L'ESPERIENZA DELLA MALATTIA IN MIGRAZIONE
5.4 Rotture e ricomposizioni nell'interazione medica
Passiamo ora ad esaminare l'insieme di elementi che, con intensità e sfumature diverse, rientrano in quella parte dell'interazione medica che precedentemente abbiamo definito come “negoziazione”. La quasi totalità degli elementi individuati rappresentano altrettante criticità attraverso le quali si dispiega il rapporto tra medico e paziente.
La prima area di criticità è rappresentata dalla comprensione linguistica. Sono soprattutto i medici a denotare le difficoltà nell'interazione verbale con i pazienti.
“A volte, non ti nascondo che fai un po' di fatica, nei giorni in cui sei oberato dal lavoro, a capire bene quali sono i sintomi, come si è presentato il problema di salute, se c'era stato altre volte. C'è da dire che questo è influenzato anche dalla lingua e in questo siamo noi che siamo ignoranti... io stesso con l'inglese me la cavicchio ma potrei fare di più; quindi sarebbe importante che anche noi avessimo più dimestichezza con le lingue straniere. C'è soprattutto un'incomprensione a livello linguistico poi comunque con un linguaggio non verbale forse si arriva a capirsi, eh! O si trova qualcuno in ambulatorio che ti possa fare da interprete. Non ti nascondo che a volte bisogna essere abbastanza precisi e per certi versi questa incomprensione linguistica può essere uno scoglio.” [S4]
“La maggior parte delle persone, o si fa capire, o vengono con l’interprete. La difficoltà più grande ce l’ho con i pakistani. Perché quando parlano tra loro si dicono cento mila parole ma quando ti devono dire il sintomo, ti dicono due cose basta e tu non capisci mai perché questa difficoltà. Però bisogna andare al di là di questo perché altrimenti non capisci, devi insistere. A volte devi essere anche brusco, sennò non arrivi a capire” [S2]
E' evidente che per il medico l'incomprensione linguistica diventa un impedimento alla comprensione dei sintomi sofferti dal paziente e di conseguenza alla diagnosi della sua malattia. Spesso l'incomprensione a livello linguistico è dovuta in primo luogo alla scarsa conoscenza della lingua italiana. Esiste poi anche un problema di natura semantica poiché a volte nella definizione di alcune parti del corpo o di uno stato di malessere non si riscontra una sovrapposizione completa dei significati semantici delle parole nelle varie lingue.316 I medici di Sokos sono consapevoli dell'importanza fondamentale rivestita da una corretta comprensione linguistica e ricorrono quindi anche a forme di comunicazione che impiegano il linguaggio non verbale oppure, quando ve ne è la
316 E' il caso ad esempio della parola “rene” che in lingua somala indica una parte del corpo diversa di quella definita nella lingua italiana. Riguardo ai livelli di incomprensione medico-paziente si veda: Mazzetti M., Livelli di
incomprensione medico-paziente straniero, in Pasini N., Picozzi M. (a cura di), Salute e immigrazione, un modello teorico-pratico per le aziende sanitarie, cit. p. 78
possibilità, si avvalgono della traduzione di un interprete.317 Riteniamo opportuno sottolineare anche che i medici stessi adottano un atteggiamento di apertura nei riguardi dei migranti poiché non pretendono che questi ultimi si esprimano unicamente in lingua italiana ma, in relazione alla conoscenza che loro stessi hanno di altre lingue straniere, permettono al migrante di esprimersi nella lingua di cui ha una migliore padronanza. Lo scoglio dell'incomprensione linguistica deve essere necessariamente superato affinché l'interazione medica possa effettivamente realizzarsi a costo di forzare il migrante ad esprimere nel modo più chiaro possibile i propri sintomi. Il secondo medico intervistato ci informa anche che le difficoltà di incomprensione maggiori si riscontrano in particolare con alcuni gruppi nazionali, nello specifico con i migranti provenienti dal Pakistan. I medici non hanno fornito una loro interpretazione sul perché di tale differenza tra le diverse nazionalità che utilizzano l'ambulatorio. Chi scrive ritiene che questa differenza sia dovuta, almeno in parte dal grado di vicinanza linguistica che le varie lingue dei migranti hanno con quella italiana (Il moldavo o il rumeno ad esempio hanno indubbiamente maggiori affinità grammaticali, specie lessicali, con l'italiano di quante ne abbiano la lingue degli immigrati provenienti dalla penisola indiana). Tuttavia le distanze linguistiche non sono di per sé sufficienti a spiegare differenze di capacità di espressione così marcate. Su di esse influiscono fortemente anche le condizioni di vita e lavoro che ciascun migrante vive nella sua esperienza migratoria alle quali si devono aggiungere i rapporti che egli intrattiene con la sua comunità di appartenenza, il grado di autonomia che gode da essa e le possibilità o la volontà di relazioni sociali con gli autoctoni.318
I migranti che intervistati hanno dato meno risalto nei loro resoconti alla questione dell'incomprensione linguistica con i medici di Sokos.
“Io non parlo italiano molto bene, quindi è un po’ difficile però non ho avuto problemi importanti. Una volta in questo posto ho anche trovato una dottoressa che mi ha detto “Che lingua parli, hai un’altra lingua?” e io ho detto “Francese”. “Allora, parla francese con me”. E’ stato normale, come parlare a mio padre, mia madre, mia sorella. E’ stato meglio per me parlare in francese. La prima volta che sono venuto qui dal dottore ho portato con me un mio amico che sa bene la lingua italiana. Ha fatto da traduttore in segreteria dove ti chiedono “Da dove vieni”. Poi quando sono andato giù (in ambulatorio) ho avuto un problema con la dottoressa nel dirgli che avevo male allo stomaco e alla spalla, allora è venuto con me dalla dottoressa anche il mio amico. Ho detto alla dottoressa “Ho un mio amico per la traduzione” e lei ha detto “Va bene, non c’è problema”. Solo quella volta, adesso faccio da solo.” [M1]
317 E' opportuno precisare come la segreteria di Sokos disponga di una serie di numeri telefonici di persone di fiducia, solitamente essi stessi pazienti dell'ambulatorio, che possono essere contattati per esigenze di traduzione.
318 Per rimanere nel caso sopra descritto, ci riferiamo ad esempio a casi di migranti pakistani, impiegati in lavori presso imprese gestite da connazionali come quelle del commercio al dettaglio nel centro della città di Bologna e che vivono la maggior parte delle proprie relazioni sociali all'interno della propria comunità nazionale.
Questo racconto è emblematico poiché il punto di vista che esprime, quello del paziente straniero che si rapporta al medico di Sokos, è esattamente speculare a quello del personale medico. Al suo interno infatti si ritrovano alcuni elementi comuni. Primo fra tutti la disponibilità dei medici a mettere da parte l'etnocentrismo linguistico, ossia la pretesa che i migranti parlino del loro stato di salute unicamente in lingua italiana. Dal racconto del migrante traspare evidentemente il senso di tranquillità insito nella sua relazione con il medico, poiché egli ha l'opportunità di esprimere i suoi sentimenti, di raccontare la sua malattia e tutto ciò che ad essa è collegato con le parole di una lingua che gli è familiare. In questo modo il paziente straniero percepisce il suo rapporto con il medico come più spostato verso un piano paritario, riscoprendo una sorta di spontaneità e naturalezza dell'interazione verbale, visto che almeno le difficoltà linguistiche non lo costringono a rimarcare continuamente la sua “inadeguatezza” ad esprimersi secondo criteri previsti dalla cornice che definisce l'interazione medica. Inoltre il migrante ci riferisce della sua strategia usata per interagire con l'intera organizzazione medica (che è quella più frequentemente utilizzata anche dagli altri pazienti): l'utilizzo di un traduttore. Servirsi di un conoscente connazionale che possiede abilità linguistiche superiori alle proprie sembra essere una delle chiavi più utilizzate per risolvere i problemi di incomprensione linguistica. La funzione dell'interprete è valutata positivamente sia dal migrante che dal medico che lo ha in cura. L'interprete risparmia ai due attori un grande dispendio di energie, infonde sicurezza al paziente e permette al medico una migliore diagnosi poiché vengono limitati i fraintendimenti causati dalle incomprensioni linguistiche.319 Il ricorso a questa pratica è solitamente limitato nel tempo e cessa quando il migrante acquisisce le abilità linguistiche sufficienti a gestire autonomamente e in maniera soddisfacente l'interazione con il medico.
Se le criticità di tipo linguistico sono rilevate sia dai medici che dai migranti, altre criticità vengono menzionate esclusivamente dal personale medico mentre le stesse non compaiono nei resoconti dei migranti intervistati i quali, nel parlare del loro rapporto con i medici, riferiscono esclusivamente dell'elevato grado di competenza e di professionalità caratterizzanti l'operare medico.
La discrasia di rappresentazioni che si riscontra nei racconti di medici e pazienti è tanto più evidente se si esaminano i loro contenuti, tra loro strettamente connessi: la percezione distorta dei sintomi e la conseguente definizione distorta della malattia, la richiesta eccessiva di cure, l'uso disinvolto dei farmaci e in generale delle cure prescritte.
Per ciascuno dei nodi tematici individuati, riporto qui di seguito i brani delle interviste ai medici di
319 Gli stessi medici non mancano di sottolineare tuttavia quello che sembra essere il deficit principale della presenza di un traduttore nel corso della visita medica: la mancanza di privacy . Essa determina inoltre l'eventuale controllo sulle rappresentazioni della propria malattia fornite dal paziente, le quali si vedono sottoposte ad un doppio controllo: quello del sapere medico e quello delle norme sociali della cultura di origine.
Sokos che ho individuato essere i più efficaci a descriverli.
“Ah, i modi di espressione ti fanno morire. Ti fanno morire perché allora in generale hanno tutti male al cuore, tutti. “Ho male qua” perché chiaramente non sanno identificare l’ansia da un dolore o dalla fibromialgia o da altre cose. Per cui ti dicono “ho male al cuore”. Ecco, stanno già morendo. Hanno già tutti una cardiopatia, sono tutti malati di cuore. Per cui tu riesci già a capire le loro espressioni. Quindi “Ho male al cuore” lo puoi collegare all’ansia, alla paura, alla solitudine, perché dopo ci vai sotto e questo male al cuore non è altro che ansia, solitudine, nostalgia per i figli lontani, cioè si mettono a piangere. Ma veramente sono convinti di essere malati di cuore. Sono convinti.” [S3]
“Molti invece arrivano, specialmente le donne badanti, moldave ecc. , arrivano e ti dicono “io voglio fare una tac al cervello” allora tu chiedi il perché “perché c’ho mal di testa”. Oppure, “io voglio fare una visita qui” cioè arrivano già con un loro modo di….poi approfondisci ed il problema è tutto un altro.(...) Arrivano e ti dicono: “io voglio fare una Tac celebrale” allora tu dici “perché?” Salta fuori che c’è tutto un altro problema. Capito? Forse non si rendono conto nemmeno loro di quello che chiedono. Allora, se riesci a parlarci, bene. Poi con quelli che non riesci a parlarci gli dici le cose di cui hanno veramente bisogno.” [S2]
“(...) E loro sono abituati ad usare il farmaco, anche per questione di costo, al bisogno. Ma in determinate patologie tu non puoi usare il farmaco al bisogno. Ci deve essere una cura continuativa. E questo è un pochino duro farglielo accettare. Per cui c’è quella che lo accetta, dopo un po’ e ok, e quella invece che arriva qua, gli provi la pressione e c’ha la pressione a mille e dice “Ah, ma io l’ho presa due, tre giorni perché avevo mal di testa ero convinta che fosse la pressione alta e dopo non l’ho più preso”. Però non si può. Se il medico ti dà una terapia, tu la devi seguire a vita.(...) Cioè lì gli devi stare molto dietro, io ho riscontrato questo. Gli devi stare molto dietro per fargli capire questo tipo di educazione alla farmacologia.”[S3]
Queste interviste ci danno conto dell'impatto che i migranti hanno con i medici di Sokos il quale è molto burrascoso, rigido e sembra non avere altro modo di procedere se non la via del conflitto tra due definizioni contrapposte di malattia e di cura.
La prima intervista ci parla di una forte differenza tra la malattia così come viene percepita e definita dal paziente ( illness), e la malattia definita dal medico in base ai criteri stabiliti dalla scienza biomedica (disease).320 Il vantaggio di tale distinzione sta nel poter scomporre la
320 Oltre ai termini di illness e disease le antropologie di lingua inglese hanno distinto un ulteriore piano di significato della malattia utilizzando il termine sickness che sta ad indicare il significato sociale dello star male, ossia il ruolo del malato riconosciuto socialmente come tale. Per un approfondimento su questi concetti si guardi: Pizza G.,
dimensione della malattia e di evidenziarne in maniera più chiara la diversa varietà dei piani di significato e di azione sociale a cui rimanda il concetto di malattia. Nel nostro caso è evidente come l'esperienza soggettiva del malessere, il vissuto del disagio così come è percepito dal soggetto sofferente, che si esprime con la definizione “Ho male al cuore”, sia talmente interiorizzato e riempito di senso che i pazienti lo considerano sostanzialmente vero e agiscono di conseguenza richiedendo esami o cure specifiche per risolverlo. Il medico che conosce la malattia secondo la definizione biomedica , la individua e la classifica come un'alterazione dell'organismo etichettandola, secondo la conoscenza stabilita dal sapere medico occidentale, in base ai segni e sintomi interpretati da un punto di vista esterno a quello del sofferente. E' evidente che stante il carattere distinto di illness e disease, esse possono darsi indipendentemente l'una dall'altra (ci si può sentire benissimo nonostante la diagnosi di una malattia, oppure ci si può sentire male in assenza di malattia). Per questo motivo la definizione di malattia del medico diverge nel nostro caso da quella del malato. Tuttavia, tale divergenza di definizione non si costruisce sull'assenza o sulla presenza di fatto della patologia quanto su una profonda differenza nella definizione dei sintomi e nelle spiegazioni del loro significato. Il paziente straniero percepisce un dolore al petto e lo definisce genericamente come un dolore al cuore poiché è incapace, secondo il punto di vista del medico, di dargli una giusta collocazione in base ai criteri stabiliti dal sapere biomedico.
La seconda intervista ci parla invece della richiesta di cure da parte dei migranti che i medici considerano eccessiva. Il personale medico sottolinea infatti che la corrispondenza tra un sintomo come un mal di testa e la richiesta di una tac al cervello sia, dal suo punto di vista, priva di logica e irrazionale. I medici motivano le loro ragioni dimostrando come i sintomi descritti dai pazienti nascondano in realtà tutt'altre problematiche. Le motivazioni che, stando al parere dei medici di Sokos, stanno alla base del fenomeno della richiesta eccessiva di cure e di “esagerazione” dei sintomi si possono rintracciare in tre ordini di motivi tra loro strettamente intrecciati.321 Il primo motivo viene individuato nell'apertura in Italia di possibilità di cura che i migranti si vedono negati nel proprio paese. Ciò li spinge ad avere nei confronti della medicina praticata nel paese di immigrazione, un atteggiamento positivo di adesione così intenso che tende a volte a caricarla addirittura di aspettative salvifiche. La seconda motivazione giudica l'amplificazione dei propri sintomi o la richiesta di esami come un modo per frenare la paura, denunciata sovente dai migranti, di ammalarsi o di morire in un paese straniero e soprattutto in una condizione di invisibilità dovuta alla propria posizione di irregolarità amministrativa. Infine la richiesta di cure eccessive è letta dai medici anche in relazione ai contatti che i migranti intrattengono con il paese di
321 Queste motivazioni mi sono state riferite più volte nel corso di conversazioni informali con i medici e anche nelle interviste che gli stessi medici mi hanno rilasciato. Ho ritenuto opportuno, per motivi di spazio, evitare di riportare i brani delle interviste spiegandone esclusivamente il contenuto.
origine. Sarebbero gli stessi familiari rimasti in patria, infatti,a spingere il migrante a tutelare la propria salute richiedendo al medico determinate tipologie di esami. Questo fatto, in base a quanto detto nel primo capitolo sui significati e le implicazioni della migrazione, non ci dovrebbe più di tanto stupire. Infatti agli ovvi sentimenti di preoccupazione per la salute di un familiare o di un amico lontano, si aggiunge la volontà di salvaguardare l'integrità del progetto migratorio del proprio familiare, con tutto il carico di aspettative e di vantaggi che questo progetto spesso ha per la famiglia di origine.322
La terza intervistata menziona un problema che riteniemo possa essere definito di tipo più propriamente culturale. Il medico evidenzia il profilarsi di una differenza molto marcata in termini di cultura sanitaria di appartenenza, intendendo la cultura sanitaria come “la modalità con cui una società informa i suoi membri del come star bene e del come comportarsi dinnanzi alla malattia”323
La diversità di culture sanitarie tra medico e paziente straniero si percepisce chiaramente nell'uso disinvolto dei farmaci.324 Il modo di utilizzo dei farmaci “al bisogno” anziché secondo le modalità stabilite dalla prescrizione del medico, viene fatto risalire al particolare rapporto tra i migranti e i sistemi sanitari dei loro paesi di origine che forniscono le prestazioni mediche unicamente a pagamento. Se i farmaci e gli interventi medici costano, è chiaro che si forma una logica di utilizzo per la quale il farmaco viene assunto solamente finché vi è il sintomo ed è sospeso non appena questo scompare. Questa logica si scontra con quella strettamente medica che prevede per determinate patologie l'assunzione di farmaci anche in assenza di sintomi, pena l'aggravarsi delle condizioni di salute del paziente. E' proprio questo pericolo che spinge i medici di Sokos a intraprendere con i singoli pazienti che vengono visitati in ambulatorio un percorso di educazione sanitaria, la quale, se assumiamo il punto di vista dei migranti, si declina come la spinta verso l'adattamento da parte della cultura di importazione.
Le ragioni fin qui viste che tentano di spiegare, dal punto di vista medico, l'uso irrazionale della medicina da parte dei migranti sono da ritenersi certamente valide anche se a parere di chi scrive insufficienti a dar conto della complessità che sottende il rapporto tra migrante e medico, specie nei suoi aspetti più conflittuali. La pista interpretativa che intendiamo percorrere quindi è quella proposta da Abdelmalek Sayad il quale sostiene come l'uso della medicina da parte del migrante, etichettato come irrazionale dagli appartenenti alle istituzioni mediche, sia in realtà finalizzato a
322 Di queste tre motivazioni daranno conto gli stessi migranti nella descrizione della loro esperienza di malattia in Italia. Paragrafo 5.3
323 Bianchi S., “La salute errante. Uno sguardo interdisciplinare”, in Pasini N., Picozzi M. (a cura di), Salute e
immigrazione, un modello teorico-pratico per le aziende sanitarie, Milano, Ismu, Franco Angeli, 2005 p. 134
324 L'uso “disinvolto” dei farmaci ci è stato descritto anche da un altro medico. Egli si riferiva alla pratica di passare i propri farmaci a amici e connazionali che presentano sintomi simili ai propri, senza aver avuto un parere medico. Questo fenomeno è stato descritto anche in altri lavori. A Riguardo: Mazzetti M., Strappare le radici. Psicologia e
risolvere una controversia sociale. Questa controversia oppone il migrante non tanto all'istituzione medica in quanto tale ma in quanto espressione dell'intera società di immigrazione.
Per prima cosa dobbiamo riconoscere il valore che il migrante attribuisce al proprio corpo. Esso è uno strumento fondamentale poiché è al contempo l'oggetto della rappresentazione di sé, espressione della malattia e uno strumento di lavoro, indubbiamente il più importante perché l'immigrato esiste anche ai suoi stessi occhi, oltre che a quelli della società di immigrazione, unicamente attraverso il lavoro. In questo contesto la malattia o anche solo il rischio di ammalarsi incidono negativamente non solo sulla salute in sé ma più profondamente sulla stessa identità dell'immigrato, fino addirittura a negarlo in quanto tale. Come scrive Sayad “ poiché l'immigrato