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Salman Rushdie

2.4 The Enchantress of Florence

2.4.4 Il Nuovo Mondo

cosa che lo conduce ad ipotizzare – erroneamente326 – che la loro sorte sia quella di venire cancellati dalle cronache.

Se la sezione relativa alla „vicenda della lettera‟ costituisce un forzato tentativo di introdurre all‟interno del romanzo la tematica del rapporto con l‟ex madrepatria, la riflessione sulle prime fasi dell‟esperienza coloniale nel Nuovo Mondo garantise invece una ben più naturale possibilità di riflessione sul fenomeno della colonizzazione.

2.4.4 Il Nuovo Mondo

Il primo spunto di riflessione sulla vicenda coloniale è offerto dal personaggio di Machiavelli, il quale medita sulla fase iniziale della „scoperta‟ del Nuovo Mondo:

[…] il Machia thought about the other New World, and about Ago‟s cousin Amerigo, […] [who] had had the wit to realize what that dolt Columbus never grasped, namely that the lands on the far side of the Ocean Sea were not Indies; they had nothing to do with India, and were, in fact, an entirely new world. (p. 241)

L‟estratto sopra presentato è incentrato sulla dicotomia Vespucci/Colombo relativa alla „paternità‟ dei nuovi territori d‟oltre oceano. A pochi anni dalla scoperta del Nuovo Mondo327, Machiavelli riflette sul clamoroso errore di valutazione che caratterizzò i primi anni dell‟esperienza coloniale, ovvero la cognizione, risalente a Colombo, che ciò che il costui aveva „scoperto‟ fosse il passaggio per le Indie. L‟errore del genovese fu tuttavia corretto da un fiorentino (l‟impiego del dispregiativo “dolt” riferito a Colombo può essere una buona indicazione del fatto che Machiavelli stia strutturando la sua riflessione sulla

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In questa breve sezione relativa all‟Inghilterra sono presenti ben due „profezie‟ errate. La prima, presentata a p. 193, è relativa al breve futuro del regno di Elisabetta, mentre la seconda è quella qui presentata. Che in uno spazio narrativo così ridotto siano presentate due previsioni sicuramente errate può forse essere considerato come un ulteriore tentativo dell‟opera di descrivere l‟inconsistenza delle categorizzazioni stereotipiche di ogni sorta. Non solo, infatti, il romanzo sposta continuamente gli elementi di categoria (ad es. gli ebrei sono gli „altri‟ dei turchi, che sono gli „altri‟ dei fiorentini, che sono gli „altri‟ degli indiani), bensì dimostra anche in tale maniera che le categorizzazioni rigide e basate sul pregiudizio piuttosto che su un‟accurata conoscenza spesso conducono ad errori di valutazione che, in questo caso, sono quanto mai eclatanti – e la sottomissione delle stesse popolazioni che in questo passo del romanzo commettono tali errori di valutazione né sarà la triste dimostrazione.

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L‟indicazione cronologica di questo passo è il febbraio del 1513. Benchè questo non venga esplicitato nel romanzo, Machiavelli fa la riflessione sopra riportata pochi momenti prima di essere sottoposto alla tortura „della colla‟, cosa che avvenne appunto il 12 febbraio del 1513, in seguito alla fuga del Gonfaloniere Pier Soderini e al ritorno dei Medici, che sottoposero alla carcerazione e alla tortura chiunque fosse sospettato di essere loro nemico. La „scoperta‟ dell‟America era avvenuta dunque poco più di dieci anni prima.

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base della contrapposizione Genova/Firenze), Amerigo Vespucci, il cugino del suo amico Ago, cosa che gli assicurò che il proprio nome venisse assegnato ai nuovi territori328.

La tematica del Nuovo Mondo riveste tuttavia una notevole importanza nell‟economia del racconto perché legata tanto all‟incantatrice quanto a Mogor dell‟Amore/Niccolò Vespucci.

Come già anticipato, Mogor dell‟Amore afferma di essere il figlio di Qara Köz e, come il suo cognome chiaramente suggerisce, di Ago Vespucci, a cui quest‟ultimo ha dato il nome dell‟amico d‟infanzia Niccolò Macchiavelli. Tuttavia, la cosa risulta difficile da credere alla corte di Akbar per questioni cronologiche. Data la giovane età di Mogor dell‟Amore, infatti, egli sarebbe dovuto nascere quando l‟incantatrice aveva ormai superato il sessantesimo anno d‟età.

La ragione che Niccolò Vespucci adduce per spiegare tale discrepanza cronologica risiede proprio nel fatto che la sua nascita è avvenuta non a Firenze, bensì nel Nuovo Mondo:

It was possible, and there were philosophers who argued the point vociferously, that time had been brought to Mundus Novus by the European voyagers and settlers, along with various diseases. This was why it didn‟t work properly. It had not yet adapted to the new situation. (p. 328)

Il motivo in grado di spiegare la discordanza fra l‟età reale di Niccolò Vespucci e quella che egli avrebbe dovuto avere per poter essere biologicamente considerato il figlio di Qara Köz risiede dunque nel malfunzionamento del Tempo nel Nuovo Mondo. A sua volta, tale malfunzionamento dipenderebbe dal fatto che la dimensione temporale nelle Americhe non è autoctona bensì è stata portata nei territori d‟oltreoceano dagli esploratori europei e ha, dunque, gravi difficoltà di adattamento. Che il Tempo portato nel Nuovo Mondo dagli europei sia „malato‟ è dimostrato, inoltre, dal fatto che esso non costituisca l‟unica malattia che ha attraversato l‟oceano insieme agli esploratori per approdare sui nuovi territori (“time had been brought […] along with various diseases”). È importante notare che, il fatto che una simile spiegazione sia strumentale per chiarire uno snodo dell‟intreccio tanto importante, mette notevolmente in evidenza la riflessione implicita in

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Il nome “America” risale infatti al 1507 e si deve all‟opera di un cartografo tedesco, Martin Waldseemuller, che, ricevuto l‟incarico di creare una mappa del mondo che riportasse le nuove scoperte, decise, ritenendo che a Vespucci andassero i maggiori meriti sia per le sue esplorazioni sia per la realizzazione dell‟errore di Colombo, di dare il suo nome al Nuovo Mondo. Sebbene egli avesse in effetti sopravvalutato il ruolo di Vespucci, e fosse in un secondo momento tornato sui suoi passi, il termine divenne immediatamente popolare, tanto da rimanere definitivo (cfr. Hessler J., The Naming of America: Martin

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essa contenuta sull‟impatto devastante che l‟arrivo degli esploratori europei ebbe tanto sui luoghi quanto sulle persone che per prime vennero sottoposte alla colonizzazione da parte del vecchio continente.

La storia raccontata da Mogor, giunta ormai quasi alla fine, permette inoltre che anche Akbar possa riflettere sul mondo occidentale tutto, sia „vecchio‟ sia „nuovo‟.

The emperor, listening to Mogor dell‟Amore as he told his story, understood that the lands of the West were exotic and surreal to a degree incomprehensible to the humdrum people of the East. In the East men and women worked hard, lived well or badly, died noble or ignoble deaths, believed in faiths that engendered great art, great poetry, great music, come consolation and much confusion. Normal human lives, in sum. But in those fabulous Western climes people seemed prone to hysterias – such as the Weeper hysteria in Florence – that swept through their countries like diseases and transformed things utterly without warning. Of late the worship of gold had engendered a special type of this extreme hysteria, which had become their history‟s driving force. […] it was gold that had driven their sailors even further west across the Ocean Sea in spite of the danger of falling off the edge of the world. Gold, and also India, which they believed to contain fabulous hoards of gold. (p. 329)

La riflessione di Akbar si divide in tre sezioni: etero-rappresentazione negativa dell‟Ovest + auto-rappresentazione positiva dell‟Est + etero-rappresentazione negativa dell‟Ovest. Nella prima sezione, attraverso l‟ennesimo spostamento di prospettiva, Akbar impiega tutta una serie di stereotipi, solitamente riservati all‟Oriente in epoca coloniale, per definire l‟intero polo occidentale, ovvero “exotic”, “surreal”, “incomprehensible”. Si noti che queste tre definizioni vengono messe a diretto confronto con una prima auto- rappresentazione positiva degli orientali, che vengono definiti “humdrum”, ovvero abitudinari e tendenti alla normalità. Tale concetto viene ribadito nella seconda sezione, in cui, dopo aver esemplificato il „tipico‟ ciclo di vita nell‟oriente, egli definisce l‟esistenza nell‟Est “normal” – ovvero, la „norma‟ in opposizione a cui la diversità, chiaramente riassunta nell‟incomprensibile esotismo occidentale, si stabilisce. È importante sottolineare che la collocazione dell‟aggettivo “normal” con l‟aggettivo “human” rafforza infatti l‟idea che i due concetti siano sinonimici, ovvero che la vita “normale” dell‟Est sia sinonimo di “umanità”, mentre quella „anormale‟ dell‟Ovest non lo sia. Ciò è confermato dalla terza sezione, che rinforza quanto già affermato nella prima. Facendo nuovamente ricorso ad un diffuso stereotipo coloniale (si veda p. 84), quello relativo all‟influenza del clima sul comportamento dei colonizzati, Akbar definisce infatti il clima occidentale come fonte

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delle gravi isterie (l‟esempio offerto è quello dei Piagnoni di Savonarola) che affliggono il continente. È proprio il riferimento alla capacità distruttiva di tali fenomeni isterici a rappresentare il punto di partenza per la riflessione sulla genesi del colonialismo di matrice europea. L‟isterismo occidentale è infatti descritto come un fenomeno caratterizzato da una tale forza da essere in grado di sconvolgere la fisionomia di interi paesi. In questo contesto, l‟affermazione “Of late the worship of gold had engendered a special type of this extreme hysteria, which had become their history‟s driving force” è particolarmente rilevante. La „febbre dell‟oro‟ viene infatti definita qui come l‟ultimo fenomeno isterico di cui l‟Europa è vittima e che si configura, per di più, come una manifestazione particolarmente grave (“special”, “extreme”). A questo punto Akbar emette un giudizio profondamente negativo sulla condotta europea. La sfrenata corsa all‟oro viene infatti definita come “their history‟s driving force”. Gli europei sono dunque dipinti come un popolo che lascia che un fenomeno irrazionale guidi le proprie azioni e, implicitamente, coinvolga chiunque non si trovi a debita distanza. Naturalmente, l‟esempio emblematico di tale debolezza che Akbar offre a sostegno della propria tesi altro non è se non l‟inizio del colonialismo. Proprio in risposta alla sfrenata ricerca dell‟oro – e dell‟India – gli europei hanno sfidato persino i confini del mondo e sono giunti oltre oceano.

L‟isteria europea viene dunque addotta da Akbar come spiegazione del fenomeno che avrebbe presto profondamente ridefinito l‟assetto di quell‟India che egli tanto amava – e di altri tre quarti del globo.

A questo punto, anch‟egli si concede una riflessione, come il Machia aveva fatto prima di lui, sull‟inesattezza storica che aveva voluto rinvenire l‟India laddove, invece, era situata l‟America:

They did not find India, but they found … a further west. In this further west they found gold, and searched for more, for golden cities and rivers of gold, and they encountered beings even less probable and impressive than themselves, bizarre unknowable men and women who wore feathers and skins and bones, and named them Indians. Akbar found this offensive. Men and women who made human sacrifices to their gods were being called Indians! Some of these other- world „Indians‟ were little better than aborigines; […] It had begun to dawn on these foolish exotics that they had not discovered a route to India but somewhere entirely other, neither East nor West […]. (pp. 329-330)

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