Nel 1569 Gerard Kremer, noto come il Mercatore, pubblicò la prima carta al mondo corrispondente al principio dell’isagonia cioè con la proprietà di riprodurre, fedelmente, gli stessi angoli presenti tra le linee che s’incontrano sulla superficie terrestre (Fig. 1.19). Mercatore aveva conseguito un risultato così avanzato immaginando il globo terrestre avvolto da un cilindro tangente all’equatore e la superficie terrestre proiettata sulle pareti del cilindro. Svolgendo la superficie del cilindro, su cui è proiettata la superficie terrestre, si ottiene un rettangolo i cui meridiani risultano tra loro a distanza costante e perpendicolari ai paralleli. Il mappamondo di Mercatore costituì un esordio della rappresentazione moderna del mondo perché abbandonò il principio di so- miglianza, cui s’era ispirata la cartografia pre-moderna, secondo cui la rappresentazione cartografica doveva riflettere i contorni reali delle terre emerse e dei mari. Mercatore adottò un altro principio, che Michel Foucault, ha reso evidente nel suo “Les mots et les choses”: il principio di prossimità, in base al quale la rappresentazione è costituita da segni che non riflettono più la realtà, ma ne forniscono una visione appropriata per approdare a determinati significati. Nel riprodurre la superficie terrestre, la cartografia pre-moderna, basata sul principio di somiglianza, teneva conto del soggetto: le carte erano il prodotto dell’osservazione diretta dei singoli luoghi, quindi riflettevano le esperienze esistenziali del soggetto (il comandante della nave, il cartografo di corte, etc.). Ora, con Mercatore, il soggetto diventa secondario, quasi emarginato: la rappresentazione assume un carattere astratto, com’è astratta la geometria cui si ispira e, nel rispondere al principio di prossimità, chiama in causa un elemento di indiscussa oggetti- vità, qual è appunto la misura che, affidata a strumenti (il sestante e il compasso), prescinde dalla valutazione oggettiva. Un secolo più tardi, nel 1668, il modo moderno di rappresentare il mondo sul piano della cartografia, sarebbe stato inter- pretato da Jan Vermeer, attraverso “Il geografo”, uno dei più noti dipinti della scuola fiamminga (Fig. 1.20).
La carta di Mercatore e “Il geografo” di Vermeer testimoniano quanto, nella fase di passaggio dalla pre-modernità alla modernità, la rappresentazione cartografica sia stata dirompente e ricca di conseguenze. La carta di Mercatore costituisce una rappresentazione della superficie terrestre basata su un criterio, quello della prossimità, del tutto conflittuale con il modo premoderno, basato sul principio di somiglianza. È quindi evidente come il rapporto tra il tempo, espresso dal movimento, e lo spazio, espresso dalla superficie terrestre entro la quale ha luogo il movimento, è un argomento che riguarda non solo il lavoro del cartografo, ma è anche importante per riflessioni di ordine generale.
Fig. 1.19 – La carta di Mercatore (a sinistra) Fig. 1.20 – Jan Vermeer, “Il geografo”, 1668-69 circa (a destra)
79 Una base per riflettere sulle più significative manifestazioni cui la geografia moderna ha dato luogo nel rappresentare lo spazio, può essere trovata nella carta delle “località centrali” della Germania meridionale, rappresentata nel 1933 da Walter Christaller (Fig. 1.21). Si tratta di una rappresentazione di una rete urbana nella quale sono presi in considerazione soltanto i centri abitati capaci di esercitare una qualche influenza sul territorio circostante e, poiché essa non rappresenta il territorio in base alle sue caratteristiche materiali quanto piuttosto in base a caratteristiche economiche, diventa una carta astratta, costi- tuita soltanto da punti e da cerchi di varia ampiezza.
Nella carta di Christaller non compaiono elementi che chiamano in causa il rapporto tra tempo e spazio, nonostante ciò la carta possiede un certo interesse per il nostro discorso sul rapporto tra spazio e tempo perché ci mostra come, nella rappre- sentazione oggettivistica, ispirata al razionalismo, uno dei termini, lo spazio appunto, sia concepito.
Secondo Adalberto Vallega, usando cautela si può trovare un certo parallelismo con la teoria einsteniana.
All’inizio del Novecento, nelle sue riflessioni sullo spazio, Albert Einstein aveva proposto infatti tre concetti, che in un certo senso si collegavano alle idee coltivate dai geografi. Il primo era il concetto di “spazio come luogo” del singolo oggetto materiale, cioè come qualità posizionale degli oggetti. Il secondo era il concetto di “spazio come contenente” di tutti gli oggetti materiali, cui si allacciava il concetto geografico di spazio come superficie. Il terzo era il concetto di “spazio come campo”, cioè come sistema di riferimento per gli oggetti immersi nello spazio, cioè come variazione continua delle condizioni dello spazio inteso come estensione. È a questo punto che, nella visione einsteniana, viene introdotto il concetto di tempo, come quarta dimen- sione di un sistema, quello dello “spazio-tempo”. L’impostazione geografica che richiama, in qualche modo, quella di spazio come campo, può essere colta nel concetto di “spazio relazionale”. Lo spazio geografico, infatti, viene rappresentato come un insieme di elementi tra loro interconnessi, cioè come una struttura, e le relazioni tra gli elementi costituiscono tessiture che danno vita alle condizioni in cui la struttura viene a trovarsi e si evolve. Come si vede, è avvertibile una certa analogia, anche se debole, tra l’idea di campo, di cui parla Einstein, e l’idea di spazio relazionale in senso geografico (Vallega, 2006).
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Alla fine dell’Ottocento, la società moderna stava attraversando una svolta di notevole portata, contrassegnata da una folla di invenzioni e innovazioni che avrebbero cambiato i modi di vita e proiettato i paesi avanzati verso le grandi trasfor- mazioni del secolo successivo. In quel momento debuttò una carta geografica speciale, che sarebbe diventata essenziale per muoversi rapidamente sulle lunghe distanze e, quindi avrebbe costituito uno strumento fondamentale di modernità: la “carta dei fusi orari” (Fig. 1.22). Su progetto di Sir Sandford Fleming, essa è basata sulla divisione in ventiquattro spicchi corrispondenti all’incirca a quindici gradi di longitudine ciascuno. Tale carta possiede alcune caratteristiche, ricche di senso, per il modo moderno di intendere il rapporto tra spazio e tempo.
La prima caratteristica consiste nel modo relativistico di concepire tale rapporto. La suddivisione della superficie terrestre in intervalli di 15° di longitudine era, infatti, una condizione necessaria, ma non sufficiente, per rappresentare il tempo su lunghe distanze. Per rendere lo schema utilizzabile occorreva identificare anche un meridiano di partenza, quindi un fuso orario basi- lare, in rapporto al quale determinare la distanza temporale di ogni altro punto sulla superficie terrestre: il Greenwich Medium Time (GMT). Da qui il relativismo della rappresentazione del tempo attraverso la carta dei fusi orari. Dal tempo determinato in senso oggettivo, cioè in rapporto alla posizione del sole, la carta si trasferiva al tempo determinato in senso relativo, cioè in relazione al meridiano fondamentale. Tale rappresentazione, in sostanza, conduceva a considerare tempo e spazio come componenti di una stessa realtà e l’uno in funzione dell’altro: il tempo veniva infatti considerato una realtà fluida ed elastica, che si identifica e misura facendo perno sullo spazio, riferendoci al meridiano fondamentale, e lo spazio veniva considerato come una superficie che si connotava perché era immersa in un flusso temporale segnato dai ritmici passaggi del sole. Questo modo di vedere spazio e tempo in termini integrati, tra loro compenetrati, è stato messo a fuoco da Eugene Min- kowski, che negli anni ’30 del secolo scorso propose di ragionare non più in termini di “geotipi”, cioè di luoghi situati su uno spazio a tre dimensioni, bensì in termini di “cronotopi”, cioè luoghi situati in uno spazio a quattro dimensioni, di cui la quarta dimensione è costituita appunto dal tempo. La geometria che nasce da Minkowski è rappresentata da un sistema di coordinate in cui dai tre assi dello spazio (lunghezza, larghezza, altezza) partono, lungo l’asse del tempo, linee diagonali che rappresentano la velocità della luce. Il cono delimitato da queste linee circoscrive la realtà spazio-temporale.
Tra le varie conseguenze, provocate dalla concezione di Einstein arricchita delle puntualizzazioni di Minkowski, sta la con- futazione del principio della “simultaneità temporale”. Termini come “prima” e “poi” hanno senso soltanto per due o più osservatori che condividono lo stesso sistema di riferimento.
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