L'ESPERIENZA DELLA MALATTIA IN MIGRAZIONE
5.3 Il rapporto tra medico e paziente in Sokos
Un tratto che definisce l’interazione tra il personale medico di Sokos e i pazienti stranieri è il suo essere ibrida. Quando ci riferiamo al carattere ibrido del rapporto medico, intendiamo definire una relazione che non si esaurisce nella visita medica costruita attorno ad una precisa sequenza di interazioni dettata da una rigida interpretazione dei ruoli sociali di medico e paziente, piuttosto essa viene da un lato reinterpretata e dall’altro arricchita da una forte componente relazionale. Questa componente si costituisce a partire dalla pratica dell’ascolto del paziente migrante e dal tempo dedicato a questa pratica, arrivando a fornire al migrante una serie di informazioni utili al mantenimento della propria salute e all’accesso al sistema dei servizi sanitari.
Per rendere più efficacemente il concetto appena espresso, chi scrive ha deciso di avvalersi della descrizione di come avviene l’interazione medica negli ambulatori di Sokos, così come osservato direttamente nell’arco di un intero pomeriggio di visite.
L’occasione di assistere in prima persona alle visite mediche mi è capitata fortuitamente. Durante un mercoledì pomeriggio nel quale vi era una forte l’affluenza di pazienti, la piccola stanza che mi era stata concessa come studio viene trasforma in un ambulatorio di fortuna.306 E’ Marco a bussare e a comunicarmi che di lì a qualche minuto mi darà un po’ di fastidio perché, data la grande quantità di pazienti che devono ancora essere visitati, i tre medici in servizio hanno deciso di usufruire dello spazio della stanzina, per velocizzare le visite mediche . Allo stesso tempo Marco mi dice che, se voglio, posso restare e che non do alcun disturbo. In un primo momento mi dimostro titubante perché penso che non ho diritto a rimanere lì, ad assistere alle visite mediche di persone sconosciute, che forse ledo la loro intimità e decido di esporre le mie perplessità a Marco. E’ lui stesso a convincermi a rimanere poiché evidenzia l’utilità per la mia ricerca di sentire direttamente i racconti che i pazienti stranieri fanno al medico e insiste per mostrarmi come si lavora in ambulatorio “Così, vedi tu stesso come avvengono le cose qua dentro”, mi dice. Allora mi convinco, ma prima voglio che siano chiari ad entrambi i termini della mia presenza .Così stabilisco con Marco che io sarei uscito dall’ambulatorio quando per essere visitato un paziente si sarebbe dovuto spogliare anche solo parzialmente, quando la patologia del paziente fosse stata particolarmente grave ed avesse riguardato aspetti intimi e personali e ovviamente quando fosse stato lui stesso a chiedermi di uscire. In qualche occasione specie con i migranti che aveva già visitato altre volte, Marco ha rivelato la mia identità di ricercatore che stava collaborando con Sokos e ha chiesto loro il permesso di farmi presenziare alla visita; tutti i pazienti hanno acconsentito
senza incertezza alla sua richiesta, segno evidente di una buona dose di fiducia riposta nella sua persona.
Nell’iniziare la visita la prima azione che il medico compie avviene paradossalmente senza la presenza del paziente. Il medico infatti esamina attentamente la cartella clinica del paziente che sta per essere chiamato in ambulatorio, ne acquisisce la storia clinica se egli è già stato in cura da Sokos, o verifica i dati anagrafici quando si tratta di un nuovo paziente. L’azione di esaminare la cartella clinica riveste un’evidente importanza nella strutturazione della successiva interazione tra medico e paziente. Il primo infatti ha modo di sapere parte della storia, clinica e non, del secondo prima che questi gliene dia conto. Il medico gioca quindi d’anticipo, disegna già un profilo sanitario dell’utente che poi sarà integrato attraverso lo scambio verbale e visivo. Ciò permette al medico di poter controllare la rappresentazione che il migrante fornisce della sua malattia, di verificare la veridicità della versione che gli viene fornita, la conoscenza e la consapevolezza che il migrante possiede riguardo al suo stato di salute. Anche questa operazione richiede del tempo al medico e dilata non di poco i tempi di attesa complessivi
Ciò che mi ha colpito è stato prima di tutto la grande quantità di tempo che Marco dedica a ciascun paziente, soprattutto per quelli che sono alla loro prima visita. In questo caso il medico che, vestito con il camice bianco a conferma delle aspettative, siede dietro una scrivania, compila una scheda contenente una serie di informazioni mediche con l’intento di tracciare la storia clinica del paziente. Si informa sostanzialmente sullo stato di salute del migrante precedente all’esperienza migratoria e su quello più recente. Ma le domande che pone Marco e il tempo che egli dedica a questa parte della visita supera di gran lunga quello previsto dal questionario. Il medico infatti si informa sulla vita che i migranti conducevano nel paese di origine; chiede di lavoro, di famiglia e di figli e tenta di stabilire connessioni con l’esistenza che invece conducono qui, vuole vedere se emergono problematiche quotidiane e se eventualmente esse sono da ricollegarsi al loro stato di salute. I pazienti sembrano rispondere volentieri alle domande e d’altra parte non vengono forzati a dare risposte se non lo ritengono necessario. Grazie a questo momento la tensione vissuta dai migranti scema via via , specie per quelli che per la prima volta vedono un medico di Sokos. Marco scherza e fa battute divertenti, stempera gli imbarazzi reciproci – d’altra parte anche il medico ha bisogno di sentirsi a suo agio per poi trasmettere a sua volta questo stato d’animo al paziente che gli sta di fronte- e punta a creare un clima empatico. Tutte questa serie di azioni, unita ad un registro linguistico colloquiale e poco formale possiamo interpretarli come una presa di distanza dal ruolo di medico la quale dà anche ai migranti la possibilità di non assumere interamente e fin da subito il ruolo di paziente. Marco nella fase preliminare del colloquio predispone una sorta di anticamera
comunicativa, nella quale interagisce con il migrante considerandolo prima di tutto come una persona che sta vivendo un’esperienza biografica particolare, quale la migrazione. La situazione che viene a crearsi è tale, che sembra far passare l’aspetto della malattia in secondo piano rispetto agli altri argomenti che vengono discussi. Ad un certo momento il medico chiede il motivo per il quale la persona è venuta a farsi visitare e questa inizia ad esporre il problema di salute che lo interessa. A questo punto Marco inizia ad assumere un atteggiamento di propensione all’ascolto. Sta a sentire molto attentamente la descrizione dei sintomi fatta dal paziente; interrompe poco solitamente solo per chiedere dei chiarimenti, se le difficoltà linguistiche impediscono al migrante di farsi capire. Allora chiede di ripetere. Quando il paziente non trova le parole giuste cerca di assisterlo: suggerisce, completa, aiuta a spiegare. Successivamente il medico si alza dalla sedia, si avvicina al paziente ed inizia a visitarlo: controlla la pressione, il battito cardiaco, le vie respiratorie e ovviamente presta particolare riguardo al problema di salute specifico sofferto dal paziente. L’aspetto interessante di questo modo di operare è che la malattia del paziente non è monopolio del sapere tecnico detenuto dal medico, ma diventa terreno comune di confronto tra due rappresentazioni della malattia: una generata dal sapere medico, l’altra dalle percezioni dell’individuo malato. Infatti, l’interazione si sviluppa attorno alla narrazione della malattia prodotta dal paziente. Marco non interrompe quasi mai il racconto, semmai lo tiene vivo con ulteriori domande. Egli cerca costantemente di trovare la conferma delle proprie valutazioni mediche nelle risposte del paziente. Questo non significa che il medico accetti di mettere totalmente in secondo piano la propria autorità medica, la quale continua a pesare nel rapporto con il migrante; ed infatti l’intervento che chiude la prassi della diagnosi e della prescrizione della cura è quello del medico che stabilisce la propria definizione della situazione alla quale il migrante è tenuto a conformarsi. Tuttavia appare evidente come il processo di definizione della malattia e della cura diventi più aperto al contributo del paziente. Anche il flusso della comunicazione non sembra seguire il “naturale” divario di potere connesso ai diversi ruoli sociali dal medico verso il paziente straniero. E’ il migrante che, in relazione alla sua abilità linguistica, comunica una grande quantità di informazioni, in sostanza racconta gran parte della sua biografia al medico il quale limita all’essenziale il suo potere di normazione del comportamento e della gestione della salute del paziente.
In generale ho osservato una certa elasticità da parte sia del medico che del paziente straniero nell’interpretare i loro ruoli sociali così come conformati dalle aspettative reciproche. Il primo infatti alterna un comportamento rispondente alle aspettative sociali sul suo ruolo: indossare un camice, condurre la vestita medica in un determinato modo, scrivere le ricette per la prescrizione
dei farmaci, ad azioni di presa di distanza dal proprio ruolo quali ad esempio mantenere un atteggiamento scherzoso, sdrammatizzare i sintomi del paziente, chiedergli opinioni in merito alle sue valutazioni, fornirgli delle informazioni extra-mediche.307 Lo stesso paziente quindi non si limita ad interpretare il suo ruolo riferendo la percezione che ha dei suoi sintomi ma interagisce con il medico, esprime i suoi giudizi, lo rende partecipe di eventi della sua vita non strettamente medici. Sono state diverse le storie di vita e gli aneddoti, sulle esperienze mediche, che ho ascoltato durante le visite. Tra le tante quella di un ricercatore universitario brasiliano che ci racconta del suo difficile rapporto con il mondo accademico; quella di una donna marocchina che ha invece parlato della sua esperienza conflittuale con un medico ginecologo che non voleva rilasciarle il certificato per la maternità anticipata (per lavoro rischioso) sebbene lei svolgesse un lavoro molto pesante (mansioni di magazzino in una fabbrica) e avesse già rischiato un grave infortunio. Oppure la storia di una donna peruviana che raccontava di come avesse perso il suo lavoro di addetta alle pulizia presso una cooperativa e della ricerca, divenuta per lei oramai opprimente, di un nuovo contratto di lavoro in tempo utile per rinnovare il permesso di soggiorno.
Ma uno degli aspetti che più ha attirato la mia attenzione è stato il tempo dedicato dal medico di Sokos per fornire indicazioni in merito all’utilizzo dei servizi sanitari. Marco infatti spiega precisamente a quale reparto ospedaliero si deve rivolgere, illustra l’ubicazione di un CUP disegnando su un foglio il percorso stradale per raggiungerlo, esce dall’ambulatorio alla ricerca di informazioni per sapere dove ci sia un bravo ginecologo da cui mandare un sua paziente visto che lo specialista di Sokos è momentaneamente impossibilitata a visitare per motivi di salute. In generale spiega ai migranti pazientemente e in maniera molto dettagliata come si debbano orientare tra vari i servizi sanitari cittadini, sia sotto l’aspetto medico-sanitario sia sotto quello burocratico.
In un’occasione infine Marco reputa opportuno chiedere un parere di un altro collega riguardo ad un caso clinico su cui è incerto. Esce dall’ambulatorio e torna con un medico donna ed entrambi visitano il paziente, gli chiedono ancora informazioni sulla sua malattia, ascoltano la sua risposta ed interagiscono con lui fino a dare una risposta al problema per il quale si era presentato in ambulatorio. In questo caso Marco dimostra di affidare più importanza al benessere del paziente che 307In questo caso ci troviamo davanti a quell'aspetto dell'interazione faccia a faccia che Erving Goffman ha definito “distanza di ruolo”. Si tratta del divario tra l’individuo e il suo ruolo. Durante la performance di ruolo, l’individuo comunica la sua distanza dallo status/posizione che ricopre. L’individuo però non nega il ruolo, cioè le aspettative, quanto piuttosto il sé virtuale che gli si potrebbe attribuire se si pensasse che è totalmente identificato con la posizione. Gli esempi di Erving Goffman sono presi dalle dinamiche della sala operatoria, un sistema di interazione chiuso in cui i ruoli devono essere ben definiti, la cooperazione è necessaria e in cui si svolge un’attività estremamente seria e tecnica, assai codificata. Goffman osserva direttamente alcune operazioni notandoche la comunicazione della distanza dal ruolo non è un fenomeno che accade solo a volte, in relazione alla personalità degli individui (medico e infermiere)
al suo prestigio medico, il quale potrebbe diminuire agli occhi del paziente quando constata che il medico che lo sta visitando non riesce da solo a diagnosticare con esattezza l’origine del suo problema di salute.
Dal resoconto sullo svolgimento della visita medica, possiamo individuare tre nuclei di azioni all’interno della cui cornice si costruisce il rapporto tra medico e paziente in Sokos. Essi sono: la componente relazionale fondata sull’ascolto, il processo di negoziazione e il trasferimento di informazioni.
Diventa molto importante per i medici di Sokos non solo visitare il paziente al fine di diagnosticare e curare una patologia ma è altrettanto importante che il migrante acquisisca la possibilità di mantenere la propria condizione di salute o di curare la propria malattia, attraverso la conoscenza dei servizi sanitari diffusi sul territorio e del loro funzionamento. La pratica dei medici di Sokos di fornire questo tipo di informazioni ai propri pazienti è molto diffusa, tanto che me ne hanno parlato sia i migranti che i medici intervistati.
Così risponde un medico alla mia domanda su che tipo di informazioni è solito dare ai migranti durante la visita medica.
“Informazioni mediche, poi cerco di sfruttare un po' la mia esperienza al S.Orsola come se fossero i miei pazienti: quindi cercare di non mandarlo dall'ecografista meno bravo. Poi mi rendo conto che loro non erano poi così informati sui servizi...allora bisogna fargli capire che loro hanno diritto di essere curati, che loro determinati farmaci non li devono pagare. Poi magari devi superare certi scogli quando li mandi a fare gli esami e loro ti dicono “Ma io non ho i soldi per pagare il ticket!” allora tu dici “Io ci provo a fare una lettera di accompagnatoria”, oppure fai fare una firma dietro alla ricetta che puoi far fare per dimostrare che lui è indigente.” [S4]
Il medico non fornisce solamente aiuto alla risoluzione di un problema di salute immediato ma accompagna il migrante nel complicato reticolo dei servizi sanitari del territorio bolognese. Definiamo questa pratica “azione sanitaria indiretta”. Attraverso di essa l’azione del medico viene potenziata ed estesa anche al di fuori dello spazio fisico di Sokos. Egli infatti si serve delle proprie conoscenze riguardo al sistema sanitario per agevolare il migrante e procurargli il maggior grado di beneficio possibile. Il medico quindi socializza il migrante al rapporto con le istituzioni sanitarie. Riteniamo che questa pratica produca benefici per il migrante tanto importanti quanto più egli è privo di tutta una serie di informazioni sanitarie, data la sua condizione di irregolarità. Infatti,
l’essere irregolare amplifica di molto le difficoltà a reperire per via istituzionale informazioni utili. Difficilmente, infatti, il migrante irregolare si recherà da solo presso qualche ufficio pubblico al fine ottenere delle informazioni sanitarie che lo riguardano, per la paura di essere fermato dalla polizia. L’unica fonte informativa a cui egli può attingere è rappresentata dai suoi connazionali o da altri migranti che hanno avuto esperienze simili alle sue con il rischio tuttavia di incorrere in inesattezze e pesanti distorsioni delle informazioni ricevute.
Di importanza fondamentale appare anche la continua azione di socializzazione dei migranti ai diritti all’assistenza sanitaria di cui godono, anche se irregolari. Questo aspetto è indubbiamente importante perché rompe la logica irregolarità-assenza totale di diritti interiorizzata prima di tutto dagli stessi migranti, rendendoli consapevoli e restituendogli uno spazio per mettere in pratica una forma seppur ridotta di cittadinanza.
Evidentemente tale pratica di orientamento al mondo dei servizi sanitari deve essere molto frequente nelle interazioni mediche e inoltre sembra trovare un riscontro positivo tra i migranti che più volte ne hanno fatto menzione, sottolineandone i vantaggi acquisiti. Qui sotto riporto quattro contributi differenti nei quali i migranti evidenziano l’estrema utilità della conoscenza dell’universo dei servizi sanitari che maturano durante le visite con i medici di Sokos. Traspare dalle interviste uno spiccato senso di sicurezza. I migranti si sentono più sicuri nel rapportarsi con le strutture sanitarie, ospedaliere o di altro genere, perché hanno acquisito una conoscenza che gli permette di poter gestire più opportunamente le loro interazioni mediche al di fuori di Sokos. Inoltre si sentono sicuri perché percepiscono di potersi appoggiare ad un’organizzazione capace di fornire loro una gamma di aiuti diversificata e rispondente alle proprie esigenze.
“Lei mi ha visitato, come fa un dottore, mi ha chiesto tutto e subito mi ha scritto questi fogli su dove devo andare, dove devo fare la tessera, dove devo prenotare questi esami, mi ha dato l’indirizzo di dove dovevo andare…” [M11]
“Io ho visto tanti medici qui. Io mi sono trovata molto bene con quello giovane, con la barba e i capelli neri(...)Sì, lui mi ha aiutato in tante cose. Quando sono andata in ospedale per fare gli esami lui ha scritto bene la lettera e mi hanno fatto subito le visite.” [M9]
“(…) ogni volta vado da un medico diverso e mi sono sempre trovata bene. Sai, io non è che conosco molto bene la medicina e gli ospedali ma mi hanno spiegato sempre tutto e per me questo è molto importante.” [M10]
“C’è un medico a cui dico perché sono qui e lui magari mi fa la richiesta per mandarmi da un altro medico da qualche parte per fare le analisi, però mi spiega tutto, anche le cose più piccole. A me va bene, così sono sicuro di non sbagliare.” [M2]
Possiamo leggere l’arricchimento delle capacità di gestione della propria salute da parte dei migranti dovuto al processo di trasferimento di informazioni sopra descritto, anche servendoci dei concetti di functionings e capabilities sviluppati dall’economista indiano A. K. Sen.308
L’azione dei medici , permettendo ai migranti di essere adeguatamente curati anche all’esterno del circuito medico di Sokos, produce un rinforzo dei loro functionings. La migliore capacità di azione dei soggetti che ne deriva genera un aumento delle capabilities, ossia la capacità che essi hanno di raggiungere determinati obiettivi e quindi di condurre una buona esistenza.
Secondo questa interpretazione l’azione di Sokos si prefigura fortemente incentrata sull’obiettivo di dare al migrante alcuni strumenti che lo mettano in grado di condurre in prima persona e con consapevolezza i propri rapporti medici. Infine essa tende ad accrescere l’autonomia dei soggetti, che smettono quindi di essere unicamente degli utenti passivi del servizio per acquisire un maggiore protagonismo e centralità nella gestione del proprio stato di salute.
Ma la funzione “dell’azione sanitaria indiretta” acquista un significato ulteriore poiché attraverso un’interazione fortemente dialogica, il medico mette in condizioni il migrante di capire, e qualche volta di fare propria, la subcultura medica evitando in tal modo il fenomeno della “dispersione sanitaria”. Questo fenomeno è tutt'altro che marginale. Infatti spesso gli operatori dei servizi sanitari non verificano la comprensione delle informazioni in possesso del migrante, il quale fatica a concepire i contenuti di una cultura medica, specialistica e di per sé difficilmente comprensibile. Questa incomprensione delle logiche mediche e di quelle del sistema sanitario aumenta con il peregrinare da un medico ad un altro o da un servizio ad un altro senza capirne i