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Il progetto della Commissione De Mita Iott

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 82-88)

Il superamento del bicameralismo paritario e perfetto nei principali tentativi di riforma costituzionale

4. Il progetto della Commissione De Mita Iott

Nonostante i tentativi falliti di riformare il bicameralismo, sia da parte della Commissione Bozzi che da parte dell’equipe guidata da Leopoldo Elia, il tema delle riforme istituzionali non accennò a sopirsi nemmeno durante gli anni Novanta.

Già all’inizio della XI Legislatura, infatti, Camera e Senato (precisamente nelle sedute del 23 luglio 1992) approvarono due atti monocamerali di indirizzo93, aventi analogo contenuto, con cui venne deliberata l’istituzione

di una Commissione alla quale affidare il compito di esaminare le proposte di revisione costituzionale concernenti la parte seconda della Costituzione (limitatamente ai titoli I, II, III, IV e V, secondo l'ordine del giorno approvato dal Senato), le proposte di legge in materia elettorale presentate alle Camere, di elaborare un progetto organico di revisione dei suddetti titoli della Costituzione, nonché dei sistemi elettorali per l'elezione degli organi costituzionali. I temi da trattare sarebbero stati in definitiva quattro: forma di Stato, forma di governo, legge elettorale e garanzie costituzionali. La Commissione parlamentare per le riforme istituzionali di cui si sta trattando, meglio conosciuta come Commissione De Mita-Iotti (così denominata in virtù dei due presidenti che ne diressero i lavori), contava di ben 30 deputati e di 30 senatori, nominati rispettivamente dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato su designazione dei gruppi parlamentari, in modo tale da rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi presenti in Parlamento.

93 Risoluzione Bianco ed altri n. 6-0001 alla Camera; ordine del giorno Gava ed altri n. 1 al Senato.

La scelta di istituire questa Commissione, a bene vedere, fu però una scelta «a metà»: infatti, la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali soffrì, per oltre un anno di vita, della mancanza di poteri referenti. La Commissione, difatti, poteva solamente formulare progetti, e quindi esercitare una funzione semplicemente istruttoria e meramente propositiva; coerentemente, i documenti formulati, per essere trasformati in legge, avrebbero dovuto obbligatoriamente seguire l’iter ordinario, iniziando cioè dal necessario passaggio attraverso le Commissioni permanenti.

Soltanto con la legge costituzionale del 6 agosto 1993, n. 194, la

Commissione ottenne finalmente dal Parlamento i tanto sospirati poteri referenti.

Ciò precisato, veniamo al tema che ci interessa, vale a dire quello inerente il contenuto dell’ipotesi di riformulazione del sistema bicamerale.

A proposito si parte col dire che, nei tredici mesi precedenti al conferimento dei poteri referenti, tra le tematiche affrontate dalla Commissione, ritornò a galla proprio la questione del bicameralismo.

Quattro furono le proposte95 attorno alle quali ruotò la discussione, anche se

all’interno del discorso relativo alla revisione del bicameralismo entrava a pieno titolo anche una quinta ipotesi, rappresentata dalla proposta monocamerale96.

La prima proposta prevedeva di attribuire ad una delle due Camere (senza specificare quale delle due attuali) la competenza in materia di questioni che si potrebbero definire sinteticamente «regionali»; alla stessa Camera

94 In Gazzetta Ufficiale, n. 186 del 10 agosto 1993.

95 F. RESCIGNO, Disfunzioni e prospettive di riforma del bicameralismo italiano: la camera delle

regioni, Giuffrè Editore, Milano, 1995, p.73.

96 Cfr. l’intervento dell’onorevole Boato, in Atti della Commissione parlamentare per le riforme

sarebbe stata attribuita anche la competenza in materia di impegni derivanti dall’adesione alla Comunità europea.

La seconda proposta, invece, corrispondeva in qualche modo al cosiddetto bicameralismo processuale. Si trattava insomma dell’ipotesi che riproduceva il lavoro della maggioranza del Senato nella precedente Legislatura: essa potrebbe quindi essere definita in sintesi come «l’ipotesi Elia».

Vi è poi la terza ipotesi, la quale intendeva attribuire ad una Camera la prevalente competenza nell’esercizio della funzione legislativa, e all’altra la competenza in materia di controllo sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione.

La quarta ipotesi, infine, riproduceva sostanzialmente la proposta della Lega Nord di una «Camera dei diritti», eletta con metodo proporzionale e con la funzione di legiferare in materia di diritti soggettivi, e di una «Assemblea Nazionale», eletta su base regionale con la funzione di controllare il Governo, di concedergli la fiducia e di elaborare la legislazione di principio concorrente con quella regionale.

Per quanto concerne quella che potrebbe essere considerata come la quinta ipotesi, ossia quella relativa al monocameralismo (sostenuta ancora una volta dalla Sinistra, e in particolare dal partito di Rifondazione comunista e dall’onorevole Rodotà), venne proposto un Parlamento formato da un’unica Camera composta da 400 deputati97.

Per la soppressione di una Camera si orientò anche il Movimento Sociale MS-destra nazionale, che richiedeva la trasformazione del Parlamento bicamerale in Assemblea nazionale, composta in parte dai rappresentanti dei partiti politici ed in parte dai rappresentanti delle competenze, eletti a

97 Cfr. l’intervento dell’onorevole Ersilia Salvato, in Atti della Commissione parlamentare per le

suffragio universale diretto, per realizzare la partecipazione delle categorie del lavoro e della produzione98.

Una volta esaminate tutte le proposte descritte, la Commissione si orientò fin da subito, e in larghissima maggioranza, verso la conservazione di una struttura parlamentare bicamerale, con entrambe le Camere elette direttamente dal popolo, ed aventi pari dignità politica e istituzionale. Diversamente però dall’ipotesi avanzata dal Senato nella precedente Legislatura che operò su un piano esclusivamente procedurale, l’orientamento della Commissione fu diretto ad assumere una forma di bicameralismo differenziato99.

Un’ampia convergenza da parte dei commissari si ebbe anche sulla proposta di ridurre il numero dei componenti dell’uno e dell’altro ramo del Parlamento.

Il dibattito e i vari emendamenti confluirono poi in una serie di principi direttivi che la Commissione, al termine della discussione dei rapporti presentati dai comitati, dettò per il proseguimento dei lavori. Tali indirizzi si estrinsecarono: nella conferma della categoria delle leggi necessariamente bicamerali in materie di preminente rilievo costituzionale; nell’attribuzione a una delle Camere della legislazione di principio nelle materie di competenza delle Regioni e delle funzioni legislative di adeguamento dell’ordinamento nazionale agli impegni derivanti dall’adesione alle Comunità europee; nel mantenimento (a determinate condizioni) della possibilità per ciascuna Camera di richiedere di

98 Cfr. Pontone, Atti della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, nella seduta di lunedì 30 novembre 1992, 781.

99 Cfr. contro l’ipotesi di un bicameralismo differenziato, l’onorevole Riz: «Non condivido la previsione di un bicameralismo differenziato…in quanto parto dalla premessa, che è preferibile, di un bicameralismo paritario, ritenendo che il correttivo debba consistere in quel meccanismo di snellimento rappresentato dal cosiddetto silenzio-assenso…», in Atti della Commissione

intervenire sui progetti di legge approvati dall’altra; e, infine, nel ridurre in modo sostanziale il numero dei parlamentari.

Fu in data 11 gennaio 1994 che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali presentò infine il suo progetto costituzionale di revisione della parte seconda della Costituzione, il quale fu accompagnato dalle relazioni conclusive dell’allora Presidente della Commissione (l’onorevole Nilde Iotti), del deputato Silvano Labriola e del deputato Franco Bassanini.

Il testo del progetto di riforma risultava senz’altro ambizioso e prevedeva un’ampia riforma del rapporto Stato-Regioni100, nuove regole in materia di

formazione del Governo con la creazione della nuova figura del Primo Ministro eletto a maggioranza assoluta dal Parlamento, l’accentuazione del ruolo guida dell’Esecutivo, la cosiddetta fiducia costruttiva, nuove regole in materia di bilanci, decretazione d’urgenza, delegificazione, potere regolamentare del Governo e ampliamento dei poteri di inchiesta delle Camere.

Per quanto concerneva il bicameralismo, però, ben poche furono le proposte di riforma prospettate dalla Commissione.

Il progetto di legge costituzionale, seppur valido nel suo complesso, appariva difatti incompleto: come già accaduto in passato, l’impossibilità di trovare un compromesso tra le diverse idee espresse nel corso dei lavori istituzionali e mirati alla riformulazione dell’assetto bicamerale, impedì, ancora una volta, di formulare un progetto di revisione organico capace di trasformare il sistema parlamentare italiano.

La Commissione De Mita-Iotti riuscì difatti ad esprimere una grande coesione solamente riguardo due punti: riguardo la riduzione a quattro anni

100 In primis veniva ipotizzata l’inversione sostanziale dell’allora art. 117 della Costituzione, proponendo l’enumerazione delle materie da riservare tassativamente alla competenza statale anziché a quella regionale; veniva altresì promossa l’autonomia politica regionale.

della Legislatura; riguardo la riduzione consistente del numero dei parlamentari.

Anche sull’inadeguatezza del modello bicamerale paritario adottato dal testo costituzionale si trovò consenso unanime, ma una volta respinta a maggioranza la soluzione monocamerale, il gruppo di studio operante entro la Commissione per le riforme istituzionali non seppe raggiungere alcuna intesa sulla riforma del bicameralismo, nel senso della differenziazione della struttura, dei ruoli e dei compiti delle due Camere. La sola novità riscontrabile nella relazione dalla Commissione De Mita-Iotti potrebbe riscontrarsi soltanto nell’attribuzione delle competenze in materia di rapporto fiduciario al Parlamento, al quale sarebbe affidato il compito di eleggere il Primo Ministro ed eventualmente di sfiduciarlo, mentre alle due Camere singolarmente considerate non sarebbe restato alcun potere apprezzabile in tal senso.

D’altra parte, anche se le parti politiche di allora non furono in grado di formulare una proposta capace di imprimere finalmente una svolta al bicameralismo, fu poco male: le due Assemblee parlamentari non riuscirono a procedere all’esame del testo presentato dalla Commissione De Mita-Iotta a causa della conclusione anticipata della Legislatura101.

101 L’anticipata conclusione della XI Legislatura fu essenzialmente dovuta (oltre alla grave crisi che stava colpendo i partiti politici a seguito dello scandalo di Mani pulite) al referendum abrogativo del 1993 avente ad oggetto la legge elettorale del Senato, e alla consecutiva approvazione di una nuova legge elettorale nel medesimo anno (cosiddetta legge Mattarellum) che riprendeva il risultato referendario trasformando il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario.

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 82-88)