio. Esso teorizza, ovvero, il meccanismo per il quale l’autocoscienza divina si sa e in questo sapersi si rende concreta. A questo proposito Hegel si esprime così:

Dell’idea cristiana abbiamo già cognizione grazie alla filosofia neoplatonica. Infatti essa ha per suo principio essenziale che ciò che è in sé e per sé, Dio, è lo

spirito, ed in essa del pari s’afferma in modo determinato che cosa lo spirito è: Dio non è una parola vuota o una mera rappresentazione, bensì viene determinato in maniera concreta come spirito60.

All’interno di questa tradizione spicca in particolare la figura di Proclo, ritenuto da Hegel un neoplatonico “diverso dagli altri” poiché incredibilmente più vicino al suo pensiero rispetto ai suoi predecessori, tanto che Feuerbach arrivò a chiamare Hegel stesso il “Proclo tedesco”. Plotino, infatti, aveva raggiunto senz’altro una serie di traguardi importati, ma allo stesso tempo si era scontrato con una serie di problematiche insanabili. Egli riuscì a slegare da concezioni estatiche e pagane la speculazione sull’Uno, avvicinandosi così non solo al nostro ermetismo, ma anche al paradigma gnostico della conoscenza intellettuale che all’epoca costituiva un altro fertile modello di misticismo. Inoltre, facendo un passo avanti rispetto a quest’ultimo, aspramente criticato nelle sue Enneadi, accettò come essenziale a tale speculazione il mondo e le dinamiche del finito, poiché, come ci dice Hegel, sosteneva che il vero potesse essere compreso solo come unione di intellegibile e reale, e non come mero pensiero, alla maniera gnostica. Nonostante ciò, egli era rimasto legato a una concezione dell’Uno ancora non dialettica e dunque non “rivelata” e propriamente necessaria61, laddove al contrario Proclo è il primo a introdurre una vera dialettica dell’Uno, una forma realmente concreta. Ne deriva che la sistematizzazione di quest’ultimo risulta agli occhi di Hegel estremamente più coerente, proprio perché ciò che era ignoto e autosufficiente in Plotino acquista una maggiore specificazione nella forma triadica che ad esso viene ora associata. Proclo, ovvero, ha il merito di aver introdotto un concetto di trinità in cui si può evidenziare il processo di autosviluppo dell’Uno. Tale processo si muove mediante necessità, invece che per semplice sovrabbondanza come accadeva in Plotino, e deve per forza generare il mondo per raggiungere la completezza. La struttura triadica dell’uno, dell’illimitato e del limite inizia a rispecchiare il concetto che l’idealismo di Hegel attribuirà in seguito al vero: si manifesta cioè come una serie di negazioni che determinano un risultato positivo.

60 G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, Laterza, Bari 2009, p.390

61 “Quel che resta inespresso è la necessità di schiudersi, di differenziarsi; i diversi momenti vengono solo posti, accadono” (Ivi, p.381). Lo sforzo di Plotino di ipostatizzare e rendere determinate le sue categorie fa sì che venga perso di vista il processo dialettico di negazione e mediazione che costituisce il divenire eterno di Dio.

Ciò che è più determinato, ciò che è eccellente è, secondo Proclo, la determinazione più profonda dell’idea nelle sue tre forme, la trias, la trinità; della quale egli dà in un primo tempo la definizione astratta, chiamando poi dei le tre forme. In seguito egli considera di nuovo le tre determinazioni astratte ciascuna per sé, in quanto totalità della trinità, cosicché esse si presentano come tre determinazioni esprimenti ciò che è in sé e per sé, la totalità, la trinità, ma in maniera tale che ciascuna sia compiuta in se stessa e sia da riguardare come concreta. A tanto perviene Proclo62.

Risuona chiaramente in questa descrizione il concetto di trinità che abbiamo indagato a proposito del cristianesimo nella prima parte della tesi. Proclo avrebbe intuito, secondo Hegel, questa fondamentale impostazione, tanto che al termine del capitolo sulla filosofia alessandrina delle Lezioni egli arriva a specificare che in un questo senso, nel determinare ovvero l’Uno come molteplice e la molteplicità come Uno, “mistico vale speculativo”. Con Proclo ci avviciniamo quindi a quella mistica speculativa di matrice ermetica che abbiamo già detto essere la forma più vicina al pensiero hegeliano, poiché al contrario che nel resto del neoplatonismo troviamo una dipendenza di Dio dal mondo necessaria e dialetticamente giustificata. E’ interessante ipotizzare che forse questo passo in avanti compiuto da Proclo sia proprio dovuto ai suoi interessi nei confronti del Corpus Hermeticum e delle sue dottrine. Lo stesso Hegel scrive che “Proclo studiò tutto quanto attiene ai misteri: gli scritti ermetici, la poesia orfica”63. Nonostante questo, risulta improprio definire Hegel il “Proclo tedesco”, poiché, come anticipavamo, la forma attraverso la quale viene espressa la verità è ancora immediata, tanto che anche a livelli di contenuto l’Uno di Proclo rimane infine indefinibile e ineffabile. Egli infatti, dice Hegel, non riesce a determinare la trinità come il vero perché tale consapevolezza non ha realmente subito la mediazione della particolarità, è una dinamica ancora astratta che per questo si presenta attraverso aspetti “laboriosi e faticosi”. Come è noto, il concetto di Hegel è completamente trasparente e captabile dalle categorie umane, proprio perché ha subito quella “caduta” nel finito che lo ha in un certo senso reso palese, manifesto. Il filosofo svevo si riferisce chiaramente all’evento cristologico per eccellenza, ovvero l’incarnazione, la mediazione che manca al neoplatonismo, persino a quello più

62 Ivi, pp.385-386

“ermetico” di Proclo. In questa sua opinione Hegel somiglia all’Agostino delle Confessioni che loda la filosofia neoplatonica per aver concepito Dio come spirito e aver introdotto la dottrina del Verbo, tale e quale a quella esposta dal prologo del Vangelo di Giovanni, ma allo stesso tempo accusa l’assenza del Cristo e del significato che il suo sacrificio rappresenta per l’umanità. Errato, dunque, il tentativo di rendere Hegel un neoplatonico moderno per la sua esigenza di rendere concreta la dialettica nella finitezza, nella storia e nell’uomo, elemento assente in Plotino quanto in Proclo, che tuttavia, seppur in una misura ancora grezza, aveva già intuito i rapporti tra le due sfere; ma errato ancora di più quell’argomento di natura pneumatologica che vuole individuare in Hegel l’azione di un’anima del mondo al pari che nei neoplatonici. Questa ipotesi, finora lasciata da parte ma degna di essere presa in considerazione, quantomeno per essere criticata, costituisce uno dei cavalli di battaglia dell’interpretazione mistica della filosofia hegeliana. Lo stesso Magee va in questa direzione quando, criticando “la lettura non metafisica/antiteologica” dei “giovani hegeliani”, cita l’opinione, assolutamente corretta a mio parere, di David Kolb, che scrive: “Voglio soprattutto escludere l’idea che Hegel fornisca una cosmologia che comprende la messa in luce d’una nuova e portentosa super-entità, un sé cosmico, un’anima del mondo o una supermente”64. Magee sostiene che invece questo è esattamente ciò che accade nella filosofia hegeliana, ma come vedremo nel capitolo successivo tale concezione dell’Assoluto non ha alcuna giustificazione quando si pensa al “luogo” effettivo in cui esso risiede e opera. Concludendo, mentre del misticismo neoplatonico di Proclo si possono conservare quei caratteri che abbiamo definito ermetici e speculativi, ovvero l’esercizio razionale della dialettica, la necessità e il concetto di Uno differenziato al suo interno, il resto di questo tipo di pensiero non può in alcun modo rispecchiare Hegel e la sua interpretazione della religione, perché, ripetiamolo, tale dialettica rimane immediata, l’Uno è ancora ineffabile e quindi separato dall’uomo che vuole conoscerlo e la sua natura spirituale assume una forma, quella dell’ente cosmico, rappresentativa e trascendente.

64 D. Kolb, Critique of Pure Modernity: Hegel, Heidegger and After, University of Chicago Press, Chicago 1986, pp.42- 43