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La XVII Legislatura a fronte della complessa situazione italiana: il Governo Letta e il Comitato per le Riforme

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 124-139)

L’attuale proposta di revisione del bicameralismo italiano presentata dal Governo Renz

1. La XVII Legislatura a fronte della complessa situazione italiana: il Governo Letta e il Comitato per le Riforme

Costituzionali

L’attuale Legislatura della Repubblica italiana, ovvero la XVII, è iniziata venerdì 15 marzo 2013, contestualmente alla riunione della prima seduta della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con la composizione determinata dai risultati delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio, indette dopo lo scioglimento anticipato delle Camere nella XVI Legislatura, avvenuto il 22 dicembre 2012148.

Dai risultati elettorali del 24 e del 25 febbraio è sicuramente emerso un panorama politico complesso, mai riscontrato nella storia delle precedenti elezioni politiche italiane, tale da essere ampiamente commentato non solo dalla stampa nazionale, ma anche da quella internazionale149: difatti,

148 Lo scioglimento delle Camere della XVI Legislatura è difatti avvenuto quattro mesi prima della sua conclusione naturale, a causa delle dimissione del Presidente del Consiglio Mario Monti. Reperito in

http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/POLITICA/monti_a_napolitano_laquo_mi_dimetto _lascio_dopo_il_s_igrave_alla_legge_di_stabilit_agrave_raquo/notizie/236843.shtml.

149 Nel Regno Unito, la BBC guarda all'Italia del dopo voto, con un Parlamento che appare «diviso tra destra e sinistra, provocando nuova angoscia all'eurozona». In Spagna, El Mundo: «Destra e sinistra si eguagliano e l'antipolitica segue come terza forza». Durissima la Germania, che con la

Bild parla di paese «ingovernabile» e «minacciato da una paralisi politica», una «situazione di

stallo, uno scenario horror». Reperito in http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02- 26/stampa-estera-italia-stallo-094609.shtml?uuid=AbZ41TYH.

nessuna delle coalizioni è riuscita ad ottenere una vittoria netta sulle altre, profilandosi pertanto una situazione di difficile governabilità150.

In effetti, il quadro che è uscito dalle elezioni politiche 2013 raffigura un vero e proprio terremoto politico, ove l’istituzione rappresentativa del Parlamento non risultava più un organo inserito in un sistema tendenzialmente bipolare quale quello della tradizione italiana, ma piuttosto come una sede istituzionale spaccata in tre diversi e grandi settori: uno di centro-destra, uno di centro-sinistra ed infine, uno indipendente, di nessuna colorazione politica e non collocato all’interno di alcuna coalizione, ma comunque capace di raggiungere soglie percentuali di voto altissime e molto vicine a quelle delle due principali coalizioni avversarie.

Il risultato straordinario stava quindi nel mancato squilibrio del numero di voti accaparrati dalle principali liste elettorali, e nella conseguente omogeneità nella distribuzione del potere rappresentativo tra le forze politiche in campo, uscite egualmente vincenti -e perciò anche egualmente sconfitte- dalla sfida elettorale del febbraio 2013; di effetti, appariva senza dubbio difficilmente realizzabile la formazione di una maggioranza governativa e di un’opposizione di Governo, tant’è che in molti ipotizzarono, quale via d’uscita dalla complicata situazione che si andava prospettando, un rapido ritorno alle urne, nella speranza di veder realizzarsi un risultato elettorale diverso da quello che si era profilato, in modo da garantire un minimo di governabilità al Paese.

Per capire meglio la portata dell’imbarazzante esito delle ultime consultazioni elettorali, basti vedere i dati emergenti dallo scrutinio delle

150 Le informazioni sono state reperite in

http://archiviostorico.corriere.it/2013/febbraio/26/Conti_con_Realta_co_0_20130226_0927ca2e -7fdc-11e2-84b9-98ae4978b0e4.shtml;

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/26/il-pd-crolla-ma-vince-alla- camera.html?ref=search.

schede di voto151, tramite i quali si può constatare che alla Camera dei

deputati la coalizione di Centro-sinistra guidata da Pier Luigi Bersani, «Italia. Bene Comune», aveva ottenuto 10.047.808 voti, la coalizione di centro-destra capeggiata da Silvio Berlusconi 9.922.850 voti, e infine, il Movimento 5 stelle, capitanato dal suo leader Beppe Grillo, 8.689.458 voti152; al Senato della Repubblica, poi, i dati apparivano ancor più

spiazzanti, in quanto andavano a rilevare un’ulteriore diminuzione del margine di preferenza (già risicato) tra le due principali coalizioni in competizione: 9.686.471 voti erano espressi a favore di «Italia. Bene Comune», 9.405.894 a favore di della coalizione di centro-destra, ed infine 7.285.850 a favore del movimento di Grillo153.

Alla luce di questi risultati, se la prevalenza del centro-sinistra alla Camera dei deputati poteva certamente essere garantita dal premio di maggioranza previsto dalla legge Calderoli154, la quale assicura 340 seggi alla lista o alla

coalizione di liste che ottiene il maggior numero di voti, la situazione risultava essere molto più complessa e delicata al Senato, ove nessuna delle coalizioni riusciva a raggiunge la maggioranza assoluta di 158 seggi. Ma non solo: il sistema elettorale del Porcellum arrivava a creare una situazione letteralmente paradossale, in cui il Partito Democratico e il centro-sinistra, nonostante avessero ottenuto nel totale più voti del Popolo della Libertà e del centro-destra, riuscivano a ottenere solamente di 113 seggi, mentre la coalizione guidata da Berlusconi giungeva addirittura a quota 116155.

151 I dati indicati sono stati reperiti in http://www.termometropolitico.it/la-camera-e-il-senato- italiano-xvii-legislatura.

152 In termini percentuali, questi numeri si traducono in un consenso pari al 29,55 per «Italia. Bene Comune», al 29,18 per la coalizione di centro-destra e al 25,56 per il Movimento 5 stelle. 153 Al Senato i consensi per il centro-sinistra erano quindi pari al 31,63%, per il centro-destra al

30,72%, per il partito dei 5 stelle al 23,79%.

154 Grazie a uno scarto di poco più dello 0,30% dal totale dei voti rispetto alla coalizione del centro-destra.

155 Reperito in http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/25febbraio-risultati- voto_1c2c6382-7f46-11e2-b0f8-b0cda815bb62.shtml.

La spiegazione di una situazione talmente illogica si trova appunto all’interno della tanto discussa legge elettorale n. 270 del 2005, la quale prevede per il Senato un premio di maggioranza regionale capace di attribuire il 55% dei seggi che spettano a ciascuna Regione alla lista, o alla coalizione di liste, che non arriva a raggiungere detta percentuale all’interno della Regione di appartenenza.

Conseguentemente, anche se «Italia. Bene Comune» era riuscita ad ottenere un maggior numero di voti complessivo rispetto alla coalizione di centro- destra, poco importava: il premio di maggioranza su base regionale andava a premiare la coalizione avversaria, lodevole per aver vinto in tutte le Regioni «chiave» dell’Italia, ovvero in tutte quelle Regioni in grado di assegnare il maggior numero di senatori156.

La situazione appena descritta si riequilibrava parzialmente solamente grazie ai voti provenienti dalla Circoscrizione estero e dalle Regioni Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, per un assetto definitivo che vedeva assegnare alla Camera 345 seggi a «Italia. Bene Comune», 124 seggi alla coalizione di centro-destra e 108 seggi al Movimento 5 stelle; al Senato 123 seggi a «Italia. Bene Comune», 117 alla coalizione di centro-destra e 54 al Movimento 5 stelle157.

Ecco, dunque, il famigerato Porcellum servire all'Italia uno scenario politico di difficile ricomposizione, dove al Palazzo Madama non c'era maggioranza, mentre a Montecitorio quella che c’era pareva insufficiente per governare e garantire un minimo di stabilità al Paese. Tutto questo mentre in Parlamento si doveva eleggere il nuovo Capo dello Stato e il mercato italiano doveva fare i conti con uno spread che minacciava di risalire.

156 Berlusconi e la coalizione da lui guidata vinsero difatti, tra le varie Regioni, in Lombardia, in Sicilia, in Veneto, in Campania e in Puglia.

157 Reperito in http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-25/elezioni-2013-seggi-chiusi- 133350.shtml?uuid=AbhXA8XH.

Insomma, si profilava una situazione difficile, che avrebbe trasformato le settimane successive al voto in un rebus alla ricerca di un Governo stabile e duraturo.

Il 22 marzo 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ormai allo scadere del suo mandato, considerata la fluidità del quadro politico, decideva difatti di non conferire al candidato ufficiale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della coalizione di centrosinistra, Pier Luigi Bersani158, l’incarico di formare il nuovo Governo, ma di assegnargli

piuttosto un semplice mandato esplorativo, avente l’unico scopo di verificare la sussistenza di una maggioranza presso i due rami del Parlamento, pronta a sostenere e a votare la fiducia del nuovo ed eventuale Esecutivo159. Com’era prevedibile, però, l’esito del mandato non fu

risolutivo e, conseguentemente, il 28 marzo in conferenza stampa al Palazzo del Quirinale, Bersani rimetteva lo stesso mandato nelle mani del Capo dello Stato.

La situazione si stallo si risolse solamente due mesi dopo le elezioni, precisamente il 24 aprile, quando Giorgio Napolitano, appena rieletto Presidente della Repubblica160, conferiva l'incarico di formare un nuovo

Governo all’esponente del Partito Democratico Enrico Letta, il quale, accettato l'incarico con riserva, lo scioglieva positivamente il 27 aprile; lo stesso giorno presentava poi la lista dei ministri e il 28 aprile pronunciava il giuramento161. La fiducia da parte di Camera e Senato arrivava, infine,

rispettivamente il 28 e il 29 aprile.

158 Pier Luigi Bersani vinse le elezioni primarie di «Italia. Bene Comune» del 2012, indette appunto con lo scopo di scegliere il candidato premier del centrosinistra alle elezioni politiche italiane del 2013.

159 Reperito in http://it.euronews.com/2013/03/22/italia-governo-napolitano-affida-l-incarico-a- bersani/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+euronews%2 Fit%2Fnews+%28euronews+-+news+-+it%29.

160 Napolitano diviene il primo presidente, nella storia dell'Italia repubblicana, ad essere eletto per un secondo mandato.

Si giungeva così, finalmente, alla formazione del sessantaduesimo Governo della Repubblica Italiana, composto dai membri del Partito Democratico, del Popolo della Libertà e di Scelta Civica162, un Governo che si reggeva

quindi su larghe intese, e che fin da subito ha manifestato la volontà di perseguire l’obiettivo di riformare il Paese, in modo da realizzare tutte quelle grandi riforme necessarie per far ripartire l’Italia.

Rendere le istituzioni più moderne ed efficienti, approvare una nuova legge elettorale e porre la parola fine al bicameralismo perfetto erano le grandi scommesse dell’Esecutivo, il quale puntava a realizzarle mediante l’istituzione di una commissione apposita, avente funzioni consultive nei confronti del Governo.

La commissione di cui si parla venne effettivamente istituita il 2 luglio e denominata «Commissione per le Riforme Costituzionali»: essa si componeva di ben 35 membri163 e aveva appunto il compito di formulare

proposte di revisione della Parte Seconda della Costituzione (Titoli I, II, III e V), in modo tale da riformare le materie attinenti la forma di Stato, la forma di Governo, l’assetto bicamerale del Parlamento e le norme connesse alla legislazione ordinaria, con particolare riferimento alla normativa elettorale164.

Ora, per quanto riguarda l’assetto bicamerale del Parlamento, il progetto di riforma redatto dalla Commissione dedicava all’argomento addirittura un apposito capitolo, il primo, nel quale veniva espresso l’intento unanime dei commissari di superare definitivamente il bicameralismo paritario tipico dell’Italia, attraverso tutta una serie di proposte capaci di configurare un

162 Scelta civica è un partito fondato nel 2013 dal senatore a vita Mario Monti in vista delle elezioni politiche per proseguire il percorso iniziato dal suo Esecutivo nella XVI Legislatura; alla Camera conta 27 seggi, mentre al Senato ne conta solamente sette.

163 I membri della Commissione per le Riforme Costituzionali, detti «saggi», furono nominati dal Presidente del Consiglio Enrico Letta tra gli esperti del diritto costituzionale, secondo criteri di autorevolezza e rappresentatività; presidente della Commissione era il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello.

ordinamento maggiormente moderno ed efficiente: la Relazione della Commissione per le Riforme Costituzionali non sceglieva infatti un modello preciso, ma lasciava aperte più opzioni, in attesa che la scelta del nuovo assetto parlamentare venisse concretamente compiuta dagli organi rappresentativi.

Entrando nel merito, una prima proposta suggeriva un bicameralismo differenziato, capace di diversificare i ruoli delle due Aule parlamentari: mentre al Senato della Repubblica sarebbe spettata la rappresentanza degli enti territoriali, intesi sia come territorio che come Istituzioni, la Camera dei Deputati avrebbe dovuto gestire il rapporto fiduciario e l’indirizzo politico165. Entrambe le Camere avrebbero votato le leggi nelle forme

previste dalla Costituzione, controllato l’azione del Governo e valutato le politiche pubbliche, con una prevalenza della Camera nell’esercizio della funzione legislativa e del Senato nell’esercizio delle funzioni di controllo. Per la composizione della Camera alta, inoltre, venivano previste due diverse modalità per poter assumere la carica di senatore:

 l’elezione diretta da parte dei cittadini;

 l’elezione indiretta da parte dei Consigli regionali e dei Consigli delle Autonomie locali (i quali avrebbero potuto eleggere i senatori al proprio interno o fuori dal Consiglio).

Una seconda proposta indicava, invece, quale via di svolta, il monocameralismo, realizzabile mediante l’unificazione delle due Camere: questa opzione avrebbe garantito una maggiore semplificazione del sistema istituzionale e quindi una migliore stabilizzazione delle forma di governo;

165 Questa scelta era frutto di due motivazioni di fondo: a) la necessità di garantire al governo nazionale, certezza di disporre di una maggioranza politica, maggiore rapidità nelle decisioni; e dunque stabilità; b) l’esigenza di portare a compimento il processo di costruzione di un sistema autonomistico compiuto, attraverso una Camera espressione delle autonomie territoriali.

al contempo avrebbe comportato la costituzionalizzazione del sistema delle Conferenze Stato-Regioni-Enti Locali166.

In definitiva, per il superamento del bicameralismo paritario tre erano le ipotesi effettivamente prospettate dalla Commissione167: la prima,

prevalente, orientata verso un bicameralismo differenziato caratterizzato dall’elezione indiretta dei senatori168 (in modo tale che questi

rappresentassero Regioni e Comuni); la seconda, sostenuta da un congruo numero di componenti, fondata sempre sul bicameralismo differenziato ma in cui senatori sarebbero stati eletti direttamente169, in concomitanza con

l’elezione dei Consigli Regionali o, in alternativa, contestualmente all’elezione della Camera; la terza, accolta con interesse da alcuni componenti, basata sulla unificazione delle due Camere in una prospettiva monocamerale.

Lasciando da parte l’ipotesi monocameralista, che comunque risultava sicuramente la meno approfondita all’interno della relazione commissariale e la più remota dal divenire una concreta realtà, pare preferibile concentraci sull’ipotesi proponente il bicameralismo differenziato, in modo tale da poter apprezzare i caratteri essenziali e differenziali delle due Aule parlamentari previsti entro il documento stilato dalla Commissione per le Riforme Costituzionali.

Anzitutto, in un sistema nel quale il rapporto fiduciario veniva attribuito alla sola Camera (poiché eletta con regole che avrebbero continuato a

166 Il monocameralismo avrebbe avuto, inoltre, il vantaggio di rendere più agevole il processo di riforma che, senza una scelta di prevalenza tra le due Camere, avrebbe presumibilmente incontrato minori resistenze.

167 Ministro per le Riforme Costituzionali, Relazione finale della Commissione per le riforme

costituzionali, bozza non corretta, Roma, 17 settembre 2013.

168 L’elezione di secondo livello contribuirebbe a definire senza equivoci il nuovo ruolo costituzionale del Senato.

169 Nei sostenitori della tesi della elezione indiretta, era prevalente l’opinione che fosse opportuno che i senatori venissero eletti fuori dal Consiglio regionale, in modo da evitare che le stesse persone potessero ricoprire contemporaneamente due funzioni legislative, una presso il Consiglio regionale -o comunale- e l’altra presso il Senato; i senatori quindi, secondo questa opzione, sarebbero sì rappresentanti del territorio, ma eletti dalle istituzioni in questo radicate.

favorire la determinazione della maggioranza politica attraverso il voto dei cittadini), al Senato dovevano spettare, per il principio dei contrappesi costituzionali, i maggiori poteri di controllo non coinvolgenti il rapporto fiduciario. I meccanismi di coesione politica sottesi al patto di maggioranza, avrebbero potuto, infatti, rendere i poteri di controllo della Camera meno incisivi e meno garantisti. Il Senato, dunque, proprio perché svincolato dal rapporto fiduciario doveva necessariamente conservare il potere d’inchiesta parlamentare e il sindacato ispettivo, ed esercitare in modo sistematico la funzione di controllo parlamentare sull’attuazione delle leggi e sugli andamenti di finanza pubblica.

Sempre in relazione al Senato della Repubblica, al fine di accentuare il carattere regionale della rappresentanza del Senato, i 35 saggi, oltre alla elezione contestuale con il Consiglio regionale, ritenevano opportuna la decadenza dei senatori al momento dello scioglimento del Consiglio regionale: il Senato, pertanto, si sarebbe costituito come organo permanente, mentre i suoi componenti sarebbero decaduti ad ogni scioglimento del Consiglio regionale della loro Regione e sarebbero stati rieletti contestualmente alla rielezione del nuovo Consiglio regionale (in caso di elezione diretta) o comunque dal nuovo Consiglio regionale (in caso di lezione indiretta)170.

Inoltre, all’interno della Commissione era opinione assolutamente prevalente che i Presidenti di Regione dovessero parte del Senato come membri di diritto; secondo alcuni commissari, poi, avrebbero dovuto farne parte di diritto anche i Presidenti dei Consigli Regionali. I membri di diritto venivano d’altra parte immaginati come non aventi titolo a retribuzione, ma soltanto al rimborso delle spese.

170 Ministro per le Riforme Costituzionali, Relazione finale della Commissione per le riforme

Per quanto concerne invece la questione afferente al numero dei parlamentari, la relazione finale dei commissari per le riforme costituzionali consigliava vivamente una consistente diminuzione sia di senatori che di deputati.

Il numero dei Senatori, proprio per la specificità della loro rappresentanza, avrebbe dovuto essere stabilito Regione per Regione, in proporzione al numero degli abitanti; tuttavia, sarebbe stato opportuno che essi non arrivassero a superare la quota 200.

Il numero dei componenti della Camera dei Deputati, diversamente, avrebbe potuto stabilirsi su un criterio diverso da quello attualmente in uso, possibilmente più in linea con gli standard europei: per esempio, si sarebbe potuto usare il parametro più restrittivo della Spagna, in modo tale da comporre la Camera solamente da 480 deputati171.

Passando all’importantissimo argomento della disciplina inerente il procedimento legislativo, la Commissione decideva di non adottare il criterio della ripartizione per materie tra Camera e Senato (che avrebbe dato adito a incertezze e conflitti, in contrasto con i criteri di semplicità, rapidità e immediatezza di comprensione), ma aveva invece preferito distinguere le leggi in quattro categorie, in modo da integrare il principio della certezza con quello, parimenti rilevante, della partecipazione di entrambi i rami del Parlamento al procedimento legislativo, in forma diversa a seconda della tipologia della legge.

In sintesi, le quattro categorie supposte erano le seguenti172:

a) leggi costituzionali e di revisione costituzionale;

171 Si noti a questo proposito che la Spagna ha un’estensione territoriale di 504.645 kmq e l’Italia di 301.338 kmq.

172 Ministro per le Riforme Costituzionali, Relazione finale della Commissione per le riforme

b) leggi organiche173;

c) leggi ordinarie bicamerali (cosiddette «leggi bicamerali»);

d) leggi ordinarie con voto prevalente della Camera (cosiddette «leggi ordinarie»).

Ovviamente non occorre spendere parole sulle leggi della prima categoria, che, essendo destinate a concretizzare i principi fondamentali della convivenza civile, sociale e politica avrebbero avuto necessariamente bisogno del voto finale tanto della Camera che rappresenta la Nazione, quanto di quella che rappresenta le Autonomie e i territori. Sarebbe restata in vigore quindi la procedura attualmente prevista dall’articolo 138 della Costituzione174.

Maggiore attenzione richiedono invece le altre categorie di legge.

Per quanto riguarda le leggi organiche175, si deve anzitutto precisare che per queste s’intendevano quelle leggi che si andrebbero a interporre tra la Costituzione (e le leggi costituzionali) e le leggi ordinarie176. La loro

funzione sarebbe stata quella di disciplinare in diretta attuazione della Costituzione, materie individuate puntualmente nella Costituzione stessa, particolarmente significative per il sistema politico-costituzionale, come la legge elettorale, l’organizzazione e il funzionamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’organizzazione e il funzionamento dell’ordine giudiziario.

173 Alcuni componenti della Commissione ritenevano preferibile non introdurre questa nuova categoria di leggi, immaginando che sarebbe servita solo a complicare il sistema delle fonti. 174 Alcuni commissari ritenevano tuttavia opportuno che la possibilità di richiedere il referendum

confermativo non venisse più prevista per tutte le leggi di revisione: sarebbe stato opportuno porre dei paletti sulla base della maggioranza raggiunta per l’approvazione della legge.

175 La qualifica di legge organica sarebbe discesa solamente da una espressa e puntuale indicazione della Costituzione. Vi sarebbe stata, in definitiva, una riserva di legge organica: apposite norme transitorie costituzionali avrebbero individuato quali tra le leggi vigenti (o parti di esse) avrebbero potuto considerarsi organiche.

Nel documento Il bicameralismo in Italia (pagine 124-139)