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Il tema della parola nel pensiero di Agostino.

La prospettiva agostiniana

1. Il tema della parola nel pensiero di Agostino.

In questa seconda parte percorriamo i nuclei del pensiero di Agostino in cui sono sviluppati i problemi che abbiamo cercato di esporre da un punto di vista teorico. Come già accennato, il tema della parola e del significato sono centrali nell’opera dell’autore. E lo sono in quel modo peculiare per cui la parola è essenzialmente intesa come verbum, pensiero che ha valore di verità: la filosofia di Agostino muove dall’amore della parola come luogo di svelamento del bene e della verità. Egli si pone come un rappresentante esemplare (nel modo in cui svolge il tema del nome e del linguaggio) di quella separazione di anima e corpo, di significato e segno, di pensiero e linguaggio, che caratterizza la storia della filosofia occidentale nell’alveo della tradizione inaugurata da Platone. Per Agostino, infatti, il significato (l’essere, il pensiero) si situa nell’ordine dell’interiorità della coscienza, di un’interiorità raccolta e atemporale, incorporea, espressione pura prima di ogni accessibile senza l’ausilio di un segno. Il significato, dunque, appartiene all’ordine del dialogo dell’anima con se stessa, ed è il luogo della manifestazione più autentica dell’essere. Il pensiero è non solo di un ordine altro rispetto al mondo temporale e sensibile, ma è propriamente il luogo in cui la verità si costituisce: il significato come pensiero è la luce in cui si accende la verità dell’essere. Dopo e fuori questo momento di pienezza ontologica, che si esprime oltre ogni lingua storicamente parlata, non rimane che la caduta e la pesantezza del segno, la sua opacità, la sua distanza dall’essere. Il segno è l’essere che è distanza e che perciò è diminuito, fraintendibile e confuso. In questo senso Agostino deve essere considerato il maggior rappresentante di una filosofia che, separando segno e significato, riferisce solo al secondo la possibilità per l’essere di manifestarsi, di essere cioè significativo.1 E il significato, per Agostino, è essenzialmente un nome, ma non nel senso di nome-linguaggio, cioè suono. Il significato è un nome secondo il senso di

1 Come vedremo, in effetti, Tommaso d’Aquino, che pur si inserisce nella prospettiva che distingue il segno dal

significato (ovvero il linguaggio dall’essere che il linguaggio dice), non presenta il segno come una realtà diminuita rispetto al pensiero; cfr. infra, cap. IV, § 4.

verbum, ragione. Secondo il senso, cioè, per cui il significato è il darsi della cosa nella sua identità,

il darsi della cosa in una semplicità finale tale che sia espressa e detta in un nome.

Quando nel De Magistro Agostino si interroga sul modo di conoscere le cose, dicendo che i segni non possono insegnare niente, si tratta di un autentico problema di nomi: Agostino infatti afferma che i nomi-linguaggio non possono insegnare i nomi-logos, ovvero il significato delle cose, la verità dell’essere. Il significato dunque non può che essere trasmesso secondo il modo del pensiero che Agostino attribuisce alla luce della verità interiore come a un nucleo interiore e intimo in cui il senso si fa e si raccoglie, universale e vero, e perciò anche eterno. E nel De Trinitate Agostino medita il mistero proprio di un pensiero che si esprime senza smettere di essere pensiero, senza cioè diventare altro dalla perfezione di significato che rappresenta. Medita la potenza di un

verbum che si mostra e vive -senza diventare linguaggio- della ricchezza del significato nella

semplicità del nome, cioè nella semplicità di quel modo in cui l’essere si manifesta senza alienarsi come segno, ed esteriorità. Per un certo verso, dunque, la riflessione agostiniana sul verbo autorizza che la si interroghi alla luce del problema della relazione tra segno e pensiero, tra linguaggio ed essere, alla luce cioè di un discorso di tipo ontologico. Ed anche, trattandosi di una riflessione sulla parola, non sarà inopportuno discutere in termini anche di semiotica le soluzioni presentate dall’autore in merito alla relazione tra segno e significato.

Il tema del verbo chiede di articolare le relazioni che sussistono, nel vocabolario agostiniano, tra gli aspetti del conoscere e quelli del sapere e del pensare. È proprio a partire da questa complessità di piani che Agostino tenta di dire la differenza tra l’uomo e l’essere perfetto, ossia tra l’immagine e ciò di cui l’uomo è immagine. Dio, infatti, è definito come l’essere in cui questi tre nomi (il conoscere, il pensare, il sapere) coincidono, non si danno cioè in potenza. L’uomo, invece, in quanto creatura, si definisce nei termini di una non coincidenza tra questi aspetti. La riflessione su questa differenza incrocia così quelle che sono state abbozzate nella prima parte di questo lavoro, nella misura in cui l’ontologia del finito è stata descritta nei termini di una separazione di quei nomi che nell’essere primo si ritrovano uniti e in relazione. Se Dio, come afferma Agostino, è coincidenza di essere, conoscere e bene, l’uomo è invece esistenza in cui il significato dell’essere in quanto bene deve essere voluto, e perciò il suo essere non corrisponde con l’esclusiva relazione alla verità. In termini teologici quanto detto richiede di fare riferimento alla teoria trinitaria di Dio, ovvero alla categoria della relazione e al tema fondamentale e complesso

delle processioni.2 Il Verbo, cioè il Figlio, è generato dal Padre, e nel Figlio il Padre si conosce perfettamente essendo il Verbo è il pensiero di Dio in atto. In Dio non c’è scarto, come invece nell’uomo, tra ciò che conosce e il suo pensiero in atto: il suo pensiero, il suo Verbo è vivo, non di un ordine diverso dalla vita come invece è sperimentato l’uomo, per il quale, utilizzando le parole di Lonergan «I nostri intelletti non sono la nostra sostanza, i nostri atti di capire non sono la nostra esistenza; e così le nostre definizioni ed affermazioni non sono l’essenza e l’esistenza dei nostri figli. Le nostre parole interiori sono solo pensieri, l’esse intenzionale di ciò che definiamo ed affermiamo, l’intentio intellecta e non la res intellecta. Ma in Dio l’intelletto è la sostanza e l’atto di capire è l’atto di esistenza».3

Il problema del verbo in Agostino non si esaurisce qui, si potrebbe rintracciare in moltissimi aspetti della sua filosofia il tema del verbo. E questo si spiega col fatto che verbo ha nel vocabolario di Agostino molteplici significati. Verbo è infatti la parola attraverso la quale l’uomo si manifesta a sé e agli altri uomini; è il pensiero, ovvero la parola del cuore, la trasparenza del significato, il poter accedere alla cosa stessa. Come pensiero vero è partecipazione all’essere e garanzia di comunione con la verità. Ma il verbo apre anche alla sfera del volere nel suo declinarsi come consilium, perchè non è solo strumento della conoscenza e del pensiero ma anche luogo in cui si articola la volontà e l’amore.4 Ora, riferendoci alla parte teorica, sosteniamo che mentre in Dio c’è una coincidenza perfetta tra il suo Verbo e la sua Volontà (che è lo Spirito, l’Amore, in termini teologici), in modo tale che l’Amore procede da Dio e dal suo Verbo (dato che Dio è nella sua essenza relazione perfetta di verità e di bene), nell’uomo c’è separazione tra verità e volontà. Non c’è, ovvero, una processione immediata delle sue opere, dei suoi voleri dalla contemplazione della verità.5

Verbo è così sinonimo di intelligibilità, luogo in cui il tempo dell’uomo si apre all’uomo; tensione verso ciò che sta per prendere forma e su cui l’uomo si affaccia come sul non ancora avvenuto. Ciò che unisce tutte queste accezioni è l’aspetto per cui il verbo è inteso, in quanto disegno (consilium, volere, intenzione), come un che di semplice.6 Dunque il tema del verbo

2 Si questi temi sono utili le considerazioni che A.Trapè e M. F. Sciacca offrono nell’introduzione che precede la

traduzione italiana del De Trinitate: Sant’Agostino, La Trinità, VII-CXXVII, Città Nuova, Roma 1998.

3 LONERGAN, Conoscenza e interiorità, p. 238-239.

4 Cfr. trin. IX, 7, 12: «Nessuno infatti fa qualcosa volontariamente, che prima non l’abbia detto nel suo cuore».

5 Più avanti (esattamente nel cap. IV), riprenderemo questo tema attraverso un breve confronto con la teologia trinitaria

di Tommaso d’Aquino e con la concezione che questi elabora della relazione tra la Persone: da tale confronto emergerà una notevole differenza tra l’articolazione del rapporto fra volontà e verbo in Dio sviluppata da Tommaso e quella sviluppata da Agostino.

6 Cfr. an. quant. 32, 65-66, in cui Agostino parla della semplicità del significato in opposizione alla divisibilità del

influenza anche il modo dell’uomo nella sua relazione con se stesso, nel presente, nel futuro e nel ricordo. Grazie al verbo l’uomo entra in relazione con la volontà, con gli altri in quanto visti e saputi come finalità dell’amore cristiano, con Dio, infine, attraverso quel verbo particolare che è la preghiera. Perciò il verbo è il principio di ogni conoscenza e di ogni volere, condizione necessaria di ogni bene, dal momento che il bene, afferma Agostino, è il volere la buona volontà.7

Per tutti questi aspetti, la riflessione del verbo rimane il luogo privilegiato per interrogare l’opera agostiniana, e si offre come la chiave interpretativa per accedere all’opera di Agostino intorno a quelle cose su cui ci siamo soffermati nella prima parte di questo lavoro.

2. Le opere di Agostino

Il De Magistro è l’opera in cui si trova tematizzato il problema del linguaggio inteso come strumento di comunicazione e di insegnamento. La struttura di quest’opera è analizzata con molta precisione da G. Madec.8 Oltre ad essere una riflessione di semiotica, il De Magistro tratta anche del tema della verità e di come ciascun uomo partecipa ad essa, arrivando alla conclusione relativa alla necessità dell’esistenza della verità in ogni uomo. È questa verità interiore che rende possibile ogni conoscenza particolare e la conoscenza di sé come coscienza all’interno della quale si dà anche la consapevolezza del dubbio stesso.9 In quest’opera l’attenzione è rivolta all’aspetto pragmatico del

significare nel senso in cui la parola è per Agostino opera, cioè commemorazione della verità anche

nel suo lato più teorico.10

L’altra opera in cui Agostino tratta del linguaggio è il De Trinitate. Qui (ci riferiamo in particolare ai libri 9, 13, 15), il tema è già investito di significato teologico, poiché la parola è indagata nel suo essere il segno dell’immagine di Dio nell’uomo. In questo testo si ritrova anche la

con la tesi husserliana per cui la noesi si mostra secondo una semplicità che invece non appartiene al modo di manifestazione del noema, che invece sfugge ad una descrizione definitiva dandosi sempre per adombramenti.

7 Cfr. lib. arb. I, 12, 25 e ss.

8 Cfr. G.MADEC, Analyse du De magistro, in “Revue des études augustiniennes”, 21 (1975), pp. 63-71. 9 Cfr. O. TODISCO, Parola e verità. Agostino e la filosofia del linguaggio, Anicia, Roma 1993.

10 Quella che ho chiamato la teoria pragmatica del significare che si trova nel De Magistro non restituisce l’intera

concezione del segno di Agostino. Occorre congiungerla con la trattazione offerta nel De Doctrina Christiana, dove il segno è considerato in prima istanza come ciò che va interpretato per raggiungere la verità: per tale congiunzione sarà esaminata (cfr. infra cap. II) la letteratura critica intorno a questa seconda opera.

distinzione centrale nella riflessione agostiniana tra parola interiore ed esteriore, inserita in una più articolata suddivisione. Il De Trinitate affronta il tema della gratuità del movimento della parola – del verbum- profondamente connessa alla logica dell’amore. Alla lettura di questo testo dobbiamo molto dal punto di vista teorico: l’articolazione della riflessione intorno a libertà e necessità della verità; la possibilità, poi, di pensare il significato della presenza della parola interiore (il pensiero) in noi; lo spunto e la voglia di riparlare e ri-guardare la vita del logos-verbo con la stessa ammirazione e lo stesso stupore dei greci, in niente diminuito dall’avvenimento della Rivelazione ma semmai aumentato. Dobbiamo inoltre alla lettura di questo testo la ricchezza della riflessione sulla relazione tra memoria e conoscenza, e quella della riflessione sulla felicità come individuazione della forma, di una forma intesa come ordine che appare premessa e possibilità di ogni linguaggio, di ogni parlare, anche di quel parlare assolutamente trasgressivo e bello che è il

metaphorein, la parola della metafora.11

Infine dobbiamo alla meditazione relativa alla grandiosa descrizione agostiniana del verbo (il conoscere, il pensare, la verità) la comprensione di un logos in grado di tradurre metafisicamente una teologia della gratuità e della verità dell’essere. Tutto ciò in direzione del pensiero di un essere attraversato e risolto interamente dal e nel movimento del dono, secondo una logica di vita (eterna), la quale è la stessa che informa il movimento del significare. Il darsi del significato all’uomo dice dell’inesauribilità dell’essere, e mostra di poter stare come ciò che può finalmente ancora contenere, ricomprendere, risemantizzare anche il suo contrario: come la pietà nei confronti del male, del pentimento nei confronti della colpa, della confessione nei confronti della verità mancata.

Nelle Confessiones il tema del linguaggio non è propriamente tematizzato, ma lo è la parola di Agostino. In quest’opera Agostino mostra la possibilità di rinascita che si dà nella felicità di una parola di verità ritrovata. Parola speciale, quella della confessione, perché meglio di altre mostra il cammino tra il linguaggio e l’azione. Naturalmente. Agostino dedica pagine importanti al tema del linguaggio anche in altre opere: ad alcune di esse faremo riferimento nel prosieguo della trattazione.12

11 Sul linguaggio metaforico e i suoi rapporti con il linguaggio religioso sono particolarmente istruttive le osservazioni

di V. MELCHIORRE,Essere e Parola. Idee per una antropologia metafisica, Vita e Pensiero, Milano 1982.

12 In particolare, ci riferiamo a Soliloquia, De vera religione, De utilitate credendi, De civitate Dei, De fide rerum quae

CAPITOLO II