Salman Rushdie
2.4 The Enchantress of Florence
2.4.2. Pregiudizio e stereotipi religios
La considerazione della dimensione religiosa consente di tracciare i principali schieramenti noi VS loro che il romanzo presenta.
184
In ossequio alla prospettiva multipla che l‟opera evidentemente mira ad ottenere, la prima considerazione di stampo religioso come indice di alterità è incentrata su una etero- rappresentazione negativa dell‟India che, come già evidenziato, rappresenta il centro deittico della narrazione e pertanto, a rigor di termini, la pietra di paragone in opposizione a cui il „loro‟ si dovrebbe definire:
He felt burdened by the names of the marauder past, the names from which his name descended in cascades of human blood: his grandfather Babar the warlord of Ferghana who had conquered, but always loathed, this new dominion, this „India‟ of too much wealth and too many gods […]. (p. 33)
Akbar, in quanto sovrano illuminato che ricerca l‟incontro e lo scambio culturale, sente il peso delle conquiste maturate nel sangue grazie a cui la dinastia da cui discende è stata in grado di ampliare quasi incessantemente i propri domini. È proprio il riferimento ad uno dei suoi antenati e alla pratica della casa imperiale Mughal di attuare un‟incessante attività di conquista ad aprire la strada all‟etero-rappresentazione negativa di quel territorio indiano che, prima ancora di essere rappresentante dello schierameno „noi‟, era evidentemente incluso fra le file dei „loro‟. L‟india è infatti descritta come una conquista del nonno di Akbar, Babar, il fondatore della dinastia. Tuttavia, si sottolinea qui che quest‟ultimo, pur avendo mosso guerra all‟India per annetterla ai propri domini, avesse un‟opinione alquanto negativa nei confronti di questo nuovo possedimento (si noti l‟impiego del verbo dalle forti connotazioni negative “loathed”). Il motivo di tale opinione consisteva proprio nella sua alterità, incentrata in particolar maniera sulla sfera religiosa. La dinastia Mughal era infatti composta da imperatori musulmani e, nel caso specifico di Babar, l‟eccessivo numero di divinità presenti nel pantheon induista rappresentava un tratto sufficiente per considerare l‟intera area in maniera negativa e stereotipica.
Al contrario, Akbar non condivide affatto l‟opinione del fondatore della dinastia Mughal a proposito dell‟India. Non solo, infatti, egli ammette di sentirsi indiano (p. 34), ma è anche pronto a confrontarsi con Mogor dell‟Amore sul tema religioso e ad offrire un‟apologia dell‟intera area dell‟Hindustan:
„And you, with your three gods, a carpenter, a father and a ghost, and the carpenter‟s mother for a fourth,‟ the emperor asked Mogor with some irritation, „you from that holy land which hangs its bishops and burns its priests at the stake, while its greatest priest commands armies and behaves as brutally as any common general or prince – which of the wild religions of
185
this heathen land do you find most attractive, or are they all one to you? In the eyes of Father Acquaviva and Father Monserrate, we are sure, we are all what your Argalia thought us to be, which is to say, godless swine.‟ (p. 140)
Le parole di Akbar sono strutturate secondo una netta contrapposizione cristianesimo VS religioni del subcontinente. In particolare, il culto cristiano, ridotto ai suoi „minimi termini‟ di Padre, Figlio (sarcasticamente definito „falegname‟), Spirito Santo e „Madre del falegname‟, viene dipinto attraverso un‟immagine profondamente negativa. Akbar crea infatti una tensione ossimorica fra il sintagma “holy land” e la descrizione delle attività tutt‟altro che sacre che prendono vita sul territorio italiano, quali l‟impiccaggione dei vescovi (avvenuta durante la repressione della Congiura dei Pazzi), la messa al rogo dei preti (come nel caso di Savonarola) o la condotta eccessivamente militaresca del papa. A questa etero-rappresentazione negativa se ne contrappone una „sarcasticamente‟ tale. Akbar impiega infatti tutta una serie di clichè ed etero-stereotipi negativi nei confronti delle religioni del territorio indiano (“wild”, “heaten”, “godless swine”) che sono, tuttavia, „riportati‟, ovvero ripresi dai discorsi applicati all‟oriente dagli occidentali, quali i preti gesuiti che soggiornano presso la corte Mughal, Padre Acquaviva e Padre Monserrate, o Argalia (delle cui vicende l‟imperatore è giunto a conoscenza proprio grazie al racconto di Mogor dell‟Amore).
Il sincero interesse di Akbar nei confronti del territorio indiano e delle sue manifestazioni religiose viene da questi ulteriormente chiarito:
„[…] We have set up a force of one hundred and one men to count and name them all, every worshipped divinity of Hindustan […]. We think there are more supernatural entities in this land than people of flesh and blood, and are happy to live in so magical a world. And yet we must be what we are. The million gods are not our gods; the austere religion of our father will always be ours, just as the carpenter‟s creed is yours.‟ (pp. 140-141)
Sostenendo di aver organizzato una spedizione di mille e uno uomini 323 che copra l‟intera area dello Hindustan alla ricerca di tutte le divinità venerate, Akbar ribasce il suo legame con l‟elemento magico. Si noti, infatti, che benchè egli stia facendo riferimento a
323
Il numero è uno dei più ricorrenti nella produzione di Rushdie. Mille e uno sono, ad esempio, i bambini che nascono nella mezzanotte fra il 14 e il 15 agosto 1947 in Midnight‟s Children, benchè solo 581 sopravvivano ai primi anni di vita e diventino adulti. La ricorrenza del numero 1.001 è un omaggio ad una delle fonti letterarie, One Thousand and One Nights, non solo del romanzo del 1981 ma anche di altre opere di Rushdie, fra cui East, West – il nome della sorella minore del narratore nell‟ultimo racconto della raccolta è, non a caso, Sherazade.
186
delle divinità, piuttosto che parlare di entità “sacre”, egli parla di entità “soprannaturali” che rendono l‟Hindustan un luogo “magico”, che egli apprezza, al contrario dell‟imperatore Babar, proprio per tale ragione. Tuttavia, nonostante egli si senta indiano e apprezzi la vita condotta dagli abitanti del luogo, è la consapevolezza di non poter lottare contro “chi si è” che chiude la riflessione del Gran Mughal sulla dimensione religiosa del territorio indiano – non prima, tuttavia, di avergli dato la possibilità di definire attraverso un auto-stereotipo negativo la religione islamica, da lui ereditata, che egli definisce “austera” in contrapposizione alla varietà offerta dal pantheon indù.
Tuttavia, è il polo occidentale ad offrire il maggior numero di esempi di auto- ed etero-rappresentazione relativi all‟elemento religioso. Poiché, come chiarito in precedenza, la seconda narrazione ambientata a Firenze si snoda in un periodo di tempo in cui il processo scismatico protestante era ancora in nuce, la contrapposizione religiosa descritta qui è quella fra cattolicesimo e Islam.
In particolare, è soprattutto il personaggio di Argalia ad offrire all‟opera la possibilità di esplorare tale dimensione:
„I‟m off to heaten lands to fight against strange gods. Who knows what they worship out there, scorpions or monsters or worms. […]‟ (p. 140)
Quanto sopra descritto rappresenta il motivo che Argalia adduce per spiegare ai due amici di infanzia, Niccolò Machiavelli e Ago Vespucci, la sua decisione di lasciare Firenze e arruolarsi nella flotta di Andrea Doria. L‟obiettivo che egli intende perseguire è pertanto quello di legare la conquista armata alla repressione religiosa. Argalia identifica infatti il bersaglio delle sue future gesta in quelle terre e quei popoli che si differenziano da lui, e per estensione, dalla categoria a cui egli appartiene („noi‟) proprio in virtù della loro fede religiosa, o, meglio, della loro mancanza di fede. Si noti, infatti, l‟impiego da parte di Argalia dell‟aggettivo “heaten”, che viene poi rinforzato dal sintagma “strange gods”. Argalia evidentemente equipara la venerazione di divinità che non abbiano sembianza umana al paganesimo, ovvero alla mancanza di fede nell‟„unico‟ Dio (quello cristiano). Inoltre, egli assegna a tali culti una connotazione chiaramente negativa, come testimoniato sia dalla sua volontà di muovere guerra a quanti li pratichino sia dalla scelta delle esemplificazioni da lui fornite (“scorpions”, “monsters”, “worms”).
L‟etero-rappresentazione negativa dei culti non cristiani in genere lascia ben presto spazio alla considerazione del solo culto islamico turco:
187
„And I? He [Argalia] asked, staring at the horn in his hand. „When the ships of the Infidel are bearing down upon my little vessel, what am I supposed to do? (p. 174)
„I surrender,‟ he [Argalia] shouted. „Come and get me, you godless Turkish swine.‟ (p. 176)
I due brevi estratti sopra riportati descrivono il momento in cui viene ordinato ad Argalia, in quanto ultimo acquisto della flotta di Andrea Doria, di fare da esca perchè la flotta turca cada in un‟imboscata. Lungi dall‟essere sconfitta dalla forze genovesi, le navi turche non solo riportano una schiacciante vittoria ma riescono anche a catturare l‟esca a loro fornita dai genovesi, ovvero Argalia. Costui, nei momenti precedenti l‟inizio dell‟azione bellica, offre una prima etero-rappresentazione altamente negativa del popolo turco. Da una parte, dimostrando una mentalità più medievale che rinascimentale, egli definisce gli ottomani “infedeli”, ovvero sfrutta la netta contrapposizione „noi‟ VS „loro‟ che contrappone alla propria fede religiosa non la possibilità di un altro credo bensì la miscredenza. In altre parole, Argalia dimostra nella prima delle due citazioni presentate sopra, di allinearsi allo stereotipo che vede un rapporto di antinomia crearsi fra i termini “cattolico” e “infedele”. D‟altro canto, egli non solo ribadisce il concetto nel secondo estratto (“godless”), bensì rafforza l‟etero-stereotipo negativo su basi religiose con uno su basi razziali (“Turkish swine”).
La costruzione del personaggio di Argalia permette, tuttavia, di offrire l‟ennesimo esempio di rovesciamento di prospettiva all‟interno del romanzo. Una volta essere stato ridotto in schiavitù dai turchi ed essere entrato a far parte del loro esercito, la cui scala gerarchica egli risalirà rapidamente, sarà infatti lo stesso Argalia ad essere vittima delle etero-rappresentazioni negative che egli precedentemente riservava ai “senza Dio”:
Feelings of revulsion arose in him at the image of this renegade, a Christian convert to Islam, enjoying the fleshpots of lost Constantinople, the new Konstantiniyye or Stamboul of the Turks, or praying in the Jannissaries‟ mosque, or walking without a care by the fallen, broken statue of the emperor Justinian, and revelling in the growing power of the enemies of the West. (p. 186)
Nell‟estratto qui presentato si riporta la reazione di Niccolò Machiavelli alla notizia della conversione di Argalia che, in realtà, il Machia riteneva essere morto. La reazione
188
descritta è altamente negativa. Ciò che, infatti, Machiavelli prova di fronte alla notizia che uno dei suoi più cari amici di infanzia non è morto come lui pensava è “repulsione”, piuttosto che gioia o sollievo. Tale sentimento è tuttavia figlio del pregiudizio religioso che è, evidentemente, tanto radicato in lui da impedirgli di rapportarsi al suo amico di infanzia con una modalità che non sia quella di una netta contrapposizione. In realtà, il pregiudizio di Machiavelli è descritto qui come amplificato rispetto a quella che sarebbe la sua „normale‟ applicazione. Ciò che, infatti, distruba il Machia non è tanto il fatto di avere a che fare con „un turco‟, bensì il fatto di avere a che fare con un “rinnegato”, ovvero un cristiano che ha commesso il peggiore peccato che nell‟Europa del XVI secolo si potesse commettere, ovvero l‟avere abbandonato il credo dell‟unico vero Dio, il Dio cristiano, ed avere abbracciato la fede dell‟„altro‟ – una fede che, come le stesse parole dell‟allora cristiano Argalia testimoniano, era ritenuta priva di fondamento alcuno. Alla colpa di natura religiosa se ne somma, inoltre, una di natura „storica‟. Non solo, infatti, Argalia prega nelle moschee islamiche, ma ha anche l‟ardire di calpestare il suolo di quella Costantinopoli, un tempo dimora di Giustiniano e di tutti gli imperatori romani d‟oriente, che i turchi ottomani giudati da Maometto II avevano sottratto all‟Europa, divenendo, come sopra chiaramente espresso, “nemici dell‟occidente”. Il Machia, pertanto, sfrutta tanto l‟elemento religioso quanto quello storico per sottoporre il suo amico d‟infanzia ad un nuovo processo di categorizzazione che, dall‟iniziale appartenenza alla schiera del „noi‟, lo releghi alla schiera del „loro‟.
L‟opinione negativa di Machiavelli su Argalia, così riformulata, viene inoltre ulteriormente aggravata dalla realizzazione di quanto da lui inflitto al cosiddetto “Palazzo della Memoria”:
Her voice strengthened and Niccolò realized she was telling the last story, the story that was embedded in the very doorway of the memory palace that had colonized her brain, […]. With growing horror he saw rising before him the scene of her indoctrination, saw the necromancer of Stamboul, […] working at the behest of a certain newly minted Pasha to commit that Pasha‟s exploits to this captive lady‟s memory – to erase her life to make room for Argalia‟s no doubt self- aggrandizing version of himself. The Sultan had given him the gift of this enslaved beauty and this was the use he had made of her. Barbarian! Traitor! (p. 187)
Il “Palazzo della Memoria” è da una giovane donna, che dice di chiamarsi Angelica, che, giunta a Firenze, comincia a raccontare la storia delle gesta di Argalia
189
all‟interno dell‟esercito turco, dalla sua schiavitù, al suo ingresso nel corpo dei Jannisari (la frangia più importante dell‟esercito turco), fino alla sua ascesa al potere. In altre parole, il racconto del Palazzo della Memoria costituisce ciò che abbiamo definito nella figura 7 (si veda p. 175) il „Passato 2‟. Costei altro non rappresenta che un „messaggio umano‟, ovvero una persona, schiava anch‟essa dei turchi, la cui memoria è stata alterata (si noti il non casuale impiego del verbo “colonized”) per far posto ai ricordi di qualcun altro, in questo caso di Argalia. Ricordandosi, infatti, di una canzone da loro inventata da bambini (“„If she was a florin I would have spent her‟ […] „If she was a message I would have sent her‟” – p. 138), il Machia realizza che sia stato proprio Argalia ad ordinare che Angelica/il Palazzo della Memoria fosse istruita per raccontare le sue gesta in attesa del suo trionfale ritorno a Firenze. Un simile comportamento viene fortemente condannato da Machiavelli, che lo imputa proprio alla nuova carica di “Pasha” ottenuta da Argalia, ovvero al fatto che egli sia ormai un turco. Un simile giudizio viene infine suggellato dall‟impiego di due cliché (“Barbarian”, “Traitor”) che ne evidenzino sia la nuova appartenenza ad una categoria evidentemente non civilizzata sia il tradimento compiuto nel „passare dall‟altra parte‟.
Tutto ciò conduce il Machia a non riservare un caloroso benvenuto al suo amico d‟infanzia nel momento del suo rientro a Firenze:
„Sir Pasha,‟ he greeted his boyhood friend, his bat‟s-wing eyebrows crushed together in jagged disapproval, „what business can a heathen have here, on Christian land?‟ (p. 247)
Il primo incontro fra i due rappresenta dunque in momento in cui Machiavelli rende la loro appartenenza a due schieramenti contrapposti ufficiale. Dopo aver impiegato una formula di saluto (“Sir Pasha”) che, andando a sostituirsi al più naturale „Argalia‟, ha il compito di sancire la distanza fra i due, il Machia rinforza il concetto attraverso la creazione di una netta contrapposizione fra sé e l‟„altro da sé‟, che viene realizzata su basi religiose (“heaten” VS “Christian”).
L‟evidente cambiamento subìto da Argalia, anch‟esso un‟opera di colonizzazione da parte dei turchi al pari di quella affrontata dal Palazzo della Memoria, viene accolto invece con meno diffidenza da parte dell‟altro amico di infanzia, Ago Vespucci:
Niccolò had described their old friend‟s transformation into an almost effeminate but also utterly ferocious Oriental incarnation of Death – „Argalia the Turk‟, the villagers were already
190
calling him, just as he has prophesied long ago on the day he set out as a young boy to seek his fortune – and Ago had been anxious to see the exotic sight for himself. (p. 260)
Più che essere legate alla sfera religiosa, le aspettative di Ago relativamente al suo incontro con Argalia sono legate ad un‟altra tipologia di pregiudizio, quello relativo all‟esotismo orientale, come testimoniato dall‟impiego dei lessemi “Oriental” e “exotic”. Si noti, tuttavia, l‟implicito giudizio di valore negativo324 riservato all‟„altro‟ nel sintagma “ferocious Oriental incarnation of Death”, in cui tanto l‟aggettivo “ferocious” quanto il sostantivo “Death” hanno connotazioni altamente negative che, per estensione, vengono così assegnate anche all‟aggettivo “Oriental”. In ossequio alla norma di offrire un continuo ribaltamento di prospettiva, Argalia, in quanto „orientale‟, viene inoltre sottoposto al pregiudizio a cui, a loro volta, erano sottoposti i fiorentini. Egli, infatti, viene definito, oltre che “orientale” ed “esotico”, anche “effeminato”, attraverso lo sfruttamento dello sterotipo relativo alla diffusa omosessualità orientale.
L‟identità turca è dunque costruita come un‟identità „altra‟ su basi prettamente religiose. Tuttavia, il romanzo offre un ulteriore esempio della molteplicità di prospettive possibili proprio attraverso il punto di vista degli ottomani:
Ah, the feared Janissaries of the Osmanli Sultan, may their renown spread far and wide! They were not Turks, but the pillars of the Turks‟ empire. No Jews were admitted, for their faith was too strong to be altered; no gypsies, because they were scum; and the Moldavians and Wallachians of Romania were never harvested. (p. 182)
Coloro che sono sistematicamente costruiti come gli „altri‟ dell‟Europa nella sezione occidentale del romanzo, danno qui l‟ennesima dimostrazione di quanto categorie quali „noi‟ e „loro‟ siano profondamente dipendenti dal punto di osservazione da cui le si guarda. Nel passo sopra riportato, la descrizione della costituzione del reparto dei Jannissari offre infatti la possibilità di tratteggiare l‟identità degli „altri‟ rispetto a cui i turchi si definiscono, cosa che avviene attraverso l‟impiego di una serie di etero- rappresentazioni negative. Il corpo dei Jannissari è infatti costituito dagli schiavi catturati dagli ottomani durante le loro spedizioni militari. Ciò implica che, non essendovi la presenza di turchi, esso si costituisca come un reparto interamente composto da „altri‟. Ciò
324
È importante sottolineare che tale giudizio non è espresso da Ago, bansì da Machiavelli: nella sezione inziale di questo estratto Ago riporta le parole di Niccolò. Ciò implica che, se lo stereotipo dell‟orientale è condiviso da Ago (che, non a caso, impiega il lessema “exotic”), il giudizio più squisitamente negativo su Argalia continua ad essere quello di Machiavelli.
191
non significa, tuttavia, che non vi siano dei criteri di selezione degli individui che entrano a farvi parte. Un gruppo, ancora una volta identificato su basi religiose, a cui non è permesso l‟accesso a tale reparto è ad esempio quello degli ebrei, che vengono descritti come eccessivamente ancorati alla propria fede religiosa per poter essere convertiti (il che, dal punto di vista turco, non può che costituire un tratto negativo). D‟altra parte, neppure ai gitani era permesso l‟accesso al corpo dei Jannissari, poiché essi vegono tutti stereotipicamente inclusi all‟interno della categorizzazione negativa “scum”. I moldavi e i romeni, infine, sono ritenuti talmente privi di qualità da non essere neppure tenuti in considerazione per un simile compito.
La dimensione religiosa diviene dunque il sito eletto per la delineazione dei principali schieramenti definiti all‟interno del romanzo e per la contemporanea presentazione della molteplicità di vedute a cui l‟opera sembra aspirare.
Essa costituisce, fra l‟altro, anche un motivo di contrapposizione fra la corte di Akbar e quell‟Inghilterra che, pur non avendo alcun ruolo all‟interno dell‟opera, vi si insinua attraverso le parole di Mogor dell‟Amore.