• Non ci sono risultati.

Il periodo post-fascista

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 31-35)

3. La Camera dei deputati e il Senato nel Regno d’Italia

3.2 Il periodo post-fascista

Con l’attecchire del regime fascista31 non si verificò una frattura tra vecchio

e nuovo ordinamento, ma anzi, un rapporto che può essere riconducibile al concetto di continuità, proprio come accadde durante il passaggio dal Regno di Sardegna al Regno d’Italia.

Difatti, il Duce e il suo regime fecero largo uso di infornate (come appunto già avveniva nella consuetudine del Regno d’Italia ancor prima della presa del potere da parte di Benito Mussolini), in modo tale da garantire l’inserimento all’interno del Senato di persone sicure e fedeli all’ideologia fascista, e che certamente si sarebbero allineate alle direttive del Governo. Accanto all’utilizzo del metodo delle infornate, poi, lo Stato dittatoriale, sempre in linea col recente passato rappresentato dalla monarchia costituzionale di casa Savoia, non fece mancare le allora consuete

30 S. BONFIGLIO, Il Senato in Italia: riforma del bicameralismo e modelli di rappresentanza, Editori Laterza, Bari, 2006, p. 37.

31 La storia dell'Italia fascista (richiamata anche con l’espressione ventennio fascista) comprende quel periodo storico italiano che va dalla presa del potere di Benito Mussolini, datata 30 ottobre 1922, sino alla fine della sua dittatura, avvenuta il 25 luglio 1943.

indicazioni programmatiche sulla trasformazione dell’ordinamento statale, prestando particolare attenzione alla Camera alta del Parlamento, cercando di ipotizzarne una possibile metamorfosi.

Anzitutto, Mussolini, in un famoso articolo pubblicato sul “Popolo d’Italia” nel marzo del 1919 (quindi ancor prima della sua presa del potere) propose la creazione, accanto ad un’Assemblea nazionale, di una serie di consigli eletti dai rappresentanti delle associazioni professionali e di mestiere, dei sindacati operai, delle cooperative, degli enti culturali e così via. Il Senato all’interno del nuovo assetto istituzionale non avrebbe così più avuto ragione di esistere e pertanto sarebbe stato abolito.

Le posizioni radicali del primo fascismo, esternate dal futuro dittatore, non ebbero però alcun seguito; la Commissione (cosiddetta dei Soloni) nominata dal Duce su designazione del Direttivo nazionale del Partito Nazionale Fascista (PNF) il settembre del 1924, e incaricata di studiare le riforme indispensabili per armonizzare l’ordinamento giuridico con le necessità del Paese ed i nuovi postulati della coscienza nazionale, si orientò difatti in tutt’altra direzione. Tutta la Commissione si trovò concorde, ad eccezione del prof. Gini, nel ritenere che l’ordinamento del Senato dovesse ispirarsi a criteri diversi da quelli che sempre più si erano andati affermando nelle proposte numerose di riforma, suggerite dal 1848 in poi. In altre parole, veniva ipotizzata una Camera alta che continuava ad essere una emanazione della Corona; l’unica novità di rilievo era costituita da un riordinamento ed ampliamento del sistema delle categorie, mentre rimanevano fermi i principi di nomina regia, del carattere vitalizio del mandato senatoriale e del numero illimitato dei membri.

La proposta di cui si discute risultava però di fatto molto lontana dalle ispirazioni ideologiche dei fascisti e, al contrario, troppo in linea con le principali disposizioni statutarie, tant’è vero che non ottenne il consenso di

Mussolini32. Il Gran Consiglio, da parte sua, una volta esaminata la

proposta (ottobre 1925), si accostò alla tesi di minoranza del Gini, e approvò un ordine del giorno in cui si diceva che il “Senato sarà in parte elettivo attraverso il voto degli Enti e delle Corporazioni”.

Nella seduta del 30 marzo 1926 vennero poi ulteriormente precisati i punti fondamentali per procedere alla riforma della Camera alta in senso corporativo:

1) il numero dei senatori rimane illimitato;

2) i senatori si dividono in due classi: i vitalizi nominati direttamente dal Re fra le categorie di persone escluse dalle Corporazioni, e i temporanei designati dalle grandi Corporazioni nazionali e nominati a loro volta dal Re;

3) l’età minima dei senatori temporanei è di 40 anni; la durata del mandato nove anni;

4) le Corporazioni di lavoratori designano un numero di senatori non mai inferiore a quello delle altre corporazioni di datori di lavoro.

Nondimeno, tutto ciò rimase a livello di semplici enunciazioni teoriche ed il Senato continuò a sopravvivere, fino alla caduta del regime e della monarchia, senza subire mutamenti nel metodo di composizione.

Le modifiche che subì la Camera alta durante la vigenza del fascismo riguardarono esclusivamente il piano funzionale33.

32 P. AIMO, Bicameralismo e regioni: la camera delle autonomie, nascita e tramonto di un’idea.

La genesi del Senato alla Costituente, Edizioni di Comunità, Milano, 1977, p. 66.

33 Il Senato subì una serie di modifiche sul piano funzionale in conseguenza di leggi riguardanti altri organi dello Stato: si pensi, ad esempio, alla legge 24-12-1925 n. 2263 (sulle attribuzioni e prerogative del capo del Governo), che, all’art. 6, impedì che alcun oggetto venga messo all’o.d.g. delle due Camere senza l’adesione del capo del Governo. Ugualmente rilevanti furono la legge 25-11-1926 n. 2305, che escluse dalla competenza del Senato il giudizio sui crimini di alto tradimento e attentato alla sicurezza dello Stato, e la legge 19-1-1939 n. 129, istitutiva della

Nello specifico, i mutamenti in questione si ebbero con la legge n.2263 del 24 dicembre 1925, contenente una norma (espressa dall’art. 6) per mezzo della quale il regime parlamentare, così com’era stato conosciuto fino ad allora, cessava di esistere: veniva infatti abolito l’istituto della fiducia e, sostanzialmente, si sottraeva alle Camere la funzione politica legislativa34. Come se non bastasse, a completamento dell’opera di esautoramento del Senato dalle sue funzioni, nel 1939 la Camera dei deputati divenne di nomina dall’alto e, conseguentemente, il Senato fu privato, di fatto, di ogni effettivo potere, il quale andava ad accentrarsi totalmente nelle mani del Capo del Governo e delle sue nuove “creature” istituzionali: il Gran Consiglio del Fascismo e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

A ben vedere, la Camera che subì il maggior grado di mutamento durante il periodo autoritario non fu quella alta, come si sarebbe potuto legittimamente ipotizzare visto il grande impegno diretto alla trasformazione del Senato, ma quella dei deputati (fu forse proprio la debolezza del Senato a salvarlo da quella profonda trasformazione del sistema parlamentare che coinvolse invece la Camera dei deputati e trovò il proprio apice nella creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni35).

Difatti, con la legge n. 129 del 19 gennaio 1939 la Camera dei Deputati veniva soppressa con la fine della XXIX Legislatura e veniva istituita in sua vece la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Essa era formata solo e soltanto dai componenti del Consiglio nazionale del Partito nazionale fascista e dai componenti del Consiglio nazionale delle corporazioni. La qualità di consigliere nazionale veniva attribuita con decreto del Duce del

Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che modificò alcune norme riguardanti le attribuzioni della presidenza del senato e il suo ordinamento interno.

34 L’articolo 6 sanciva appunto che: “Nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due Camere senza l’adesione del Capo del Governo”.

35 G. NEGRI, La Camera dei deputati dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari, 1983, p. 121.

fascismo, capo del Governo, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Non era nemmeno previsto un rinnovo periodico della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in quanto il mandato dei consiglieri nazionali terminava quando essi cessavano di appartenere ai suddetti organi.

Il Senato, invece, che non fu toccato dalla riforma del 1939, fu semplicemente fascistizzato con la nomina di ben 211 nuovi senatori, adepti del fascismo e perciò fedelissimi al governo presieduto dal Duce.

Dal nuovo assetto improntato dal regime, sortirono allora due Camere che condividevano il potere legislativo e aventi un ruolo complementare al Governo; infatti l'art. 2 della legge istitutiva recitava: "Il Senato del Regno e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni collaborano col governo alla formazione delle leggi".

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 31-35)