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Il segno dei nomi dell’essere nell’esperienza del finito

1. Verità e libertà nella testimonianza

La verità come testimonianza si mostra nel modo della libertà, e dice la verità al modo di un discorso semantikos. Poiché si dà solo all’interno della libertà, essa mostra, anche, la verità della libertà. E come verità di libertà, la verità di testimonianza va pensata come esperienza dell’uomo che tiene insieme i due nomi della verità e del bene; che tiene insieme i due ambiti cioè del logos e del pratico, del conoscere e del volere, mostrando come unico sia il significato originario, e mostrando come il vero nome dell’essere sia ancora riconoscibile dietro alla contraddizione della volontà dell’uomo che non vuole sempre, non sempre è capace di volere secondo verità.

La difficoltà di capire la verità in relazione alla libertà, sta innanzitutto nel fatto che tale verità chiede di essere detta al modo dell’essere fatta: chiede, cioè, di essere significata con tutta la vita, e non solo nel modo della verità-conoscenza. E poiché la vita, il vivere, a differenza della conoscenza (della vita intenzionale) è esperienza che si manifesta come tempo e come spazio (come corpo), la dimensione conveniente alla verità semantica testimoniata dalla vita è profondamente anch’essa radicata nel tempo e nello spazio. La dimensione temporale della verità del testimoniare è il presente nella forma dell’ora, nel senso dell’oggi.

È infatti difficile dire veramente, cioè fare nel senso di testimoniare, la verità ‘al domani’. É possibile forse a livello di progetto, ma il progetto è appunto ciò che nasce in un dato momento e che nasce intero, che vive anch’esso dunque della dimensione del presente.1 C’è una dimensione

1 Il tempo della verità per Agostino è l’imperativo: il presente, nella metafora del pane quotidiano, si dà precisamente in

questa forma, lo percepiamo come un abitare, ovvero come un’appartenenza che investe l’uomo nella sua esistenza e non solamente nella sua capacità di vedere, di capire, di pensare. La scelta che l’uomo fa nei confronti di se stesso va concepita come abitazione di una verità che non è solamente intravista e sperata, ma anche intrapresa, percorsa, proprio come si percorre una strada. Il presente è il tempo della decisione, è l’istante in cui ci si mette in marcia; è l’insieme di

dell’oggi (e del qui: una dimensione del singolare-concreto) della verità, oltre la quale essa non può più essere tale, ma diventa violenza e dominio. E, infatti, la testimonianza è forte, può ciò che essa è (testimoniare la verità, manifestarla) per il fatto che fa significato nella figura del testimone come responsabile delle azioni e della verità che in esse prende forma. Legata al tempo e allo spazio, la verità-testimonianza si mostra come storia, anche se ultimamente è sempre testimonianza di un

nome, cioè della verità che sta fuori alla storia, che sta come un significato, il significato dell’essere.

Dire che il tempo della verità come testimonianza è nella forma del presente, significa anche affermare che la vita profonda della verità si apre a partire dall’esperienza del corpo, poiché esso individua un altro modo di indicare la presenza, quella che si dà nello spazio. Il presente, infatti, è anche il modo di essere corpo, cioè è tempo di presenza come esperienza di singolarità. Il significato di ‘oggi’ può essere compreso solo in relazione a qualcuno per cui esso è tale. Esso apre un tempo soggettivo, non oggettivo. Rispetto a questa vita della verità che necessita del tempo come presenza al ‘quotidiano’, la verità del discorso apofantico (che si esprime nella forma del giudizio) non ha bisogno di corpi o di presenti. Essa si dà nel modo per cui è pensata, e può essere rappresentata, cioè riformulata.2

tutti gli istanti della vita dell’uomo che si vive nella sua esperienza di uomo in cammino. Presente è incamminamento, decisione e volontà della scelta del cammino. Il presente è nell’atto di volontà che si rinnova, che si ri-sceglie, e in cui si dà a vedere il mistero della nascita. Perciò la volontà è il tempo del presente. Nel libro ottavo delle Confessiones si trovano le pagine più significative intorno alla dimensione di presente dentro alla quale si mostra, per Agostino, il vero significato del verbo della volontà. «Io ormai ho smesso con quelle nostre ambizioni. Ho deciso di servire ciò, e questo da quest’ora. Comincerò in questo luogo» (8.15). In questo luogo e da quest’ora, dice Agostino: è il tempo del presente quello in cui la volontà rinasce e sfugge al tempo ciclico che non le permette di viversi pienamente secondo la sua potenza creatrice. La volontà è attenzione, è movimento verso un oggetto, e questo movimento è già, anche prima di arrivare alla meta, verità. La possibilità di cominciare subito è propria dunque della verità della volontà, facoltà di ricominciare in qualsiasi punto e di inaugurare un tempo nuovo. La nuova quotidianità si apre con una nuova volontà: « E là non si andava con navi o carrozze o passi […] L’andare, non solo, ma pure l’arrivare colà non era altro che il volere di andare, però un volere rigoroso e totale» (8.19); «[…] Non facevo il gesto che mi attraeva d’un desiderio incomparabilmente più vivo, e che all’istante, appena voluto, avrei potuto, perché all’istante, appena voluto, l’avrei certo voluto. Lì possibilità e volontà si equivalevano, il solo volere era già fare» (8.20); «Per quanto tempo il “domani e il domani?” Perché non subito? Perché non in quest’ora la fine della mia vergogna?» (12.28). Agostino mostra, attraverso il racconto della sua esperienza, che l’uomo ha sete di presente. L’uomo anela a questo stato di pienezza, poiché è in questo stato che egli può avvertire e percepire, vivere l’essere: questo, infatti, non si dona all’esistenza (che è appunto ex-sistere, successione temporale) se non nell’esperienza della presenza dell’uomo a sé e al mondo, ovvero nella sua coscienza, a tal punto che potremmo anche dire che l’esperienza della presenza, è esperienza dell’ eternità. E la vera presenza non si dà se non abitando nella verità, poiché l’essere nella sua eternità è anche verità. Il tempo presente è dunque il tempo dell’eternità e della verità concessa all’uomo. Un presente che deve però essere vissuto come scelta quotidiana e quindi rinnovato. Il pane quotidiano è il simbolo di questa dimensione del tempo come presente, è la possibilità di vivere il dono dell’uomo a se stesso e dell’uomo per altri. Perciò il tempo verbale che si addice a questa possibilità è l’imperativo: «Non sapevo cosa rispondere a queste tue parole: “Levati, tu che dormi,

risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà” […] Non sapevo affatto cosa rispondere, se non, al più, qualche frase lenta e

sonnolenta: “Fra breve”, “ecco, fra breve”, “attendi un pochino”» (8.12).

2 Accanto alla verità che si mostra nella forma di proposizione, annoveriamo anche la verità degli enti matematici. Così,

la verità del cerchio si dà, ad esempio, solamente al modo dell’astrazione, essendo ogni cerchio esistente, lineare o solido, imperfetto e limitato sia perché temporalizzato -un cerchio deve essere disegnato, costruito, dispiegato nel tempo-, sia perché spazializzato –nello spessore della materia, che ne impedisce la perfezione.

La verità, invece, dell’uomo in quanto libertà, la verità dunque della e nella libertà, è riconoscibile solo nel tempo e nello spazio del vivere (ossia del modo in cui l’uomo fa esperienza dell’essere), che è tempo e spazio della storia. Anche di quella storia che è il progetto, cioè una volontà presente ma orientata. Per questa sua natura, il progetto è a metà tra l’essere già (una data cosa, una dato essere, un dato significato) e il conoscere. A differenza delle verità che possono essere manifestate pienamente come un contenuto del pensare, cioè adeguazione del pensiero alla cosa (la verità del cerchio, ad esempio) quella del progetto è verità legata al tempo nel senso ch’essa non si dà fuori dal tempo, perché di essa si deve affermare che nasce.

L’universo della vita, il mondo del corpo e della materia, della terra, più semplicemente (abbiamo parlato in termini di ontologia della terra per riferirci all’ontologia del finito) è per definizione il modo del tempo e dello spazio. Anche la verità, perciò, vivendo sulla terra, vive di questi due modi. Ma la verità non è solo quella che vive sulla terra, non è solo per e nella forma del mondo, altrimenti non sarebbe più verità, perché essa è anche un significato che permane, fuori dal tempo e dallo spazio, oltre la storia, e che apre la storia. Verità è ciò che non è terra, che non ha i limiti della terra, ma che è per essa, e sulla terra va cercata e riconosciuta. Va riconosciuta come significato ultimo del nome dell’essere, ma nelle cose in cui l’essere, nell’esperienza della terra, si manifesta.

La verità che vive come esperienza della terra, ha sempre commercio con il modo del tempo e dello spazio (del presente e del corpo, del singolare-concerto). E questa osservazione è valida per certi aspetti anche in riferimento al modo di essere delle verità matematiche e della logica, perché ogni definizione e assioma è anche scandito nel tempo (tempo delle lettere, differenza delle parole, successione e distinzione dei concetti), in modo che è in parte vero che ogni concetto richiede una minima dose di spazio-segno (nella parola interiore), anche se questo fatto deve essere considerato solo come la conseguenza necessaria che la facoltà del pensare, essendo esperienza al singolare, necessita di essere situata e di avere perciò una minima forma di materialità. Con ciò non si vuole contraddire quanto detto sopra, ovvero che la verità di tipo matematico dischiude più fedelmente il significato di permanenza come modo di stare del significato dell’essere. E infatti essa permette una libertà maggiore nei confronti del tempo: si può, come dire, andare e venire all’interno della verità matematica, percorrerla come se non ci fosse nella genesi del suo significato differenza alcuna, come se la fine fosse uguale all’inizio, e la figura compiuta fosse già nel principio. Come se la sua verità fosse quella semplice di un nome. Come nel suo nome il cerchio.

La verità (della libertà) invece, è ciò che ha bisogno della categoria del tempo, e del tempo al presente, per essere quello che essenzialmente è, cioè verità di significato. La verità come testimonianza ha bisogno dell’oggi nel senso che ha bisogno di rinnovarsi come tanti presenti, come presente rinnovato, perché essa non può essere detta secondo il suo significato, se è detta al modo di una proposizione verbale e in quel modo necessitante e fuori dal tempo che è il principio di non contraddizione. La verità della vita è anche infatti verità di volontà e di libertà, perciò non può essere necessitante nel senso in cui è lo è il modo della proposizione nella forma del giudizio.

Dalla parte del volere (del vivere) la verità si mostra secondo il tempo e il momento del particolare, che è il tempo della scelta, quello cioè della testimonianza. Come osserva Agostino, non si può fare la verità in modo ch’essa sia fatta una volta per tutte. La relazione dell’uomo alla verità è una relazione che rimane aperta per tutto il tempo della sua vita, ed è relazione che si svolge come presente rinnovato perché, se la semantica dell’agire e del vivere può essere interpretata (può cioè essere rappresentata e diventare rappresentativa, cioè diventare contenuto di pensiero) tuttavia l’azione e la scelta singolare e concreta si manifesta nel tempo e non riassume il significato della verità una volta per tutte. Non è possibile, detto ancora altrimenti, volere alla forma di futuro: la testimonianza, nonostante si estenda nell’arco di una vita, nonostante cioè duri tutta la vita, si fa nella successione degli ‘oggi’; essa non può fare la verità come se la dicesse attraverso un giudizio vero.

Il testimone è infatti legato al tempo e al luogo nel senso che è appunto colui che si trova in un dato luogo in un determinato momento. E per questo può testimoniare, perché ha visto con i suoi occhi, e la sua conoscenza è nella forma dell’essere presente. Così anche il testimone che ci si scambia durante le gare sportive, mostra questo carattere di insostituibilità e di presenza. Il testimone è in questo caso l’oggetto che è significativo, portatore di significato e di valore per il fatto di essere ciò che non è sostituibile, che non è ripetibile. Il testimone è garanzia di verità perché mostra il tempo della verità, ne mostra la storia. (Pensiamo al simbolo che rappresenta la fiaccola delle olimpiadi: essa testimonia il percorso fatto, i luoghi attraversati, i significati del viaggio). Il testimone mostra la verità come storia, e cioè come tempo del concreto e particolare, del nome proprio, dell’azione singolare, o del progetto.

(L’uomo può dire la verità solo nel modo della testimonianza rinnovata, e non al modo del cerchio, che nel suo nome dice la verità di tutti i possibili cerchi. Non può cioè fare la verità nel modo del pensarla, perché il suo compito è di trovarla al modo del discorso semantico che è la vita).

2. Credere alla verità, credere nella verità

Il tema della testimonianza introduce quello del credere, centrale anch’esso, insieme agli altri che sono stati oggetto della nostra riflessione, nella riflessione di Agostino. Ciò che fa la differenza essenziale tra la verità e fede, è il modo in cui ci si relaziona ai loro oggetti o contenuti. La verità permette di rapportarsi nella forma del capire, mentre un contenuto di fede chiede di essere creduto. Agostino articola questi due aspetti, tenendoli intrecciati, parlando di una fede mossa verso il capire, come si legge nella celebre espressione agostiniana del ‘crede ut intelligas’. Il tema della testimonianza mostra che fede e verità solo apparentemente devono rimanere i termini di riferimento di due atti contrapposti, rispettivamente quello di credere e quello di capire. Mostra ch’essi possono cioè interagire e integrarsi, se non altro per questo primo motivo, molto semplice, che la frase ‘credere alla verità’ non è una proposizione che non significa nulla.

Nel linguaggio spesso si domanda di essere creduti (‘credimi!’), volendo significare con ciò di essere creduti in merito ad un determinato contenuto di verità. ‘Credimi!’, significa sì credi a me, come mostra la funzione grammaticale della particella pronominale ‘mi’, ma analiticamente significa credi a quanto ti ho detto, alla mia versione dei fatti, credi, cioè, che la cosa che ti ho detto è vera. Credere a qualcuno, dunque, non significa necessariamente che il contenuto a cui si crede sia dell’ordine della fede, delle cose cioè che non si possono dimostrare con la ragione: la verità di una situazione non saputa non è una cosa che di per sé non può essere capita di modo che si possa dire è vera. Semplicemente, come si diceva, la verità è tale che non si mostra a colui che non era presente e che deve allora credere alla verità della cosa, alla profonda e rigorosa verità della cosa sulla base di un movimento di fiducia nei confronti della persona da cui la cosa è appunto riferita come vera. L’esperienza linguistica, ma anche poi l’esperienza con cui ci rapportiamo a tutti i contenuti di sapere riferiti, ci mostra dunque che si può credere relativamente ad una cosa vera, e che in altre circostanze si lascerebbe facilmente capire, vedere secondo la sua verità.3

3 Non ci occupiamo qui del problema se la forma attraverso cui crediamo alla verità di un contenuto che non sappiamo,

sia appunto la forma del credere (credo di sapere) o del sapere (so di credere). Questo è un problema che ha a che fare con il tema della certezza, di cui noi ci siamo occupati solo in riferimento al modo in cui ne parla Agostino (cfr. infra, cap. IV, parte II).

C’è un altro senso per cui l’espressione credere alla verità è però significativa. Credere alla verità nel senso cioè di credere nella verità, credere alla possibilità rappresentata dalla verità, avere fede nella verità come modo della relazione e cioè come il significato dell’essere che sta ad orizzonte di ogni possibilità di significato. Nel senso, ancora, per cui l’espressione dell’esempio di sopra, ‘credimi’, deve essere ora intesa nella seguente: credi in me, abbi fiducia. In questo caso, infatti, non si tratta di credere nella forma dell’assenso dato ad uno stato di cose (credo che questo che dici tu sia vero), ma si tratta di credere a qualcuno, e cioè, a nessuna frase in particolare, già detta, ma a tutte quelle ch’egli andrà formulando. In questo senso, con l’espressione ‘credere nella verità’ non si vuole significare credere a ciò che non sappiamo ma che si può dimostrare con la ragione. Credere nella verità significa che anche il significato di verità come uno dei nomi dell’essere vive come contenuto di fede. E significa fare affidamento alla verità come tale che in qualche modo rimanga riconoscibile anche nel modo dell’incomprensione. Credere nella verità è quel modo di vivere pienamente l’offerta della libertà a cui l’uomo è chiamato, nella fede che libertà sia da sempre anch’essa in relazione con verità, ne sia la sua più profonda espressione, di modo tale che il gesto libero del libero desiderare possa via via dispiegarsi nella direzione di un cammino di riconoscimento di sé come verità. L’espressione ‘credere nella verità necessariamente transita, si semantizza attraverso il concetto di libertà: non si tratta infatti di sapere la verità, ma di credere alla verità come a ciò che fonda ogni altra possibilità, e la possibilità della vita stessa. Il senso della ricerca agostiniana si spiega proprio come tentativo di dimostrare l’impossibilità di non credere alla verità, dato ch’essa si impone come esperienza della coscienza e come forma logica che consente il dispiegarsi di qualsiasi contenuto proposizionale.

Per riprendere Agostino, allora, credere nella verità significa credere ad essa come ciò che assicura sia la verità della nostra esperienza pensante indipendentemente dalla possibilità o meno di accedere ad altri contenuti di verità, sia la verità del modo in cui si articolano nel linguaggio le disgiuntive relative alle risposte ultime (il mondo o è finito o è infinito. Il mondo o è uno solo o sono molteplici, ecc…), come mostra nel Contra Academicos.4 Significa sapere che c’è un significato dell’essere che chiama ad essere interpretato, e che questo chiamare è il senso ultimo della vita dell’uomo, poiché egli è modo di essere disposto in relazione alla verità.

Credere nella verità significa affacciarsi ad ogni situazione o evento nella fede di poter leggere tale evento in relazione al resto che lo circonda, in modo tale ch’esso non rimanga isolato nella propria opacità e assurdità, ma che faccia riferimento ad un ordine di senso più ampio, in relazione al quale solamente l’essere si dispiega secondo la sua verità.

3. Tempo e verità: il segno e il significato

Come si è cercato di dire nelle pagine precedenti, la verità è fatta al presente. È detta, cioè, in modo che bisogna sempre ridirla, dentro a quella dimensione di tempo soggettivo che si dà come oggi. Come significato di oggi, il tempo presente si mostra nel suo essere relazione. La dimensione dell’oggi, infatti, infatti, connota il tempo in relazione al domani, è il tempo che, facendosi subito, facendosi vicino, rimane anche in tensione con l’ancora a venire. Ciò significa che il nome di verità, che si dice al modo singolare concreto come data scelta, dato pensiero, data parola, data azione, vive però in un modo infinito, in un modo che non sia mai detta e fatta una volta per tutte. Diciamo così: l’uomo non dice la verità in modo che sia detta una volta per tutte, ma egli deve farla, e tuttavia non può nemmeno farla in modo ch’essa sia fatta una volta per tutte, né in relazione a sè in