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Il nuovo Accordo del Comitato di Basilea (NBCA)

Il sistema creditizio nella realtà ed in jES Open Foundation

4.4 Il nuovo Accordo del Comitato di Basilea (NBCA)

Gli Accordi del 1988, pur non avendo applicabilità diretta se non dopo essere stati recepiti dalla legislazione nazionale, contenevano linee guida per le autorità di vigilanza bancaria dei singoli stati aderenti; l’idea centrale del documento era di quantificare un patrimonio di vigilanza che garantisse alle banche la copertura delle eventuali perdite sul portafoglio crediti. Questi ultimi, a differenza del passato, erano considerati una forma di investimento della banca ed il rischio collegato non era più interpretato come semplice situazione negativa imprevista, ma come parte dell’attività di cui tenere conto fin dall’inizio; per questo gli Accordi stabilivano che

il patrimonio di vigilanza dovesse essere pari all’8% degli attivi delle banche. Il coefficiente, pur essendo legato in modo diretto soltanto al rischio di credito, era considerato adeguato anche alla copertura dei rischi di mercato e di quelli operativi, legali, di liquidità e di reputazione. La regolamentazione prudenziale, stabilendo un nesso fra la dotazione patrimoniale ed i rischi assunti, era intesa a garantire la solvibilità dell’istituzione bancaria e ad ottenere effetti positivi sul costo della raccolta di fondi, ma l’imposizione di un accantonamento costante e la definizione degli obiettivi in termini di ROE (Return on Equity), prescindendo dalla composizione del portafoglio rischi, lasciavano spazi per arbitraggi da parte degli operatori, con un possibile peggioramento della qualità media del portafoglio bancario, e non incentivavano l’impiego di tecniche di attenuazione del rischio.

Il primo Accordo fu recepito dalla Commissione europea con la direttiva 647/8975 e l’armonizzazione dei requisiti di capitale per le banche e le società non finanziarie avvenne nel 1993 con la Capital Adequacy Directive; la CAD determinò una riduzione dei requisiti complessivi di capitale, quantificando la copertura del rischio di mercato con riferimento ad un Valore a Rischio (VaR) semplificato. In seguito la CAD II recepì la modifica degli Accordi del 1996, consentendo il calcolo del rischio di mercato sulla base di modelli interni del Valore a Rischio più sofisticati. Il VaR è una misura elaborata alla fine degli anni ‘90 nell’ambito delle tecniche di gestione del rischio per quantificare la massima perdita potenziale di un portafoglio titoli; in seguito il suo impiego è stato esteso ai rischi di credito ed utilizzato per tenere conto degli effetti sul portafoglio determinati dal movimento di ciascun fattore di rischio. I modelli basati sul VaR si propongono di stimare, entro un livello di probabilità prefissato (es. 95%), la massima perdita in cui l’investitore può incorrere per effetto della detenzione di un’attività rischiosa in un dato intervallo temporale. Nella teoria di portafoglio il rischio è legato alla dispersione dei rendimenti intorno alla media ed, in generale, è possibile ridurlo diversificando, cioè sfruttando adeguatamente la correlazione tra la variabilità dei rendimenti delle diverse attività: con l’analisi di portafoglio si valutano le combinazioni

75 Solvency Ratio Directive (SRD)

rendimento delle attività e passività finanziarie presenti in bilancio per orientare le scelte di gestione delle banche.

Nel corso degli anni ‘90 con l’evoluzione dei mercati finanziari e delle tecniche di risk management, si è reso necessario legare più strettamente i requisiti patrimoniali ai profili di rischio complessivi di ogni banca e promuovere l’adozione di metodologie più precise di misurazione, legate anche alle caratteristiche dei sistemi utilizzati per la gestione del rischio. Il Comitato di Basilea ha quindi avviato le consultazioni per definire un nuovo sistema di regolamentazione che entrerà in vigore nel 2006 e, per alcuni aspetti più avanzati, nel 2007; i nuovi Accordi (di seguito indicati come NBCA o Accordi di Basilea II), quantificano il patrimonio di vigilanza delle banche in relazione alla qualità dei prestiti e delle controparti, commisurandolo ai rischi operativi e di mercato, oltre che al rischio di credito.

Gli Accordi si basano su tre elementi detti “pilastri”: il primo di questi riguarda i requisiti patrimoniali minimi obbligatori per il rischio di credito, calcolati sulla base di una versione modificata del metodo standardizzato impiegato attualmente o, in alternativa, attraverso sistemi di rating interni; quando avranno trovato soluzione i problemi applicativi e di quantità dell’informazione statistica disponibile, potranno essere impiegati anche modelli per la misurazione del rischio di credito sull’intero portafoglio.

Il secondo pilastro si riferisce al controllo prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale ed indica i principi che devono orientare l’attività delle autorità di vigilanza, che possono disciplinare a livello nazionale numerosi aspetti della nuova regolamentazione, eventualmente definendo criteri più restrittivi, ed effettuare interventi correttivi nel caso in cui si presentino situazioni di squilibrio; le banche sono chiamate a definire in modo discrezionale obiettivi di capitalizzazione coerenti con il proprio profilo di rischio e la propria capacità di controllo.

Il terzo pilastro promuove la concorrenza nel mercato creditizio disciplinando i comportamenti e la trasparenza delle banche attraverso la definizione di un livello minimo di informazioni che queste devono fornire al mercato ed alle autorità tramite il proprio bilancio; questo concorre alla solidità dell’intero sistema, poiché la disponibilità e la completezza di informazioni affidabili e tempestive permette di

valutare le condizioni finanziarie e reddituali delle istituzioni creditizie, in relazione ai profili di rischio assunti ed alle procedure di gestione adottate.

4.5 Il primo pilastro dell’Accordo: i requisiti minimi di capitale

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