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PROGETTAZIONE PARTECIPATA DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA A SCAMPIA

IL PROCESSO PARTECIPATO NELL’AREA DI SCAMPIA

Il percorso partecipativo nell’area di Scampìa si divideva in tre fasi: mappatura degli attori della società locale e degli interventi e progetti in atto su tematiche ambientali e sociali in genere; costruzione di arene di dibattito allargato (Tavoli di partecipazione); promozione e sensibilizzazione nelle scuole dell’area. Nei paragrafi che seguono si illustrano i metodi adottati e i principali risultati emersi nelle prime due fasi, con le relative criticità.

Il progetto: metodologia, strumenti, output. L’analisi del contesto locale mirava

alla mappatura degli attori del territorio coinvolgibili nei Tavoli, traendo spunto da fonti istituzionali (Camera di commercio, Curia di Napoli e altri Registri), dalla stampa locale e dalla rete (specie per individuare le realtà associative minute o il panorama dei comitati civici). La mappatura ha prodotto quattro elenchi di soggetti coinvolgibili, per un totale di 62 attori potenziali “contenitori” di ulteriori reti associative. Nello specifico: Associazioni culturali, educative e sportive, comitati civici (18 referenti); Cooperazione sociale in generale (16 referenti), Amministratori di condominio (15 referenti) e Parrocchie Ottavo

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Decanato (13 referenti). La seconda fase prevedeva il coinvolgimento della rete mappata in quattro Tavoli di partecipazione. Metodologicamente, nell’ampia varietà dei processi partecipativi in uso7, l’intervento su Scampìa si ispirava alle cosiddette commissioni consultative, che combina un insieme di principi e strumenti di intervento relativi all’ascolto attivo del territorio8 e alla simulazione progettuale. Operativamente, i tavoli erano gestiti con la tecnica nota come Focus Group Partecipativo (FGP), che agevola l’elaborazione condivisa di obiettivi e azioni nonché la validazione di processi, efficace nei casi in cui è necessario avviare discussioni su tematiche di interesse collettivo. Ai Tavoli ha fatto seguito un’Assemblea plenaria, con la partecipazione dei referenti dell’Amministrazione Comunale e della Asia9, in cui è stato discusso e siglato un protocollo esito delle discussioni precedenti.

L’ostilità iniziale: Scampìa abbandonata. In apertura dei Tavoli, i referenziali

mobilitati si concentrano prevalentemente sulla denuncia di situazioni di degrado, acuita dalla emergenza e dal dilagare di pratiche scorrette. Non sembra esserci soluzione all’emergenza, che anzi incoraggia pratiche irregolari: i più elementari adempimenti sono disattesi (rispetto degli orari, della frazione merceologica etc.) così come gli atti di vandalismo (specie i roghi – anche di rifiuti tossici – nei pressi dei Campi Rom) e le cosiddette migrazioni dei sacchetti (cittadini di altri quartieri riversano a Scampìa i propri scarti profittando delle ampie aree dismesse). Al riguardo, un testimone ha sostenuto: “I cittadini durante l’emergenza si sono animalizzati, ognuno faceva il proprio comodo, si erano perse le buone abitudini elementari, per questo adesso il controllo è importantissimo” (Tavolo del 28.11.2011). Degrado, emergenza e inciviltà sono descritte con immagini estreme, che veicolano il vocabolario prevalente nei media locali: dalla devastazione alla bomba chimica, dallo sfacelo al triangolo della morte. La sporcizia diviene inseparabile da una narrazione che stigmatizza persino la popolazione locale, cui si attribuiscono presunte predisposizioni subculturali alla sozzura. La linea civile/ incivile divide gli abitanti dei parchi privati da quelli delle palazzine di edilizia pubblica. I primi rifiutano i contenitori della RD, percependo con essi il rischio di creare nuove mini- discariche abusive e incontrollate. Sull’altro fronte, molti abitanti delle cosiddette “Vele” o dei Campi Rom, accusati di incuria, denunciano l’assenza di contenitori o sacchetti poiché, essendo occupanti abusivi delle abitazioni, non rientrano nei computi di Asia. I partecipanti sembrano concordi nell’attribuire tali criticità alla carenza di controlli e di sanzioni, associata a una sfiducia epidemica nelle istituzioni. Anche in tal caso il vocabolario mediatico mainstream della monnezzopoli è spesso “urlato” per autoassolversi come vittime dell’abbandono istituzionale. A Scampìa si era nei tentacoli di Gomorra, agevolata da una casta della monnezza capace di dichiarare solo eco-balle. Diffidenza che non risparmia l’Università e lo stesso progetto, rendendo l’apertura di ogni Tavolo piuttosto complessa. L’assemblea viene vissuta come un confronto “noi vs. loro”, un

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tentativo di ingerenza nell’associazionismo locale che invece sembra unanimemente celebrato come baluardo di resistenza al degrado dell’area.

Attorno a questo nodo si intravede uno spiraglio per il superamento delle ostilità: il problema maggiormente percepito risiede nell’assenza di interazione tra la rete locale e le istituzioni, che avrebbe dovuto consolidare le micro-esperienze autorganizzate e inserirle in una rete di sostegno pubblico.

Le aperture: la rete locale e la proposta di un Protocollo. In questo modo si smorza

l’ostilità iniziale e il dibattito vira sulle possibili soluzioni in grado di valorizzare la rete associativa locale. Il referente di Legambiente sostiene che: “Il quartiere ha una grande storia di sensibilità e democrazia partecipata” (Tavolo 1.12.2011). Il rappresentante del coordinamento ‘No discariche né a Scampìa, né altrove’ ricorda che “si sottovaluta che ogni iniziativa viene vissuta un po’ nella solitudine dei soggetti, perché l’istituzione il più delle volte è assente o addirittura rema contro” (Tavolo 1.12.2011). Le iniziative sono lasciate ai singoli, mai supportati dalle istituzioni di riferimento. Basti pensare che in varie zone del quartiere, come nelle cosiddette “case dei puffi”, circondario piuttosto problematico, associazioni di disoccupati hanno avviato una PaP autorganizzata, segnale considerato come primo vero passo verso il riconoscimento del problema dei rifiuti. Lo sforzo di argomentare pubblicamente le proprie posizioni favorisce le prime aperture: una parte decisamente maggioritaria dei presenti esprime un sostanziale accordo verso il potenziamento del servizio di PaP. Eppure, a queste aperture, persiste un giudizio assai critico nei confronti del gestore del servizio. Si auspica dunque che l’esito del percorso partecipato sia la promozione di una rete istituzionale solida per valorizzare le esperienze associazionistiche. Posizione sempre associata a tre condizioni: maggiori controlli del territorio; promozione istituzionale della cooperazione degli abitanti attraverso sanzioni, ma anche premialità; maggiore sensibilizzazione delle famiglie e momenti informativi aperti (sulla separazione, sul riciclaggio e in generale sul destino dei rifiuti una volta raccolti). A questi scopi, la condivisione di un Protocollo di Intesa è considerato unanimemente come soluzione indispensabile per non disperdere l’esperienza partecipativa che, nonostante le criticità, viene valutata positivamente. Il Protocollo, intitolato Una rete per la raccolta differenziata porta a porta nell’Area di Scampìa, suggella l’impegno della rete locale a supportare la RD (scuole, associazioni, cooperative, parrocchie), mentre il fronte istituzionale (Municipalità, Asl, Comune e Asia) s’impegna a monitorarne l’andamento e a migliorare l’interazione con la società locale.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE: SUCCESSO DELLA PARTECIPAZIONE, ESITO