legittimista di Leone XII
La condotta del cardinale Capellari nel problema del patronato delle Indie, rivela indirettamente il suo giudizio sul valore definitivo della rivoluzione dell’America spagnola. Quel suo impegno nel guardare più ai vantaggi religiosi del futuro americano che alla venerabile «legittimità» del patronato regio, proveniva dalla sua convinzione che il futuro si vincolava al fatto già consumato dell’indipendenza degli antichi viceregni spagnoli. Si aggiunse a questo sicuro apprezzamento politico una maggiore e più affettuosa conoscenza delle cose d’America, prodotta dai suoi rapporti in Italia con figli scelti di quelle terre: l’intimità di vari anni, col gesuita messicano P. Ildefonso Peña, che si dice fu addirittura suo confessore, poté contribuire fortemente a ciò. La cosa certa è che Capellari disse più di una volta a uno degli ufficiali della Propaganda, davanti a certe preghiere che arrivavano dalla Nuova Spagna: «questi messicani sono più cattolici di noi». Per illuminare questa sua affettuosa conoscenza della natura ed evoluzione della rivoluzione creola, ci avvaliamo di un documento fino ad oggi sconosciuto di non poco interesse184.
Pio VII e il cardinale Consalvi favorirono in un primo momento la «legittimità» di Madrid contro la rivoluzione del suo impero al di là dell’oceano. Questo significa il Breve-Enciclica «Etsi Longissimo» del 30 gennaio 1816, nel quale quel pontefice fa l’elogio di Fernando VII ed esorta il clero ispanoamericano alla fedeltà e all’obbedienza al monarca, come gli spagnoli d’Europa. Don Antonio Vargas Laguna, l’ambasciatore che ottenne molto facilmente da Pio VII questo diploma politico-religioso, cercò di strappare, anche se con grande difficoltà, a Leone XII una seconda edizione in tono minore dello stesso, infatti – come speriamo di mostrare presto – non è nient’altro la famosa enciclica «Etsi iam diu» del 24 settembre 1824, della cui autenticità ed integrità si ha disputato fino ai nostri stessi giorni. L’Enciclica è certamente autentica, infatti la sua bozza fu firmata dal papa, il suo originale trasmesso attraverso la segreteria delle Notizie all’ambasciatore Vargas affinché la facesse arrivare al sovrano, e la sua copia autentica inviata dal cardinale della Somaglia al nunzio a Madrid Giustiniani185.
Si comprende la reazione che un simile documento dovette provocare nel 1825 nei governi già del tutto emancipati dell’altro lato del mare. Si fece notare specialmente in Messico, e come effetto di ciò il delegato Vázquez inviò da Bruxelles al cardinale segretario di Stato una declamazione ufficiale contro l’enciclica, datata 29 gennaio 1826186.
185 ASV, AES, America, pos. 22, fasc. 10. 186 ASV, AES, Messico, pos. 10, fasc. 573.
Cominciava dicendo che l’Enciclica aveva «causato il più acerbo dolore nel governo di quella repubblica e nel cuore di tutti i membri che lo compongono, la cui convinzione e sentimenti religiosi credono di vedere feriti nel documento che corre per tutto l’universo sotto il rispettabile nome del supremo pastore della Chiesa». Serve loro, è vero, come sollievo credere che non sia emanato dai sentimenti del Santo Padre, ma dalla calunnia e degli intrighi del gabinetto spagnolo, che ha sorpreso «la buona fede del Padre comune dei fedeli»187.
Il governo messicano spera che la presente relazione farà abbandonare a sua santità lo sbagliato concetto che gli hanno ispirato relazioni tanto inesatte. Perché, nel momento in cui l’Enciclica fu ricevuta in Messico, non era questo, come quella insinua, una nazione in anarchia, ma regolarmente governata, riconosciuta inoltre da varie potenze tanto d’America come d’Europa. L’indipendenza la proclamò con lo stesso diritto con il quale la Spagna allontanò dalla sua terra i francesi questi ultimi anni, non era nemmeno possibile governare bene il Messico da Madrid, né il governo spagnolo curò gli interessi dei messicani, trattandoli come coloni e inviando loro governanti «corrotti e feroci». I messicani, invece, hanno rispettato la Santa Sede in tutte le epoche della sua lotta per la libertà e della sua vita indipendente. Hanno conservato il dogma e rispettato la disciplina ecclesiastica vigente, e questo anche in opposizione a determinate leggi dei parlamenti spagnoli, come quelle
della soppressione degli ordini religiosi ospitali e dell’immunità personale del clero. Ancora di più, il Messico non ha esercitato un solo atto di patronato, nonostante l’esempio contrario delle repubbliche vicine e anche della Spagna stessa nei parlamenti di Bayona. Si è arrivati a queste materie grazie al nostro congresso e al potere esecutivo188.
Alla luce di una critica imparziale, l’emancipazione messicana apparirà come il frutto non di qualche società segreta, ma della giustizia della sua causa, dell’uniformità della sua opinione nazionale e del suo amore verso la Religione che vedevano oltraggiata dal governo costituzionalista di Madrid e dalla condotta delle truppe spedizionarie della Spagna189.
È vero che hanno invaso il Messico libri empi, immorali e indecenti. Però l’invasione cominciò sotto il regime spagnolo e veniva dall’Europa. Se il nuovo governo non ha potuto impedire questo male, nemmeno è stato connivente con esso. Durante l’effimero impero [di Iturbide] si proibirono i libri più nocivi e l’attuale governo si occupa di ciò190.
Il cardinale segretario di Stato potrà apprezzare l’impressione prodotta dall’Enciclica in Messico leggendo i numerosi scritti pubblicati in questa occasione dai vescovi, le giunte, le comunità religiose e le persone illustri e questo senza eccitazione del governo. In questo concetto si riassume: che la repubblica «vuole essere cattolica, apostolica, romana, però senza smettere di essere libera; che ama la sua religione ma senza abbandonare il sistema di
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Ivi, pos. 12.
189 Ivi, pos. 13. 190 Ivi, pos. 14.
repubblica che ha adottato, perché sa che questa non si oppone in niente a quella e che l’ammirabile istituzione della Chiesa di Gesù Cristo si trova molto bene con tutte le forme di governo, e forse meglio con la repubblica nella quel le virtù sono il principale elemento della sua esistenza e prosperità»191.
Il delegato termina il suo vibrante allegato, confidando nel fatto che il Santo Padre abbandonerà mediante le sue relazioni le altre negatività che hanno potuto ispirargli la maldicenza e l’interesse, e si degnerà di dare a quella numerosa porzione del suo gregge «un testimone della sua benevolenza», che possa servire di base alle negoziazioni ci cui Vázquez è incaricato192.
Questa è l’interessante apologia dell’inviato messicano nella quale, oltre alla convinzione leale e sincera dell’autore, s’impone un cumulo di fatti certi. Non sono tutta la verità della rivoluzione messicana, infatti in essa pullulavano anche germi antiromani e anticattolici che si manifestarono vigorosi questo stesso anno del 1826, però era certamente una parte sostanziale del movimento emancipatore.
Per Leone XII e il cardinale della Somaglia non era facile la risposta. Gli inconvenienti dell’Enciclica del 1824 li aveva già previsti il papa prima di firmarla, e per questo si oppose largamente a mettere in essa la clausola politica. Però alla fine cedette alla pressione dell’ambasciatore spagnolo, snaturando con questa acquiescenza gli effetti dell’esortazione che il papa
191 Ivi, pos. 15. 192 Ivi, pos. 16.
rivolgeva in questa – e ciò con una vera convinzione – contro le società segrete e la stampa empia, cresciute nel nuovo mondo sotto la protezione della rivoluzione. Questa debolezza all’improvviso tormentò tutta la vita del papa della Genga, che già nel 1825 prese varie misure per contrastare i possibili cattivi effetti dell’enciclica. Così per esempio scrisse il 29 giugno di quell’anno al generale Victoria, presidente del Messico, un’epistola paternale, nella quale smentiva implicitamente l’Enciclica, quindi sosteneva che non toccava al papa mescolarsi in fatti che non appartenevano al regime della Chiesa. La protesta di Vázquez sembrava mostrare che la lettera non aveva sortito effetto, circostanza tanto più dolorosa per il pontefice tanto più che il cardinale della Somaglia, il suo segretario, si era opposto fortemente alla spedizione di quel Breve, come mostreremo in un’altra opera193. Leone XII in questa perplessità si recò dal cardinale Capellari, chiedendogli confidenzialmente attraverso il segretario di Stato (7 aprile 1826) di esporre in una sentenza quale risposta conveniva dare all’agente messicano194.