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Il riconoscimento delle nuove repubbliche latinoamericane con la

Sollecitudo Ecclesiarum

È chiaro che la mentalità del voto del 1826 farà intendere meglio la condotta di Capellari nel problema della provvista di vescovi che abbiamo esposto nel terzo capitolo. Però illumina inoltre un altro aspetto del suo «ispanoamericanismo»: il suo comportamento nel riconoscimento ufficiale di quelle repubbliche.

Il 18 settembre 1831 il cardinale Bernetti, primo Segretario di Stato di Gregorio XVI, inviava all’incaricato degli affari del palazzo di Spagna, Ramírez de la Piscina, la celebre costituzione «Sollecitudo Ecclesiarum» del 5

agosto dello stesso anno. Essa conteneva la proclamazione dottrinale, concepita in termini generici, in base alla quale le vicissitudini politiche degli Stati non dovevano impedire alla Santa Sede il rimedio delle necessità spirituali delle anime, in special modo la creazione di nuovi vescovi, anche se per fare ciò avesse dovuto trattare con le autorità di fatto. Che il papa dia a una determinata persona un titolo, questo non legittima il diritto a tale titolo, anche se si tratta di un titolo reale e si dica «ex certa scientia»; né il fatto che il Pontefice riceva i delegati di una parte in litigio, tratti con loro e faccia determinate convenzioni crea un danno ai diritti, privilegi o patronato dell’altra parte. Il Papa lo dichiara così solennemente a nome proprio e dei Sommi Pontefici suoi successori202.

Si può pensare ovviamente che Gregorio XVI pubblicò un tale documento come frutto delle sue esperienze nel tramonto del patronato regio in America, e come preparazione del riconoscimento di quelle repubbliche. Che avesse entrambe le cose presenti nel redigerlo, ci sembra provabilissimo per non dire moralmente certo. L’occasione, tuttavia, di darlo alla luce al principio del suo pontificato si deve cercare nel nuovo impegno che metteva davanti alla Santa Sede il conflitto dinastico del Portogallo. Tanto il governo assolutista di Don Miguel I, come il liberale di María de la Gloria si disputavano quegli stessi mesi a Roma il riconoscimento esclusivo del papa, dando luogo a peripezie tragico-comiche nei saloni stessi del Vaticano e a commenti del mondo

      

diplomatico ancora più mordaci e appassionati dei contrasti nel palazzo di Spagna e i rappresentanti creoli d’Ispanoamerica203.

L’incaricato degli affari di Spagna, Ramírez de la Piscina riconosce rettamente nel suo dispaccio a Madrid del 22 settembre che questa è la causa immediata della nuova bolla, però teme che «così come il governo pontificio ha voluto con questa mostrarsi neutrale tra il Re di Portogallo e quelli che credono di avere diritto a quella corona, così anche si servirà di questa per riconoscere i governi rivoluzionari d’America, protestando che non vuole danneggiare né danneggia i diritti del Re nostro Signore». Per questo pensa di comunicare al segretario di Stato che i casi citati dalla bolla si riferiscono a persone che credevano di avere diritto a un trono, non a coloro che si ribellano al legittimo e unico sovrano, come succede ora nelle colonie del nuovo mondo. Ed effettivamente glielo disse a voce e per iscritto il giorno seguente 23204.

La risposta scritta del cardinale Bernetti è del 25, e dopo considerazione un tantino generiche sui possibili conflitti di sovranità e altre più concrete sull’attuale contesa lusitana si sofferma sulla dissoluzione della Gran Colombia e la tragedia di Bolívar, consumata a Santa Marta nel 1830205. La nota non chiude del tutto la via all’applicazione della bolla per il riconoscimento delle repubbliche latinoamericane: o meglio insinua il contrario. Naturalmente Piscina non smise di sottolinearlo e rafforzarlo nel       

203

 Ivi, fasc. 17. 

204 Ivi, fasc. 18.  205 Ivi, fasc. 20. 

suo officio al ministro Salmón del 29 settembre, aggiungendo che il principio pontificio di non prestare attenzione al diritto ma solo al fatto, era sembrato assurdo a tutto il corpo diplomatico, addirittura allo stesso ambasciatore di Francia. E termina con una sfumatura di amara ironia, alludendo al movimento rivoluzionario dello Stato Pontificio, soffocato pochi mesi prima: «A tutti è sembrato strano che il Papa mostri tanta facilità nel trattare con i governi di fatto in un tempo in cui ha tenuto in quegli stessi suoi stati un governo rivoluzionario di fatto che senza difficoltà avrebbe potuto essere duraturo, se Sua Santità non avesse avuto l’aiuto delle forze straniere per buttarlo a terra»206.

Ma questi lamenti impotenti non facevano più eco a Madrid, dove i diversi ministri che dal 1831 fino alla morte del Re (1833) occuparono la segreteria di Stato (Salmón, Alcudia, Zea Bermúdez), preoccupati dallo spettro minacciatore della guerra civile che si annunciava per la successione della corona, non si degnavano più di rispondere alle osservazioni dei loro rappresentanti a Roma. Labrador, ritornato l’estate del 1833 al suo posto dopo un viaggio per la Spagna e la Francia, si lamentò amaramente di ciò con Zea Bermúdez (30 luglio), finendo per dichiarare una volta di più che nella Curia «ha prevalso l’opinione generale dei cardinali e prelati che, ad eccezione di molti pochi, vogliono che Sua Santità si metta in contatto con le dette repubbliche e desiderano ancora che le riconosca». Anche questo dispaccio

      

rimase senza risposta. Gli intrighi nella camera del Re moribondo avevano dimenticato l’America, e giravano intorno ad Isabella, appoggiata generalmente dai liberali, e di Carlo, seguito dai conservatori. Alla morte di Fernando VII a settembre, lasciava come eredità della sua errata politica un impero perso al di là dell’oceano e la guerra civile nella nazione207.