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La prima relazione di Capellari sull’America Latina

L’8 gennaio 1825, il Segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, mons. Sala chiese a mons. Capellari il primo voto sulla provvista delle sedi vacanti nella nuova Repubblica della Gran Colombia. Nello stesso mese il futuro Gregorio XVI dominò molto bene il copioso materiale che su quel problema per lui sconosciuto gli presentò mons. Sala e stilò con polso sicuro un lungo e luminoso rapporto.

Comincia stabilendo che le richieste del vescovo di Mérida mons. Lasso de la Vega e del governo di Colombia per la rapida provvista delle sedi vacanti della nuova repubblica non nascono unicamente dallo zelo religioso, ma perseguono l’evidente fine politico di entrare in rapporti con la Santa Sede e di essere, per lo meno indirettamente, riconosciuta da questa. Dello stesso modo sorge il pericolo nel papa di scontrarsi con la Spagna e con le altre potenze che non riconoscono in nessun modo quella repubblica nata dalla rivoluzione131.

La soluzione in questo tanto spinoso problema deve essere ciò che fu proclamato da Pio VII nella sua lettera al vescovo di Mérida del 7 settembre

      

1822: prestare attenzione alla protezione spirituale delle anime senza mescolarsi con il terreno politico. Una cosa tanto più necessaria – aggiunge opportunamente il consulente – quanto il fatto che se l’enciclica legittimista del 24 settembre passato riuscisse ad essere conosciuta in Colombia, potrebbe far credere che il Santo Padre si è inclinato politicamente a favore del Re di Spagna132.

Quanto al modo concreto di attuare un piano tanto prudente, Capellari non crede che convenga incaricare il mons. Muzi – che lui e tutta la congregazione credevano ancora in Cile – della sistemazione della questione colombiana, sia per la distanza da Bogotá al Cile, sia per la guerra che ancora insanguina le regioni intermedie del Perú133.

Rimane da risolvere, quindi, la questione, nella stessa Roma. Come? Capellari mostra ancora estrema cautela. Sorvola sulle urgenti suppliche di creare vescovi a vita nelle undici diocesi vacanti della repubblica e insiste unicamente sulla prima richiesta che aveva fatto nel 1823 il vescovo di Mérida, cioè che il santo padre gli nominasse un vescovo ausiliario, il quale potesse anche rimediare alle necessità delle diocesi vicine e vacanti. Il consigliere asseconda il parere precedente di mons. Rafael Mazio, che era stato il braccio destro di Consalvi per la questione ispanoamericana, aprendo così un ponte verso la politica di questo grande cardinale, raccomanda che si acconsenta alla richiesta. Si realizzava anche qui la circostanza favorevole che       

132 Ivi, pp. 67.  133 Ivi, p. 68. 

ricordiamo nei vicari apostolici: nemmeno i vescovi ausiliari erano compresi nei diritti di presentazione del patronato134.

La flessibile perspicacia del cardinale Consalvi trovò, senza dubbio, nel 1823 una soluzione elegante. Il patronato si era sempre riferito ai vescovi residenziali e non ai vescovi apostolici di carattere episcopale ai quali la Santa Sede, per ragioni circostanziali varie, era solita affidare il governo di determinate diocesi, anche se erano di patronato. Così, si sarebbe inviato nelle nuove repubbliche un rappresentante della Santa Sede sprovvisto di carattere diplomatico, mons. Giovanni Muzi, il quale, per un singolarissimo privilegio concesso sotto la pressione delle circostanze e a causa della lontananza immensa di quelle terre, avrebbe potuto scegliere motu proprio due vicari apostolici in Cile, consacrarli vescovi senza un nuovo parere della Santa Sede e affidare loro a nome del papa il governo delle loro diocesi. Che si trattava di una norma generale che si poteva stendere alle repubbliche sorelle lo mostrano le istruzioni segrete date a Mons. Muzi per l’Argentina, e la sua estensione alla Gran Colombia135.

Il progetto sembrava eccellente. In esso si prestava attenzione da una parte alla necessità spirituale di quelle chiese, e dall’altra non si sarebbero potute ferire nella loro suscettibilità politica né le repubbliche né le Corone europee. Non queste, per riguardo nei loro confronti non si nominavano vescovi

      

134 Ivi, p. 70‐73. 

perenni; né alle altre, perché anche chiese tanto venerabili come quella di Londra erano rette da un vicario apostolico, mons. Poyntner136.

Di fatto, mons. Muzi poté arrivare il Cile e il suo governo accettò all’inizio la soluzione dei vicari apostolici. Se nel 1824 la negoziazione fallì, si dovette non solo alla questione dei candidati alla carica, ma anche – secondo il cardinale della Somaglia – al poco tatto cel primo rappresentante pontificio in America. La soluzione consalviana dei vicari apostolici attecchì nella curia, e ancora nel 1831 vedremo mons. Capaccini (uno dei principali cooperatori del cardinale Consalvi nel problema americano) lamentarsi in maniera patetica del fatto che nel 1827 lo si avesse abbandonato, passando alla nomina di vescovi residenziali proprio motu per la Gran Colombia137.

La congregazione per gli affari straordinari celebrò la sua sessione il 2 marzo 1825, accettando i punti essenziali del suo consigliere, in special modo quello della nomina di un vescovo ausiliario per mons. Lasso de la Vega. È vero che il papa non volle farlo senza il previo parere del nunzio a Madrid mons. Giustiniani, e così si ritardò notevolmente l’esecuzione di quella misura; però il voto di Capellari fu tanto apprezzato da Leone XII e dai porporati della congregazione che da allora gli incaricarono di occuparsi delle sentenze più delicate sulla questione ispanoamericana138.

      

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 Ivi, pos. 2. 

137 Ivi, pos. 3.  138 Ivi, pos. 4. 

2. Il parere favorevole di Capellari ai vescovi residenziali colombiani