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Parte II – Analisi e critica delle interpretazioni della filosofia della religione

2. L’interpretazione teologica: da Revelatio a Offenbarung

2.1 La Destra hegeliana e la teologia classica

Come è noto, la storia della filosofia hegeliana ha visto profilarsi due diverse scuole di pensiero: di fronte ai “giovani hegeliani” della sinistra, si stagliano gli allievi più conservatori, responsabili di un’interpretazione eccezionalmente teologica dell’opera del maestro. Queste personalità della Germania dell’800 hanno dato vita, dunque, a quella lettura che abbiamo già indagato nell’esempio di Vincent Holzer incentrata su una subordinazione della filosofia alla religione: l’interpretazione teologica più classica della filosofia della religione di Hegel deriva proprio dalle voci di Gabler, Carové, Rosenkranz, Göschel e via dicendo, i quali vedono nella filosofia del maestro una sostanziale conciliazione tra fede e ragione che invece di mirare al superamento della prima nella seconda genera una spinta contraria. E’ la religione cristiana a risultare la verità assoluta della storia tanto quanto della logica: entrambe hanno vita e giustificazione al suo interno e la filosofia deve essere di conseguenza “teologizzata”. Abbagnano nomina questa

scuola “la scolastica dell’hegelismo”, dando ulteriore conferma della veridicità del metodo da noi utilizzato nella ricostruzione delle diverse interpretazioni di Hegel: identità di contenuto e semplice trasformazione formale per la destra hegeliana, che vuole rivendicare all’interno della filosofia del maestro una ortodossia religiosa tradizionale come una vera e propria “scolastica”; trasformazione sia di contenuto che di forma per quella sinistra, invece, che spinge Hegel verso la rivoluzione e l’ateismo. Ovviamente questa identità di contenuto è sostenuta sulla base non solo della concezione “a-dialettica” della storia e della logica, che invece di essere “rivoluzionarie” sono “reazionarie” e fondate nel religioso, ma anche dell’imprescindibile concetto di assoluto di cui la filosofia hegeliana si fa portatrice. Si sta facendo accenno a quella dinamica già presentata nelle conclusioni della prima parte riguardante il problema dell’universale, la ragione per la quale Hegel potrebbe tornare in definitiva ad essere un teologo. Ci si chiede, ovvero, se l’unità di umano e divino sia davvero rivolta all’umanismo e alla finitezza o se la presenza dell’Assoluto, come dice Martinetti nel saggio che in seguito citeremo, presupponga una monologica autocomprensione di quest’ultimo, il quale, servendosi degli uomini come mero momento del suo muoversi, rimane un concetto ideale simile al Dio della trinità immanente. Tale problematica riflette le difficoltà di interpretazione più generali che ruotano intorno ai rapporti tra concetto, logica e pensiero da una parte, e realtà, essere e finitezza dall’altra: pur tentando di salvare queste ultime da un idealismo fin troppo “ideale”, ci si trova tuttavia dinnanzi a un concetto unico e assoluto, che risulta essere infine il vero oggetto dell’indagine di Hegel, se non addirittura l’attore principale del movimento del suo sistema. In altri termini, possiamo osservare come il rischio di incappare in una lettura dell’idealismo hegeliano che mortifichi l’umano, i sensi e la natura, sia un’eventualità molto concreta. La causa di ciò risiede nel profondo logicismo di quest’ultimo: il sistema di Hegel, infatti, presenta un razionalismo talmente pervasivo da poter essere considerato a tratti ingiusto nei confronti della sfera del finito. In questo senso, esso ci inganna sulla vera natura dei rapporti tra ragione e sensi, logica e natura, i quali godono in realtà, come tenteremo di dimostrare alla fine della tesi, di quella conciliazione totalmente non violenta che può essere vista come il cuore della filosofia hegeliana. Considerando la suddetta lettura assolutista rispetto alle tematiche qui trattate, la religione e il concetto di Dio cristiano che finora abbiamo criticato, invece che essere superati completamente anche nei loro contenuti, sarebbero l’espressione perfetta, seppur attraverso linguaggi diversi, della verità della filosofia, tanto che Hegel, con la sua esposizione di un Soggetto assoluto, non avrebbe fatto altro che dare conferma alla

teologia. Ciò significa che infine, nonostante il passaggio da rappresentazione a concetto tra religione e filosofia abbia effettivamente eliminato i tratti positivi del cristianesimo, il contenuto più essenziale delle due rimane invariato: il carattere totalmente assoluto e autologico del cosiddetto “super-Soggetto” è presente nell’una quanto nell’altra. A favore di questa interpretazione si profila un argomento apparentemente piuttosto valido, poiché proprio in virtù delle difficoltà intorno al rapporto tra infinito e finito e in particolare alla deduzione di quest’ultimo, sembra che l’interpretazione teologica sia quella più adatta a risolvere le ambiguità del sistema, o almeno la strada più semplice da percorrere: “Ma perché c’è questo finito? Si può rendere ragione di questo fatto? Hegel ha scoperto, senza dubbio fin dall’epoca di Jena, quale luce il Cristianesimo ha portato su questo punto”74. L’assunzione, infatti, di una visione assolutista della filosofia hegeliana, in cui dunque si pone l’accento sull’esistenza di un principio che eccede le singole individualità e le ricomprende come momenti altresì inconsistenti, permette di illuminare una volta per tutte la questione del finito: esso è un semplice mezzo attraverso il quale l’infinito e Dio raggiungono l’in sé e per sé, un momento necessario ma transeunte che infine viene riassorbito al loro interno e di fatto scompare. Di conseguenza Hegel avrebbe solamente riformulato in maniera speculativa e non dogmatica ciò che era sin dal principio contenuto nel cristianesimo: la sua filosofia, invece che uno sguardo scientifico e storico su un fenomeno superabile e superato, sarebbe sostanzialmente una teologia che, ponendo l’identità tra messaggio cristiano e logica, rovescia la situazione ed eleva la religione stessa a testimonianza fondamentale dell’assoluto, il “centro universale cui risulta a priori ordinata, sia pur in maniera oscura, latente, la storia”75.

Si conferma così che la logica hegeliana pretende di fare qualcosa di meglio e di diverso che una giustificazione filosofica del Cristianesimo. Essa vuole chiarire questo atto assoluto fondamentale, questa autologia divina, per cui l’Assoluto si determina eternamente, atto della sua vita intima, che è il contenuto della rivelazione. Esso espone questo contenuto nella sua forma pura, tolto dalla

74 M. Regnier, Ambiguité de la théologie hégélienne, in Archives de philosophie, Centre Sèvres, Paris 1966, Vol.29, N.2, p.178

dommatica cristiana e che fornisce alla teologia speculativa le categorie che le si confanno76.

In base a questa lettura, tra l’altro, anche il rapporto uomo-Dio su cui ci eravamo concentrati in senso umanista si modifica radicalmente. Hegel specifica a tal proposito che “tra Dio e il finito (noi) si danno tre specie di rapporto: 1) Il finito è e quindi solo noi siamo, e Dio non è…; 2) C’è solo Dio, il finito è in verità nulla, solo fenomeno, parvenza; 3) Dio è e anche noi siamo”77. Liquidata immediatamente la prima ipotesi, che egli considera un ateismo colmo di “vanità”, privo dell’universalità concreta, Hegel discute la possibilità della terza interpretazione, più complessa ma ugualmente infelice: porre Dio e gli uomini come due poli entrambi esistenti l’uno di fronte agli altri, significa, infatti, abbandonare la strada del vero filosofare, che grazie al metodo razionale-speculativo elimina e concilia le opposizioni. Considerare il finito come qualcosa che “si tiene fermo” davanti all’infinito equivale a ragionare unilateralmente e a misconoscere dunque la natura di entrambi, la quale è unita al contrario tanto nella religione cristiana del Figlio quanto nella filosofia di Hegel. Sembra che l’unica via percorribile sia quella del “solo Dio è”. A un primo sguardo, essa può sembrare impietosa nei confronti del ruolo dell’uomo, come si riscontra in quella teologia che considera l’umanità manchevolezza e difetto rispetto all’unica vera realtà costituita da Dio. Tuttavia, tale approccio deve essere ricompreso alla luce di ciò che Hegel intende per Dio e per finito, operazione che ci porterà a specificare un’ulteriore filone interpretativo a metà strada tra la lettura anti- teologica e quella della teologia classica appena indagata.