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Parte II – Analisi e critica delle interpretazioni della filosofia della religione

3. L’interpretazione ateo-umanista

3.4 Karl Löwith

Prima di passare all’analisi critica dell’ateismo della sinistra hegeliana, consideriamo un ultimo autore, non canonicamente inserito all’interno di questa scuola, ma comunque fondamentale per ricostruirne la storia. Karl Löwith è stato uno storico della filosofia moderna e contemporanea grazie al quale ci pervengono oggi numerose riflessioni sulla sinistra hegeliana e sulle sue derive novecentesche. Nella sua opera del 1976, Hegel e il cristianesimo, egli riassume l’interpretazione ateo-umanista dei giovani hegeliani che abbiamo esposto in questo capitolo, confermando le nostre critiche alla teologia classica dal punto di vista della secolarizzazione di Hegel e proseguendo al contempo quell’accusa all’assolutismo hegeliano che era stata inaugurata da Feuerbach. Al “Dio ateo” di quest’ultimo, Löwith sostituisce la dicitura di “Dio dei filosofi”, una perfetta descrizione, che abbiamo per l’appunto utilizzato come titolo di questa tesi, di ciò che abbiamo finora considerato l’oggetto della teologia atipica, definita speculativa o della Offenbarung, proposta da Hegel e il suo sistema: “così il Dio di cui parla Hegel non è, per dirla con Pascal, il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe, ma un Dio dei filosofi, la più alta idea

che come tale è la più alta realtà, spirito che si aliena e ritorna in sé dalla determinatezza del suo essere altro”137. Questa è la grande peculiarità della cosiddetta “onto-teo-logica” di Hegel, una logica ontologica che ha concettualizzato la teologia producendone tanto una critica e un superamento quanto una giustificazione e una restaurazione. Löwith è in questo senso perfettamente in linea con le opinioni di Bauer, Feuerbach e Marx: Hegel modifica in maniera indubitabile la religione cristiana, spingendola verso l’ateismo umanista, ma allo stesso tempo genera una serie di mistificazioni derivanti dall’universalismo del suo sistema che mortificano la parte umana rispetto a quella divina. Per quanto riguarda il primo movimento, quello di secolarizzazione, Löwith riprende quella serie di concetti che abbiamo indagato anche nel capitolo precedente. Prima di tutto ci spiega, sulla scia di Strauss, come Hegel abbia cancellato il carattere positivo della religione cristiana, trasformando il Dio del Nuovo del Testamento, in particolare quello giovanneo, nel “regno degli spiriti” della Fenomenologia, lo stesso regno che diverrà poi in Marx il “regno della libertà senza Dio”. Soprattutto nelle sue opere giovanili, come abbiamo visto nella prima parte parlando della Vita di Gesù, Hegel si concentra sulla ricostruzione della metafisica divina, illustrando il processo di allontanamento dall’uomo attraverso il quale Dio si è imposto positivamente come essere sovrasensibile e “oltramondano”. In questa interpretazione dualistica della religione, la positività si è espressa tramite il dogma della Chiesa e l’esigenza di fede e grazia completamente irrazionali. Il vero germe di rottura della “positività pietrificata”, nascosto all’interno del cristianesimo stesso, è costituito dalla mediazione incarnata da Gesù, che rende la fede una “verità per noi” invece che una semplice imposizione proveniente dall’autorità divina. La critica della positività si intreccia qui con l’avvento del paradigma dell’immanenza, che lega Hegel alla riduzione antropologica di Feuerbach ma persino, secondo Löwith, alla critica del cristianesimo di Nietzsche. La volontà di riportare nell’uomo “i tesori scialacquati nel cielo”, conciliando la fede con il sapere, è la vera rivoluzione che Hegel offre ai posteri con la sua filosofia. L’identità tra umano e divino, accompagnata dalla totale manifestazione del vero presente nella religione assoluta, che è appunto tale perché Dio non è un più un segreto, costituisce la cifra dell’umanismo di Hegel, cristiano in quanto “acme” del soggettivismo moderno e secolare poiché logico e razionale:

Solo il cristianesimo ha dato per la prima volta effettività nella storia universale all’”acme” della soggettività, dell’esser sé e dell’autocoscienza, ponendo ogni uomo come tale in rapporto immediato con Dio in quanto assoluto. Da quando Dio è apparso in un uomo, fondamento di tutta la filosofia seguita al cristianesimo è che la verità assoluta, divina, è per l’uomo. […] L’uomo non vale più come un’essenza compresa nel cosmo, mortale a differenza degli dei immortali e soggetto con loro, alla legge suprema, non della libertà, ma dell’immutabile necessità: al contrario, il divino stesso viene trasferito nell’apice dell’autocoscienza e Dio medesimo è umanizzato. Con l’incarnazione di Dio la cosmo-teologia dei Greci si trasforma in antropo-teologia cristiana138.

Terminata questa fase riassuntiva dei meriti di Hegel in campo teologico, Löwith passa alla critica del suo sistema, riprendendo, come si è anticipato, la dissoluzione della “onto- teo-logica” hegeliana attuata dalla sinistra, in particolare da Feuerbach e Marx. Quest’ultimo accetta la struttura formale del movimento dialettico, ma condanna il carattere universale della logica, che avrebbe depauperato del loro particolarismo le singole esperienze storiche, inserendole nell’autocoscienza assoluta dell’Assoluto. Löwith cita anche la critica di Feuerbach che abbiamo sopra riportato: la tanto discussa conciliazione tra finito e infinito, uomo e Dio, che avrebbe dovuto superare la teologia, ha riconfermato quest’ultima a causa della sua insistenza sulla sfera del pensiero. E’ dunque il problema dell’universale, dello Spirito assoluto che rende necessario e chiuso nella sua idealità il sistema di Hegel, a turbare i successori e i continuatori del suo pensiero. Questa identità tra soggetto e oggetto, che risulta dopotutto il cuore della filosofia hegeliana, va ad influire, come abbiamo ampiamente dimostrato, sul ruolo della finitezza e dell’uomo, generando tutte quelle critiche che vedono Hegel come un nemico del mondo “reale”: tali critiche si concentrano in Feuerbach sulla sensibilità, qui in Löwith, invece, sulla natura in generale. Quest’ultimo, infatti, insiste molto sulla presunta mortificazione del mondo fisico e naturale che Hegel avrebbe portato avanti determinando negativamente tale sfera rispetto a quella ideale, e quindi rispetto a Dio e allo Spirito. La natura, effettivamente, non essendo dotata di autocoscienza come l’uomo, non è consapevole della sua idealità, non è “per sé” ma solo “per noi”, e di conseguenza non risulta spirituale e vera in maniera “hegeliana”.

Con questo fondamentale presupposto che vero Essere è solo quello che si sa, Hegel si trova nella tradizione, non soltanto della filosofia cartesiana e della conseguente ontologia idealistica dell’esser-cosciente, ma anche del pregiudizio cristiano per cui immagine e somiglianza di Dio è solo l’uomo che sa Dio e sa se stesso, e Dio a sua volta non è mondo o natura, ma questi anzi sono opera sua (natura ars dei). Il riadattamento filosofico della storia della creazione in Hegel fa sì che il mondo e la natura divengano l’esser altro esteriore e finito dell’idea assoluta e dell’infinito spirito. Il mondo, che a differenza di Dio e dell’uomo, non sa sé medesimo, non è più per Hegel, pensatore cristiano, un eterno cosmo nel senso greco, che ha in sé il suo logos, ma l’essenzialmente privo di spirito139.

Löwith sembra andare contro quei traguardi fondamentali che avevamo messo in luce nel capitolo sull’interpretazione teologica parlando della secolarizzazione hegeliana della teologia cristiana: la separatezza metafisica tra Dio e mondo si ripropone e di conseguenza Hegel viene inserito in una tradizione dualistica e cartesiana che ci appariva invece superata; la grecità del suo kosmos, pervaso di logos perché necessario e razionalmente organizzato, non viene più attribuita alla natura finita; persino il paradigma del creazionismo viene in un certo senso riconsiderato, presentando il mondo più come un’opera dell’idea che come la sua necessaria controparte “reale”. Löwith scrive, infatti, che dopo la grande manovra dialettica compiuta da Hegel “bisogna avere il coraggio di essere meno riflessivi, meno profondi e meno ingegnosi di lui”140. Ciò significa avere il coraggio di seguire Feuerbach e rivalutare il mondo naturale e sensibile a cui appartiene anche l’uomo, invece di dedicarsi all’”iperfisica” di una realtà extramondana. Löwith sostiene che Hegel abbia generato una frattura tra il mondo della natura e il mondo dello spirito che ha reso l’uno inconsistente e l’altro l’unica vera realtà, traducendo la figura del Dio della religione in quella di uno spirito del mondo che va a istituire una vera e propria “teodicea atea”. Il nostro compito sarà quello di cercare una risposta a tali critiche dall’interno dell’idealismo e dell’identità di infinito e finito della filosofia hegeliana, che abbiamo qui presentato come istanza conciliatrice e non come dualismo. Concentrandoci sulla rivalutazione della natura e della sensibilità, cercheremo di dimostrare come la

139 Ivi, p.64

considerazione della religione in Hegel abbia di fatto condotto a un umanismo razionale che salva e invera queste sfere invece di mortificarle.