COME METODO: permette di superare i limiti dell’approccio materialista e riduzionista tradizionale, che descrive una realtà governata da relazioni lineari di causa-effetto, ed in termini di sole categorie fisiche estensive (come la lunghezza). Il diagramma, integrando nella descrizione di un sistema materiale, categorie astratte (come le idee) e categorie intensive (come la durata), accoglie le differenze, i conflitti, le incertezze come potenzialità attive del processo progettuale.
102 MODELLI
COME STRUMENTO: fa coincidere la conoscenza e la fabbricazione di paesaggi attuali e virtuali, la comunicazione-
visualizzazione e la proliferazione di idee e di forme, proponendosi come cornice operativa, manipolabile e adattabile, dove si compenetra metodicità ed emotività. COME TECNICA: mette in rete le informazioni e attraverso processi circolari, auto-adattivi, tollera la crescita e l’adattamento nel tempo del materiale. Attraverso una manipolazione creativa e collettiva, quindi adatta allo scambio interdisciplinare, il materiale virtuale prende progressivamente consistenza, matericità e funzionalità specifiche.
103 IL PRogETTo coME Luogo DELL’ASSEMbLAggIo SISTEMIco
Il tempo come categoria etica ed estetica
Se si assume la prospettiva di DeLanda di un mondo in cui tutte le strutture, anche quelle prodotte dall’uomo, sono espressione di continue fluttuazioni spazio-temporali, in funzione dell’intensità dei flussi di materia-energia-informazione e del grado di consolidamento della materia, ragionare in termini sistemici implica il fatto che non ci si chiede più solo cosa è l’architettura, ma prima ancora cosa fa e cosa può potenzialmente divenire.
concepita in questo modo, l’architettura è ben più che la forma solida della materia e diventa piuttosto la piattaforma aperta, variabile e plurale, luogo di quel ”assemblaggio sistemico” (Najle 2008) che abbiamo introdotto all’inizio di questo capitolo, dove s’innesca la dinamica interattiva e produttiva tra scale globali, più fluide ed instabili, dove si procede per integrazione, e scale locali, più precise, dove si procede per differenziazione. una ridondanza di materiale, un vero e proprio accumulo, rigorosamente trascritto, che emula la complessità del reale, dove il generico e il super-specifico sono le due facce compresenti ed interagenti dello stesso scenario, come insegna Koolhaas per Manhattan. E da questo accumulo ancora fluido, incerto trovano spazio le insorgenze, le emergenze come improvvise accelerazioni, sedimentazioni di processi decisionali e formali.
La condizione di virtualità mista a cristallizzazione è quella che segnala la presenza del tempo nel processo-progetto, e che si traduce nella voluttà degli strati dell’architettura. In questo senso vale l’interpretazione di Bruno Zevi che considera la temporalizzazione dell’architettura una categoria estetica, piuttosto che la trasfigurazione letterale del movimento tipica dei fautori dell’architettura mobile negli anni sessanta, e in anni più recenti dei seguaci dell’architettura interattiva e della robotica.
“Il problema spazio-temporale è quanto mai arduo in architettura, perché l’uomo per millenni ha avuto terrore non solo del tempo, ma anche dello spazio, del vuoto, della cavità, cioè dell’elemento specifico caratterizzante l’architettura. Per millenni, dalla preistoria al Pantheon, lo spazio è stato sentito come negatività, e l’uomo ha costruito monumenti e templi privilegiandone l’aspetto plastico, scultoreo a grande dimensione, e trascurando o reprimendo l’invaso.” (Zevi 1993)
Zevi spiega che una prima concezione temporalizzata in architettura
a fianco:
FOA Virtual House (1997): il ripiegamento di una superficie in funzione di alcuni parametri, come il comportamento strutturale autoportante e la relazione tra interno ed esterno, costituisce quello che i progettisti definiscono un “paesaggio sintetico” potenzialmente ripetibile in qualsiasi contesto, e manipolabile per adattarlo a qualsiasi spazialità domestica.
sopra:
Antoni Gaudì Casa Milà (1906-1910) immagine e pianta delle soffitte: il modello complesso è sempre esisto, il problema è che fino a pochi decenni fa mancavano gli strumenti di conoscenza e di simulazione in grado di concettualizzare la genesi e l’evoluzione di queste architetture a fianco:
foto google map della città di San Paolo, in Brasile
104 MODELLI
compare ai tempi delle catacombe ebraiche e cristiane, quando cioè per la prima volta cessa di essere spazio progettato e diventa itinerario. Da quel momento in poi la storia architettonica è la storia della lotta volta a sganciare lo spazio dalla sua staticità, per temporalizzarlo appunto. Esempi di questa conquista del tempo sullo spazio in architettura sono le cattedrali gotiche con i loro contrasti direzionali, o gli invasi asimmettrici, i circuiti, la simbiosi tra edifici, piazze e strade nella civiltà medievale. Mentre l’architettura ispirata al pensiero ellenico si basa su “una visione compositiva secondo la quale nulla si può aggiungere e nulla sottrarre, definita per sempre“ l’architettura temporalizzata è “un’architettura organica, vivente, modulata secondo le esigenze degli utenti, capace di crescere e svilupparsi, libera da ogni tabù formalistico, dalla simmetria, dagli allineamenti, dai rapporti tra pieni e vuoti, dalle regole prospettiche, insomma un’architettura la cui unica legge, il cui unico ordine è quello del mutamento”.
Concepire il progetto come una “macchina astratta” depurata di tutte le specificità, e con continuità la sua manifestazione solida, formalmente e strutturalmente organizzata, significa assorbire nell’organizzazione architettonica la dimensione del tempo.
Sintesi scalari e grado di virtualità
come per tutte le altre strutture che abitano il nostro pianeta, infatti, nel progetto architettonico esiste sempre una molteplicità di scale spazio-temporali che operano a più livelli e che mettono in relazione la resilienza e la virtualità della visione sistemica, globale, con la realtà locale, fenomenica e transitoria, più afferrabile, e perciò più tortuosa ed intricata.
Quello che vediamo per esempio su google Map in una foto satellitare, cioè le differenze sulla crosta terrestre tra pieni e vuoti, tra città e campagna, tra naturale ed artificiale, tra nuovo e vecchio, sono misure relative e parziali del nostro intervallo visivo. Quando in tempo reale con il cursore ci avviciniamo, come con una lente, la realtà ci appare granulosa, variegata, diversificata, viceversa quando ci allontaniamo le differenze tendono a scomparire, fino a quando, azzerate del tutto, non vediamo più che una superficie indifferenziata avvolta da una nebulosa in movimento. Questo movimento elastico, percettivo e mentale, a cui
105 IL PRogETTo coME Luogo DELL’ASSEMbLAggIo SISTEMIco
siamo ormai abituati, ci permette di vedere la realtà come sintesi scalare
soggettiva, dove i gradi diversi di definizione e di astrattezza dipendono
dal nostro punto di vista.
All’inverso, può valere l’idea che il grado di virtualità di un progetto indica la sua collocazione in questa scala spazio-temporale: la maggiore ambiguità e astrattezza corrisponde a spazi più dilatati o a fasi iniziali di un progetto, dove la materia è più generica, più fluida ed amorfa, e perciò più flessibile ed adattabile alla crescita evolutiva; viceversa l’assegnazione di attributi funzionali, strutturali e prestazionali corrisponde alla scala più specifica, quella del manufatto architettonico, dove l’articolazione spaziale è definita, dotata cioè di tutte le sue qualità formali.
In realtà le due condizioni, quella astratta e quella attuale non sono tappe di un processo lineare, ma piuttosto si compenetrano e si condizionano, cioè si in-formano a vicenda.
La dinamica circolare del processo creativo
In questa tesi si tenta di esplicitare la natura di questa co-dipendenza e co-esistenza nella dimestichezza con cui, nella costruzione del progetto complesso, si opera simultaneamente a diverse scale, avvalorando l’idea che il LU possa essere il compendio sinergico di una teoria architettonica dei sistemi complessi applicata a qualsiasi scala spazio-temporale. Nello schema riportato nella pagina seguente, si cerca di sintetizzare quanto detto finora. Il progetto è il prodotto di un assemblaggio complesso e diversificato, dove partecipano tutte le componenti spazio- temporali con traiettorie opposte ma interagenti, dove si fa emergere da una scala globale, con un processo di destratificazione del territorio in livelli programmatici un contesto virtuale, che suggerisce potenziali strategie di trasformazione, mentre alla scala locale, con la manipolazione dei componenti di uno o più sistemi materiali, che potremmo anche chiamare le unità di misura urbana per riferirle alla ricerca di Venturi e di Rossi, si estrapola un catalogo virtuale di prototipi formalmente definiti. Immaginiamo di confrontare questo schema con un’immagine che mette in sequenza la griglia astratta di Manhattan, una cartografia più articolata con pesi e grane diversificate, la pianta dei piani di un edificio, ed infine un dettaglio costruttivo. Si legge una concatenazione di relazioni e di eventi, che nella sua bidimensionalità lascia immaginare tante forme di