Il superamento del bicameralismo paritario e perfetto nei principali tentativi di riforma costituzionale
2. Il progetto della Commissione Bozz
Fino ai primi anni Sessanta (eccezion fatta per le proposte avanzate da Costantino Mortati e Adriano Olivetti, immediatamente dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione), oggetto di particolare attenzione da parte dei costituzionalisti non fu tanto la necessità di una modificazione della Carta costituzionale, ma piuttosto il problema della sua attuazione.
81 Per una compiuta rassegna dei presupposti, delle esigenze e degli effetti di una riforma elettorale, vedi C. DEODATO, Il cavallo di Caligola, Appunti per una riforma elettorale, Astrid, 2013.
Difatti, fu solamente a seguito del concretarsi della nuova realtà regionale, dopo l’elezione del 1970 dei Consigli regionali, a far riflettere gli esponenti della politica sull’opportunità di riprendere l’idea, che l’Assemblea costituente respinse, di una seconda «Camera delle Regioni» e, quindi, di un «Senato delle autonomie»82.
Conseguentemente, nel corso degli anni Settanta vennero nuovamente presentate le proposte parlamentari volte alla «regionalizzazione» del Senato e tendenti a una «corresponsabilizzazione degli enti regionali», così come si affermava nella relazione illustrativa alla proposta di legge costituzionale presentata dai deputati Olivi, Bressani e Galloni. In essa veniva infatti prevista una composizione mista della seconda Camera: 180 senatori sarebbero stati eletti a suffragio universale e diretto, mentre 135 sarebbero stati eletti dai Consigli regionali.
Nei primi anni Ottanta, poi, quando il tema delle innovazioni costituzionali iniziò ad essere oggetto di un più ampio e interessante confronto scientifico, le proposte più significative, tendenti a rivitalizzare nella direzione del modello tedesco83 il Senato «su base regionale», furono quelle di Amato e,
nell’ambito di un progetto vasto e articolato di riforma costituzionale, quella di Galeotti.
Tali proposte furono però subito avversate, sia da una parte autorevole della dottrina sia dai partiti politici.
Non a caso, l’attenzione della prima Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, presieduta da Aldo Bozzi, fu rivolta principalmente verso un tentativo di razionalizzazione della forma di governo,
82 P. AIMO, Bicameralismo e regioni. La Camera delle autonomie: nascita e tramonto di un’idea.
La genesi del Senato alla Costituente, Milano 1977, p. 210.
83Il sistema legislativo tedesco prevede la presenza di due Camere: del Bundestag e del Bundesrat. Il Bundestag è il parlamento federale tedesco ed esprime la rappresentanza popolare della Repubblica Federale di Germania, mentre il Bundesrat è il Consiglio federale che, contrariamente alla Camera alta italiana, è concretamente rappresentativa delle autonomie locali.
condannando di conseguenza all’isolamento le proposte di trasformazione dello Stato italiano in Stato federale e del Senato in Camera delle Regioni. Nello specifico, la strada intrapresa dalla «Commissione Bozzi» mirava a un bicameralismo “differenziato” che, pur conservando pari dignità alle due Assemblee parlamentari, puntava a specializzarle nello svolgimento di determinate funzioni.
Ed è proprio il progetto avanzato dalla Commissione presieduta dall’onorevole Bozzi che più ci interessa analizzare in questa sede, costituendo indubbiamente il primo e, al contempo, uno dei principali tentativi di riforma costituzionale del nostro sistema parlamentare.
Anzitutto, si deve necessariamente partire col dire che la Commissione bicamerale di cui si parla fu istituita durante la IX Legislatura, mediante il voto favorevole di Camera e Senato, i quali approvarono (il giorno 12 ottobre del 1983) la mozione che andò a creare la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali in questione, componendola di 20 deputati e di 20 senatori, nominati dai rispettivi Presidenti dei rispettivi rami del Parlamento, e avente il compito di «formulare proposte di riforme costituzionali e legislative», al fine di «rafforzare la democrazia politica repubblicana, rendendola più capace di efficienza e di indirizzi durevoli e stabili, con la previsione di procedimenti per deliberare in piena trasparenza e tempestività, e dotandola di moderni apparati tecnici, anche in rapporto all’obiettivo del governo democratico dell’economia»84.
La Commissione, alla cui presidenza venne appunto chiamato l’onorevole Bozzi, iniziò la sua attività il 30 novembre 1983 e concluse i suoi lavori il 29 gennaio 1985, con la votazione a maggioranza della relazione conclusiva (nello specifico 16 voti favorevoli e 2 astenuti, su 40 componenti: la
84 Cfr. Camera dei deputati-Senato della Repubblica, Doc. XVI-bis, n. 3, IX Legislatura, I,
relazione conclusiva della Commissione fu approvata precisamente dai componenti della Commissione facenti parte dei gruppi DC, PSI, PRI, PLI, con l'astensione i rappresentanti dei gruppi comunista e socialdemocratico; espressero invece voto contrario i gruppi MSI-DN, Sinistra indipendente, Democrazia proletaria e Union Valdotaine. Furono inoltre presentate 6 relazioni di minoranza dai membri della Commissione appartenenti agli altri gruppi politici: si tratta delle relazioni aventi come primi firmatari rispettivamente gli onorevoli Russo, Milani, Barbera, Rodotà, Franchi e Riz).
Il primo argomento affrontato dalla Commissione Bozzi fu proprio quello del bicameralismo.
Ora, come si ricorda, entro l’Assemblea costituente le proposte di riforma inerenti il sistema bicamerale si esplicitarono in direzioni diverse, dal monocameralismo, dalla ripartizione delle funzioni per materia, dalla differenziazione delle funzioni, alla Camera delle Regioni.
Ebbene, tutte queste diverse alternative confluirono di nuovo nel dibattito apertosi all’interno della Commissione bicamerale per le Riforme Istituzionali85.
Tuttavia, le conclusioni della Commissione, per altro non del tutto unanimi, si possono riassumere nei seguenti termini86:
85 Le varie proposte formulate dalle forze politiche italiane per rimediare ai “mali” del bicameralismo furono nel dettaglio:
1) un sistema monocamerale (Partito Comunista);
2) rigida ripartizione delle funzioni per materia (Sinistra indipendente);
3) differenziazione delle funzioni delle due Camere, attribuendo in prevalenza le funzioni legislative alla Camera e le funzioni di controllo al Senato (Partito Socialista);
4) bicameralismo perfetto temperato dalla semplificazione delle procedure di approvazione delle leggi, consistente nella doppia lettura solo per materie di particolare rilievo (Democrazia Cristiana);
5) trasformazione del Senato in una vera e propria Camera delle Regioni, conposta dai rappresentanti dei governi regionali (Gruppo di Milano, comprendente studiosi di vario orientamento politico e diretto dal Prof. Miglio).
a) come già accennato in precedenza, con la relazione finale si proponeva il passaggio dall’attuale bicameralismo paritario e indifferenziato ad un tipo di bicameralismo differenziato che, pur conservando pari dignità alle due Assemblee, tendeva a specializzarle nell’esercizio di particolari funzioni, in modo tale da configurare un Parlamento composto di due rami differenziati l’uno dall’altro, specie nell’esercizio delle loro specifiche attività;
b) in tal senso, veniva attribuita alla Camera dei deputati una certa prevalenza nell’esercizio della funzione legislativa, e correlativamente al Senato una certa prevalenza nell’esercizio delle funzioni di controllo (il controllo si sarebbe incentrato soprattutto sull’attuazione delle leggi, sull’esercizio dei poteri normativi del Governo, sulle nomine, sugli enti pubblici, sull’attività d’indirizzo nei confronti delle Regioni, sull’attuazione delle politiche comunitarie e sull’andamento della spesa pubblica);
c) in entrambi i rami del Parlamento vi sarebbe poi stato l’esame delle iniziative legislative riguardanti materie di particolare rilievo, quali le leggi costituzionali ed elettorali, quelle del bilancio e finanziarie, quelle che comminano sanzioni penali restrittive della libertà personale, quelle relative alla tutela delle minoranze linguistiche e agli statuti delle autonomie regionali, quelle riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa ed i rapporti internazionali, quelle di conversione dei decreti-legge emanati dal Governo (quelle in questione sarebbero le cosiddette «leggi bicamerali»). Tutte le altre leggi diverse da queste appena enumerate, sarebbero le cosiddette «leggi a prevalenza Camera», per le quali verrebbe prevista l’approvazione da parte della sola Camera dei deputati, con facoltà di rinvio entro trenta giorni al Senato su richiesta 86 F. RESCIGNO, Disfunzioni e prospettive di riforma del bicameralismo italiano: la camera delle
del Governo ovvero di un terzo dei senatori, e con pronuncia definitiva da parte della Camera entro ulteriori trenta giorni;
d) veniva prevista anche una lieve diminuzione del numero di senatori eletti, come anche dei deputati, giustificata tra l’altro dall’alleggerimento degli adempimenti che deriverebbe, per ciascuna Camera, dalla specializzazione delle funzioni, arrivando precisamente ad un numero di 500 deputati e 250 senatori;
e) al contempo si prospettava un lieve aumento dei senatori a vita, che sarebbero passati da cinque a otto, in numero comunque non superabile, risolvendo quindi in senso negativo la questione sorta durante la presidenza Pertini;
f) sempre in relazione ai parlamentari facenti parti della Camera alta, veniva attribuita la qualifica di senatori di diritto, oltre che agli ex Presidenti della Repubblica, anche agli ex Presidenti della Corte costituzionale (che fossero stati tali per almeno tre anni);
g) si auspicava inoltre l’eliminazione dell’attuale differenziazione del corpo elettorale delle due Camere, nel senso di attribuire l’elettorato attivo sia per la Camera che per il Senato ai cittadini maggiorenni;
h) infine, era prevista l’attribuzione ad entrambi le Camere, ma in seduta congiunta, del potere di accordare e revocare la fiducia al Governo. Nessun riscontro positivo trovò invece, nelle conclusioni maggioritarie della Commissione Bozzi, la proposta (sostenuta in particolare dai rappresentanti delle minoranze linguistiche) tesa a trasformare il Senato in Camera delle Regioni, eletta in secondo grado dai Consigli regionali, prevalendo invece la scelta di mantenere ad entrambe le Camere una diretta derivazione popolare.
Esaminato il contenuto del progetto stilato dalla Commissione bicamerale, appare importante puntualizzare però che l’atto istitutivo della Commissione Bozzi non prevedeva alcun tipo di collegamento diretto tra i lavori di tale organo e l'attività legislativa delle Camere.
L’organo aveva semplicemente il mandato di riferire ai Presidenti delle due Camere sui risultati dei propri lavori: era pertanto esclusa la disponibilità della Commissione Bozzi sia di poteri referenti nei confronti delle Assemblee parlamentari, sia di strumenti di diretto collegamento con i lavori delle competenti Commissioni parlamentari; né erano precisate, da parte dell’atto istitutivo di tali organi, particolari modalità per l'inserimento nell'ordine del giorno delle Camere degli argomenti trattati dai Comitati e dalla Commissione Bozzi. Il concreto avvio dell'esame parlamentare dei progetti riguardanti i temi e le proposte oggetto dei lavori della Commissione bicamerale era quindi sostanzialmente rimesso all'iniziativa dei gruppi politici, i quali non riuscirono però a raggiungere un sufficiente grado di accordo in merito, ragion per cui risultò impossibile l’esame del lavoro bicamerale entro le due sedi assembleari del Parlamento.
Così, a seguito della presentazione della relazione finale, furono semplicemente depositate in Parlamento, da parte di vari gruppi politici, una serie di proposte di revisione costituzionale che riprendevano in tutto o in parte le conclusioni formulate dalla Commissione. In particolare l’onorevole Bozzi si fece promotore di ben nove proposte87, che vennero sì
assegnate alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, ma di cui non fu mai iniziato l’esame.
In definitiva, i risultati della Commissione Bozzi, non vennero mai discussi dalla Camere; l’unico contributo certo che la Commissione ha saputo dare è
87 Le nove proposte riguardavano: l’ordinamento regionale e locale, l’amministrazione della giustizia, il governo dell'economia e i diritti sindacali, la disciplina delle fonti normative e del referendum, il Presidente della Repubblica e il c.d. "semestre bianco", il Governo e la pubblica amministrazione, la composizione e le funzioni delle Camere, i diritti civili e politici.
stata la concretizzazione della necessità di riformare il bicameralismo tramite una un progetto di riforma costituzionale racchiuso in una relazione dettagliata, i cui contenuti saranno poi inevitabilmente richiamati in tutti i successivi dibattiti parlamentari e politici, volti a riformare e a migliorare la struttura bicamerale paritaria, perfetta e indifferenziata presente in Italia.