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1. La parola-segno

Questa sezione è il frutto della riflessione, intorno alla parola segno, debitrice degli strumenti della semiotica, o meglio, debitrice della riflessione agostiniana sul segno. In particolare, prenderemo due accezioni in cui il segno è detto: quello per cui mostra altro da sé, e quello per cui esso mostra (mostrando altro) anche se stesso. Nel vocabolario di Agostino queste due realtà sono designate dal nome di dictio e verbum1.

In questa parte ci proponiamo di affrontare il tema della verità come può essere dischiuso da una riflessione intorno al segno. Consideriamo il linguaggio infatti quel segno per mezzo del quale l’uomo può conoscere il senso della relazione originaria per cui l’essere è. Questo non significa che l’uomo conosce anche il bene attraverso il segno. Il bene, abbiamo visto, è dell’ordine del significato e non del segno. Il significato, nel nome di bene, l’uomo lo conosce in un modo immediato, che non è mediato dal segno-linguaggio. E tuttavia, è solo attraverso quest’ultimo che l’uomo può risalire dal nome di verità a quello di bene. Può, cioè, come se fosse la sua grammatica, sapere intorno alla proposizione delle proposizioni: che l’essere è.

Il segno infatti, in quanto tale, proprio questo mostra, ovvero, verso questo fa segno: che c’è qualcosa, che l’essere è. Il segno è la parola, è il luogo e il modo cioè in cui si rapprende, per usare una metafora, la relazione dell’uomo all’intero. È una mediazione, il segno, che media però sempre la presenza del significato, del significato che è l’essere: l’essere significa se stesso; essendo, l’essere significa, si pone come significato. Essendo, ancora, ed essendo nel modo delle verità, l’essere è un significato, il primo e l’ultimo. In quanto significato, è il nome di bene. Il segno partecipa a questo significato originario: anche il segno infatti è qualcosa, anche se, precisamente, è il mostrarsi della relazione del pensiero nel suo dispiegarsi. In questo senso, il linguaggio, ossia la parola, i nomi (e qui non si tratta del problema della parola proferita o interiore: parliamo del modo

del segno formale che è il pensiero) stanno in relazione all’essere in un modo che richiama lo stare del nome di verità in relazione all’essere, se i due nomi potessero essere separati, potessero stare indipendentemente dal loro essere nomi relativi. Il nome di essere è immediatamente anche quello della verità, si è detto.

La parola nel suo esser segno mostra la relazione, l’aprirsi dell’essere, che è la verità. L’uomo, però, quando pensa, non smette di essere nel modo in cui è, cioè con un corpo, e finito nella sua esperienza. Il suo essere, dunque, sta in relazione all’aprirsi della verità in modo diverso da come sta il nome di essere, che è tutto vero, che è la relazione stessa, che è la verità della relazione. Diciamo, perciò, che la parola dice immediatamente la relazione che è l’essere, e lo dice in modo ch’esso si mostri inizialmente come evidenza della verità che si impone attraverso la constatazione della verità del segno in cui si mostra il pensare. Così, nel linguaggio, ci appare il nome di verità spoglio del suo altro vero nome, che è quello di bene, che si offre quando l’evidenza della verità che si mostra nell’esserci del segno si mostra anche secondo il suo significato buono, dice cioè anche del movimento interno che anima la vita della verità. Nel segno, invece, si mostra un nome di verità che è staccato e isolato dal resto, e dal suo vero significato, che è quello di essere vero in modo che il nome di verità riassuma e renda ragione di tutta la vita dell’essere, e non solo nel modo dell’essere vero quale l’uomo sperimenta nella proposizione in termini di verità logica. Il nome di verità rimane infatti problematico all’uomo fuori da questo sapere.

La parola dunque, in cui si mostra il pensiero (e il pensiero mostra l’essere) dice dell’essere nel modo di un indice, nel modo immediato, cioè. Lo dice, in quel modo che richiama la dimostrazione dell’evidenza della verità proprio in quella parola che dubita di essa; la prima parte di quanto segue si preoccupa di articolare questo aspetto. In questo senso la parola è presa nella sua accezione di verbum, cioè di segno che parla di sé in riferimento al suo essere segno. La successiva, invece, cerca di articolare l’altro modo della parola, quello cioè per cui essa è capace di significato, per cui cioè essa è tensione di significato verso un nome logos, per cui cioè essa è dictio, segno che parla di sé come di ciò che rinvia ad altro.

Dunque, da un lato la parola, segno, immediatamente dice l’essere come quel significato che è relazione. Dall’altro, il segno si dispone anche in modo da essere significativo, in modo da creare significati esso stesso. Per indicare questa seconda prospettiva da cui si considera la parola-segno, parleremo di essa come di ciò che significa nel senso di voler dire, nel senso che ha potere di significare l’essere, mostrandone il significato. Nella prima accezione, dunque, il significare è nel modo di un dire, immediato, che dà informazioni e svela a sua insaputa il nome dell’essere verità,

anche se secondo un senso diminuito, come si è detto, privo del vero significato che è il bene, che è ciò che chiama il pensiero; e nella seconda accezione il significare è voler dire, per indicare la parola come tensione al sorgere di un significato. Se sul primo versante la logica che si impone è secondo necessità (nel senso che la parola non può non dire questo nome dell’essere verità), sull’altro si tratta invece dell’esperienza del significato secondo una libertà che va orientata.

2. Il segno come ciò che significa altro

L’attività che è la parola (e ovviamente, ma vale bene ripeterlo, la parola intesa come manifestazione della capacità dell’uomo di pensare), può essere osservata, come si è detto, anche come movimento di voler dire, di significare. Di significare altro da sé, cioè le cose, l’essere, i significati. Da questa parte la parola non è in nulla limitata. Essa è libera in riferimento al contenuto da significare, libera di intenzionare quello che vuole, perché libero è anche il pensare. In questo senso, infatti, si mostra l’esperienza della libertà del movimento del pensiero, o meglio, della verità della sua libertà. Tuttavia, dal lato del voler dire, si deve dire che la parola non è solo possibilità di relazione al mondo nel modo di libertà di significato, ma essa è anche desiderio di significato. La parola, infatti, si significa molto spesso anche come tensione che vuole capire, ossia che vuole il darsi di un significato, che significa nel senso di porsi a interrogazione, chiedendo.

La parola sempre vuole dire, anche quando vuole capire. In questo modo, ciò che essa infatti

significa, è quel significato che è il desiderio del significato. Lo significa come appunto valore

desiderato per sé, assolutamente. E quando la parola mostra desiderio di significato, mostra proprio questo, la necessità del significato, come oggetto, o meglio, come uno dei significati. Il movimento di significare (che è la vita dell’essere) è mostrato dalla parola proprio quando il segno è relazione ad altro al modo di interrogazione. La parola che mostra la necessità del significato come il contenuto del suo desiderio, che mostra cioè l’essere come significato, non può restare indenne da ciò che mostra, poiché in questa relazione il mostrato e il mostrante si influenzano a vicenda. Il pensiero perciò, mostra la vita del significato (il significato dell’essere) come un suo significato, in quanto significato al modo del desiderio. La parola, che nel suo essere relazione significa sempre questo o quel significato, significa sempre un contenuto determinato, quando è relazione nel modo di desiderio di contenuto, cioè nel modo di un significare che è desiderio di comprensione, mostra il

significare stesso, la necessità del suo esserci, perché il significato c’è almeno in questa forma, come un che di desiderato. Perché lo desidera, anche lo mostra. Lo mostra come davanti a sé, come altro da sé, e come ciò a cui può fare appello, e in questo modo se ne sente parte, vivendosi a sua volta come uno dei significati, si percepisce come significata dal significato dell’essere, chiamata da esso.

L’attività della parola, tra i vari significati, pone anche quello che la significa come cercante, desiderante significato. Si può dire anche in questo modo: uno di modi in cui l’attività della parola significa, è quello della domanda. Il desiderio di capire è anch’esso un prodotto, un’espressione, una funzione meglio, del significato, nel senso che è significativo di quel significato che è appunto la necessità di porre il significato in quanto questo si dà, anche quando non si dà in sé, come desiderato, come desiderio di comprensione. Nella forma del voler capire, la parola ancora sta

dicendo, insegnando, direbbe Agostino.2

Anche grazie a qualche considerazione intorno alla poesia si può osservare questo doppio movimento della parola. Forse perché poesia non appartiene al discorso apofantico, ma significa al modo di logos semantico, come desiderio di comprensione, e così anche la preghiera, come mostra Agostino, o il canto. La parola della poesia è definibile proprio come parola che prende a tema questo significare che è un chiedere e un interrogare, e che lo fa mettendo in risalto l’aspetto del segno come spessore, come suono, come corpo. Del segno, cioè, in senso assoluto, capace per esso stesso di fondare il significato chiamando a pensare e ripensare l’esserci della parola. Il poeta nomina, battezza, distingue, separa, unisce; rischiara, fa vedere meglio, mette in luce, mostra. Attraverso questi modi di significare, la parola poetica interroga il significato, testimoniandolo.

La parola dunque, non solo è tensione produttiva di significato, ma anche domanda di significato. Si è fatto cenno alla forma poetica, ma il discorso vale anche per altre forme. L’esperienza del significare nel modo della domanda è simile a quella di camminare senza avere una direzione, nella speranza o nel tentativo di trovare strada facendo il senso del viaggio. E questo è possibile perché la strada c’è, c’è lo spazio di andare, c’è una distanza da colmare. Così, ogni nostro gesto e ogni nostra parola si inscrivono nel significato aperto dall’essere. E quando è il significare (l’essere, la ragione dell’essere come verità) ad essere significato, non come questa cosa significata, o quell’altra, ma in modo assoluto, allora il significare è da intendersi come uno dei

2 In questa chiave interpretativa va letto il passaggio del De magistro, che sarà commentato nella seconda parte di

questa tesi, in cui Agostino mostra che anche quando poniamo domande, stiamo in realtà mostrando come se stessimo insegnando. Cfr. infra, cap. III.

necessari oggetti del significato, e comincia a delinearsi un poco il significato del pensare, ciò che lo convoca come la sua origine e la sua vita. La parola che vuole capire, e lo vuole nella forma di desiderio di significato, vuole proprio questo: non questo o quel significato, ma il significato in cui sentirsi riconosciuta nella sua presenza, come significato. E per questo suo volere, anche lo mostra, il senso, lo chiama, ne invoca la necessità. La parola, infatti può significare la mancanza, qualcosa che c’è e che si mostra nel suo essere desiderato, grazie al fatto che il significato da sempre innerva la sua stessa tensione, il suo essere domanda. L’essere, nel suo nome, è cioè da sempre offerta di significato, e per questo è ciò che dà senso alla parola che chiede significato.

3. La parola dice immediatamente l’essere come verità (il segno che significa se stesso).

C’è un luogo privilegiato, nel pensiero di Agostino, in cui la parola si mostra all’apice delle sue possibilità: è la parola della preghiera. Essa dice, infatti, l’essere, e dicendolo (parola dell’essere, genitivo oggettivo) si identifica, diviene essa stessa parola dell’essere nel senso, ora, di genitivo soggettivo. Parola che dice l’essere e parola detta dall’essere, ovvero pensata, cogitata appunto come dice Agostino. Per ciò che ne è della preghiera, è più facile vedere come la parola non solo intenzioni, ma anche sia intenzionata, nel senso di essere presa dentro al dire dell’essere, che testimonia prima e indipendente da ogni suo essere proposizione significativa. Dicendo la relazione come nome della verità, la parola della preghiera viene in questo suo stesso dire detta, appare cioè una sua parola, parola detta dalla verità. É più facile intuire il legame tra parola dell’uomo e intero del senso, proprio perché la parola della preghiera vuole dire non un significato fra tanti, ma precisamente quel significato che è il movimento e la vita del significare, il luogo del senso come luogo che sta, che permane: l’essere che significa se stesso, e che significa essendo. Dicendo questo movimento, mostrandolo, la parola che è preghiera si percepisce come significare.

Se questa è prerogativa speciale della parola di preghiera, abbiamo detto però che appartiene anche alla parola in quanto segno questa possibilità di mostrare il suo legame originario con il nome dell’essere verità in modo tale che esso possa essere tematizzato e manifestato. La parola non è sempre preghiera, ma sempre può testimoniare dell’intero, del significato dell’essere perché in quanto segno della relazione è traccia della verità. Forse, la parola si ritrova ad essere preghiera molto più spesso di quanto non se ne abbia coscienza: tutte le volte che, simbolicamente, non voglia

essere in opposizione con essa, come suo contrario, ovvero tutte le volte che dice l’essere quale esso è, cioè vita di conoscenza che vive secondo la logica del dono.

4. Ogni segno di parola, prima ancora di voler dire altro da sé, mostra se stesso.

La parola mostra il nome della verità dell’essere anche per un’altra via, e in modo più stringente. Si riprenda in considerazione l’altro aspetto della parola, di cui si è detto all’inizio del capitolo, ovvero l’aspetto per cui la parola, in quanto segno, non solo è ciò per cui, attraverso cui si mostra altro da sé (questo o quel significato), ma è anche ciò che mostra immediatamente sé stessa. Il segno infatti anche si significa, dice di sé immediatamente come segno. Da un lato è tensione di significato nel senso che significa altro da sé, da un altro dice immediatamente anche se stesso, in quanto segno. Ma poiché il segno è tale perché mostra altro da sé (secondo la definizione di segno nella riflessione di Agostino: un segno è ciò che, mostrando se stesso, qualcos’altro mostra alla mente)3, quando il segno è considerato nella sua natura di segno, si mostra appunto come segno, cioè come questo medio che apre alla relazione. Prima di mostrare questo o quel significato, o meglio, mentre mostra questo e quello, il segno-parola mostra anche immediatamente se stessa, si mostra. E mostrandosi, si mostra per quello che è: l’esserci della relazione. Infatti, anche se la parola di per sé sta sempre per qualcosa d’altro (è segno di) tuttavia è il luogo in cui è detto l’esserci della relazione. E questo esserci della relazione, la parola lo dice in modo immediato, nel modo della necessità: non può decidere su questo contenuto, non ha potere di mostrarlo o non mostrarlo, di volerlo significare o no; qualunque sia il significato da lei intenzionato, si disegna sullo sfondo di questa apertura di senso, che è precisamente il nome dell’essere della verità.

Qualsiasi cosa sia mostrato e detto nel segno, è mostrato al contempo questo nome, quello di verità dell’essere relazione. Si può allora riprendere l’esempio di cui era questione nel De magistro, a proposito di quel segno che non significa semplicemente un altro segno, ma piuttosto il movimento di significare stesso: Agostino parla del gesto di mostrare con la mano, che si completa in quel segno indicale che è il segno “ecco(lo)”.4 La parola, oltre a ciò che vuole dire, questo dice:

3 Si rimanda per i riferimenti intorno al vocabolario agostiniano alla seconda parte, cap. II.

4 In questo capitolo non abbiamo fatto riferimento al vocabolario di alcun filosofo in particolare, dato che la riflessione

si vuole come un’interpretazione di quello agostiniano. Qui, però, ci sembra necessario specificare che usiamo il termine indicale secondo l’accezione di C.S. Peirce.

ecco il movimento di significare (il movimento del pensiero), ecco il darsi del modo di essere nella forma della relazione.

La parola dunque, il darsi della parola (testimonianza dell’esserci della relazione) mostra dall’interno (prima di ogni tensione semantica, prima di intenzionare questo o quel significato) la necessità di questo significato che è il nome dell’essere: lo mostra perché la parola è là, c’è, non si scappa. Anche se è una parola che dubita, come mostra Agostino, o una parola che cerca, come si è detto sopra, che non significa altro che sé in quanto cercante. E in questo senso si deve dire di essa che è l’inizio, ma non anche la fine. È l’inizio, infatti, nel senso che è l’inizio di ogni significato, di ogni nome. Ma non anche la fine perché, mostrando allo stesso tempo in sé (eccolo) il movimento del pensare, mostra anche la differenza all’interno della quale essa appare come ciò che non è uguale alla parola che è il nome dell’essere; essa pure, la parola-segno, ha vita di significato, ma non significa al modo in cui il nome di essere significa, al modo cioè di una coincidenza tra l’essere e il pensare.

Quindi, non solo la parola dice, indica la necessità di questo significato che è il nome dell’ essere, come si è detto. Ma il segno-parola, mostrando il movimento del significare, ovvero il nome dell’essere, si percepisce essa stessa come a sua volta significata, come cioè uno dei nomi dell’essere. Mostrando il significare, è immediatamente mostrata dal significare come un qualcosa, e precisamente come un qualcosa significato. Il segno-parola è uno dei nomi significati dall’esserci dell’essere.

La parola è l’inizio. La parola mostra il movimento del pensare (l’essere-relazione), e lo mostra in modo necessario, perché non ha scelta su questo significato. Non ha nemmeno scelta in relazione al modo in cui essa è conseguentemente mostrata una volta che (senza che ci sia processo temporale, ma logico) dice il nome dell’essere al modo della verità del pensiero. Infatti, è da esso immediatamente ricompresa e a sua volta significata. La parola si scopre così a sua volta uno dei nomi della verità.

Riprendendo l’immagine di quel segno che mostra il movimento del significare, si potrebbe dire che, dicendo “eccolo”, la parola apre al contempo il modo del pronome “tu”, perché è il destinatario ciò che fonda in ultima istanza la natura di segno (nel senso che è ciò che mostra al contempo sé e qualcos’altro alla mente). Scoprendosi come ciò che parla ad un tu, la parola si scopre come l’inizio della verità in riferimento all’uomo, ma come ciò che non è il principio. O meglio, come ciò che sa che in principio non è la parola dell’uomo.

Il principio, nella parola, e come parola, è mostrato in modo tale che la parola non può più fare marcia indietro rispetto a ciò che ha visto. Essa è chiamata d’ora in avanti a sapere cosa significhi il suo abitare come segno della relazione; è chiamata a cercare di capire meglio il nome dell’essere come significato di verità. E soprattutto è chiamata a significare la verità anche nel modo per cui essa è libera, nel modo secondo cui essa è intenzionalità, relazione ai significati altri da sé. È chiamata a significare, cioè, come volontà (del voler dire) quello che come verità di segno testimonia in modo necessario.

5. Il significato del segno è semplice