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Esiste una bibliografia non trascurabile su questo Salterio, costituita sia da inter- venti specifici, sia da riferimenti all’interno di riflessioni riguardanti altre opere prodotte in area veronese. L’attenzione si è però limitata per lo più all’apparato decorativo e all’identificazione dei suoi autori; nel corso del tempo sono state così evocate una serie di personalità, da Girolamo dai Libri già nell’Ottocento (così Porro nel 18844, senza seguito almeno fino al 19385) a Girolamo da Cremo-
na (Malaguzzi Valeri e Salmi6) e a un generico «valente artista lombardo»7, fino
ad arrivare a Francesco dai Libri.
non è qui la sede per ripercorrere nel dettaglio l’iter che negli ultimi cinquant’an- ni ha portato a precisare l’identificazione di Francesco dai Libri come principale, anche se non unico, responsabile della decorazione del ms. Triv. 2161. Basti qui ricordare che è stato Eberhardt il primo a farvi riferimento nel 19778, dopo che
l’anno prima la Mariani Canova9 aveva iniziato a ricostruire il catalogo di questo
miniatore – per altro ben noto a Vasari10 – a partire dall’iniziale I con cui si apre
il Liber perfectionis vitae di Giovanni Jacopo da Padova (ms. 432 del Seminario di Padova), miniatura che ha potuto funzionare da fossile guida, in quanto firmata e datata (1503).
negli ultimi decenni l’attenzione al nostro manoscritto ha trovato naturale espressione in alcune esposizioni temporanee, dalla mostra Miniatura veronese
del Rinascimento (Verona, 1986-1987)11, a Mantegna e le arti a Verona, 1450-1500
4 G. Porro, Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana, Torino 1884, p. 373.
5 E. Calabi, I corali miniati del convento di S. Francesco a Brescia, “Critica d’arte”, 3, 1938, pp. 57-67. 6 F. Malaguzzi Valeri, La Corte di Lodovico il Moro. La vita privata e l’arte a Milano nella
seconda metà del Quattrocento, I, Milano 1913, p. 601; M. Salmi, Girolamo da Cremona miniatore e pittore, “Bollettino d’arte”, 2, 1923, pp. 385-404, 461-478.
7 C. Santoro, I codici medioevali della Biblioteca Trivulziana, Milano 1965, p. 315.
8 H.J. Eberhardt, Liberale da Verona und die Aesop-Illustrationen von 1479, “Gutenberg-
Jahrbuch”, 52, 1977, pp. 244-250.
9 G. Mariani Canova, La miniatura rinascimentale a Padova, in Dopo Mantegna. Arte a Padova
e nel territorio nei secoli XV e XVI, catalogo della mostra (Padova, Palazzo della Ragione, 26 giugno
- 14 novembre 1976), Milano 1976, pp. 151-162.
10 «Venendogli dunque da tutte le bande libri a miniare, non era per altro cognome nominato
che da i Libri, nel miniar de’ quali era eccellentissimo, e ne lavorò assai»; G. Vasari, Le Vite de’
più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e del 1568, testo a cura di R. Bettarini,
con commento secolare a cura di P. Barocchi, IV, Firenze 1976, p. 594.
11 Miniatura veronese del Rinascimento, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio,
(Verona, 2006-2007)12, a Il grande alfabeto dell’umanità (Milano, 2013)13. Quest’ul-
tima mostra è stata l’occasione, all’interno del nostro Istituto, per osservare con rinnovata attenzione il salterio bilingue trivulziano nella sua complessità di ma- nufatto librario, opera d’arte, veicolo del testo biblico: un piccolo oggetto per un’operazione culturale di discreta complessità, in gran parte ancora da decifrare. Ad aprire il manoscritto sono due immagini affrontate (fig. 1), l’una con una stele marmorea e angeli musicanti, l’altra con un cartiglio strappato, dovute ragione- volmente a mano diversa da quella dell’artista responsabile del resto delle minia- ture e vicina – è stato notato già da Alexander nel 1970 – ai modi di Giovanni
12 Mantegna e le arti a Verona, 1450-1500, catalogo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia,
16 settembre 2006 - 14 gennaio 2007), a cura di S. Marinelli, P. Marini, Venezia 2006.
13 In occasione della mostra, svoltasi presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, è stata
pubblicata la raccolta di saggi Il grande alfabeto dell’umanità, a cura di A. Gianni, Milano 2013. 1. Ms. Trivulziano 2161, cc. 3v-4r. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
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Vendramin14. Il codice è caratterizzato, inoltre, da una straordinaria miniatura a
doppia pagina (fig. 2), una sorta di quadro in cornice, che rappresenta il trasporto dell’Arca a Gerusalemme, disposto da re Davide. L’episodio è colto nel momen- to immediatamente successivo alla morte di Uzza, colpito mortalmente da Dio per aver toccato l’Arca nel tentativo di non farla cadere per il movimento irrego- lare dei buoi che tirano il carro.
Il salterio, al quale è premessa la Praefatio di Girolamo, è costruito in modo tale che ciascuna coppia di pagine affrontate riporti la stessa porzione di testo – a sinistra nel greco della Septuaginta, a destra in latino nella versione di san Gero- lamo –, con una corrispondenza perfetta, quasi alla parola, il che naturalmente è espressione di un progetto librario di grande qualità, maturato in un ambiente umanistico dove si padroneggia alla perfezione il latino e il greco e li si trascrive con estrema eleganza.
14 J.J.G. Alexander, Venetian Illumination in Fifteenth Century, “Arte Veneta”, 24, 1970, pp. 272-274.
A impreziosire il testo dei salmi intervengono eleganti iniziali maggiori (fig. 3), progettate in modo da caratterizzare ulteriormente la parte greca rispetto a quel- la latina, ma conservando nella diversità grande coerenza ed equilibrio. nelle pagine di destra, relative al testo latino, sono presenti capitali epigrafiche in oro, realizzate con estrema varietà di motivi decorativi, non di rado a monocromo, di ispirazione antiquaria; nelle pagine di sinistra, le lettere greche – per le quali non era applicabile, se non in pochi casi, il modello delle cosiddette lettere mantiniane – sono formate da elementi zoomorfi e vegetali. Ben eseguite e giocate sull’alter- nanza delle forme e dei colori anche le iniziali minori (fig. 4).
Molteplici i confronti tra le miniature di questo manoscritto e altre assegnate a Francesco dai Libri. Si può riportare qui, esemplarmente, almeno la pagina incipi- taria degli Statuta et Ordinamenta Domus Mercatorum (1482-1483 ca.), conservati al Museo di Castelvecchio di Verona, la cui miniatura presenta analogie stilistiche e comuni motivi iconografici, anche di dettaglio, con il nostro Salterio.
Gino Castiglioni nella sua scheda per la mostra veronese del 2006-200715 ci la-
sciava con alcune domande, con le quali è utile ancora oggi confrontarci per dare loro risposta o almeno per ridefinirne la formulazione e per inquadrare corret- tamente le problematiche connesse allo studio del codice: chi poteva essere il facoltoso committente che desiderava disporre di un salterio greco? Chi fu il cal- ligrafo in grado di scrivere in greco? Quando e dove fu miniato il manoscritto? Questo intervento tenta di fornire una risposta parziale alla prima domanda, riformulabile per altro nei seguenti termini: chi poteva essere la personalità alla quale destinare, e con quali intenti, un salterio così speciale?
Abbiamo forse contributo anche a indicare un ragionevole termine a quo del- la produzione del codice e a fornire qualche elemento, per quanto al momento puramente indiziario, sull’ambiente in cui può essere maturato questo progetto librario.
Ma veniamo ora nel dettaglio all’oggetto di questa comunicazione, ovvero l’illu- strazione delle tappe del procedimento euristico che ha portato al primo risulta- to provvisorio della nostra indagine e che a sua volta potrà diventare il punto di partenza per le successive ricerche, destinate a contribuire a dare una risposta alle domande poste da Gino Castiglioni.
È necessario a tal fine porre attenzione allo stemma che ricorre per ben tre volte all’inizio del manoscritto e che possiamo blasonare così: d’azzurro con scaglione d’arancio. non ci risulta che si sia arrivati prima d’ora a un’identificazione del tito-
15 G. Castiglioni, Un secolo di miniatura veronese 1450-1550, in Miniatura veronese del Rinascimento,
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lare di questo stemma, sia esso una persona, una famiglia o un’istituzione religiosa o cittadina. Molto curiosa, per altro, la presenza dell’arancio, un colore assai raro nell’araldica di area italiana, sempre che si tratti qui del vero colore dello stemma e non del risultato dell’uso di un pigmento degradatosi nel tempo. Si poteva pensa- re anche a una brisura, ovvero alla voluta modificazione di uno stemma principa- le. Questa strada non è sembrata tuttavia portare lontano nella comprensione del manoscritto, soprattutto se tentavamo di leggere lo stemma insieme alla mitria vescovile sovrapposta, che in una delle tre miniature si presenta sfumata di rosso, elemento ragionevolmente non senza significato.
Abbiamo quindi guardato meglio l’area degli stemmi e fatto alcune considera- zioni preliminari, solo in parte adombrate nella letteratura disponibile: in primo luogo, il modo piuttosto maldestro con cui sono stati realizzati gli stemmi, non coerente con la qualità di esecuzione di tutto l’apparato decorativo del mano- scritto; la presenza di piccolissime porzioni, ai margini degli stemmi, di un azzur-
ro di una cromia diversa da quella del campo dello stemma.
A questi due elementi che fanno sospettare una ridipintura (e che si trattasse di
3. Ms. Trivulziano 2161, cc. 55v-56r, particolare. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
una ridipintura era stato già osservato da Alexander nel 1970, che ipotizzava per altro trattarsi in origine dello stemma dei Bembo), si è aggiunta l’osservazione – mai rilevata prima, nonostante l’evidenza nelle riproduzioni in circolazione – di due iniziali in oro, ai lati dello stemma alle cc. 5v e 6r, non completamente oblite- rate: le lettere B e R (fig. 5).
Avevamo bisogno di poter provare la nostra ipotesi e identificare con buon grado di certezza il vescovo BR ricorrendo a una tecnica o più tecniche non invasive capaci di rivelare lo strato sottostante agli stemmi.
Con una normale fotocamera, più sensibile all’infrarosso dell’occhio umano, era già possibile evidenziare i tratti di elementi sottostanti allo stemma visibile. E qui è avvenuto l’incontro con Roberto Bellucci che, presente a Milano per un’indagine al Castello Sforzesco, ha effettuato alcune riprese degli stemmi del
Salterio, utilizzando una fotocamera digitale SOnY DC 28, dotata di un sensore
per l’infrarosso, con una lunghezza d’onda di 1050 nanometri.
Si è così manifestata con chiarezza ai nostri occhi la presenza di un leone rampan- te, che avevamo solo intuito nelle riprese amatoriali precedenti (fig. 6).
4. Ms. Trivulziano 2161, cc. 66v-67r, particolare. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
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Le riprese all’infrarosso rappresentano una metodica piuttosto semplice, facil- mente utilizzabile con le più diverse tipologie di manufatti, ma applicata rara- mente alle miniature.
Quanto emerso da queste indagini ci ha confortato nell’identificazione del tito- lare dello stemma in Bernardo de’ Rossi, vescovo di Belluno dal 1488 e di Treviso dal 1499. Di nobile famiglia parmense, studente a Ravenna, quindi – secondo alcune fonti – a Verona e poi a Padova, dove conseguì la laurea in diritto civile e canonico, aveva creato attorno a sé, negli anni di Treviso, com’è noto, una cerchia di umanisti, di un umanesimo forse minore ma tuttavia di un certo interesse per la commistione di cultura religiosa e cultura laica in senso antiquario.
È lo stesso Bernardo de’ Rossi del ritratto di Lorenzo Lotto del 1505 (fig. 7) e della coperta di Washington, che nell’illustrazione delle Virtù utilizza elementi iconografici assai vicini al nostro Salterio e presenta, appoggiato all’albero centra- le, lo stemma appunto con leone rampante.
5. Ms. Trivulziano 2161, c. 5v, particolare. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
È una coincidenza singolare – ma in qualche modo significativa – che il nome del vescovo de’ Rossi riemerga qui da una sorta di condanna all’oblio come nel caso della tavola lottesca Madonna con Bambino e san Pietro Martire di Capodimonte, sulla quale le prime radiografie degli anni ’50 avevano dimostrato quanto si era in- tuito, ovvero che il san Giovannino fosse un intervento successivo e che in realtà nascondesse nello strato sottostante il ritratto del donatore, che da allora è stato, con sempre minore cautela, identificato in Bernardo de’ Rossi, da Berenson fino ai lavori di Francesca Cortesi Bosco.
Lo stemma, con leone rampante, mitria sovrapposta e iniziali BR ai lati, corri- sponde perfettamente a quanto osserviamo nel sigillo maggiore del vescovo de’ Rossi16. E che può essere letto nei suoi elementi essenziali anche nel ritratto di
Capodimonte.
Purtroppo, negli inventari già identificati e pubblicati da Giuseppe Liberali17 (e
riproposti nel catalogo, a cura di Gianvittorio Dillon, della mostra Lorenzo Lotto a
Treviso, svoltasi nel 1980), tra le suppellettili si fa menzione anche di libri e quadri,
ma non sembra di poter ravvisare in alcuna delle descrizioni il nostro Salterio. È da notare tuttavia che tali inventari, conservati presso il fondo Famiglie dell’Ar- chivio di Stato di Parma, sono piuttosto tardi (1510-1511) e relativi al periodo in cui Bernardo si preparava, dopo contrastate vicende politico-familiari, a lasciare il Veneto per Roma.
L’aver identificato lo stemma in quello di Bernardo de’ Rossi, ormai vescovo – quindi in data non anteriore al 1488 –, non contrasta per altro con l’ipotesi già avanzata a più riprese da Gino Castiglioni, con qualche oscillazione, che la fat- tura del manoscritto debba posticiparsi rispetto alla datazione fissata alla metà degli anni Settanta del ’400 da Eberhardt e quindi da Milvia Bollati18. L’ipotesi
è sostenuta da Castiglioni nel 1986 su base stilistica (per confronto con l’iniziale P che orna il De sanctissimorum praesulum veronensium inventione et vita di Pietro Donato Avogaro, ms. 56 della Civica di Verona, del 1494) e quindi successiva- mente a seguito di una riflessione sull’evoluzione della domanda di salteri greci, la cui primissima manifestazione sembra testimoniata nella prima metà degli anni
16 Cfr. G.P. Bernini, Profilo storico di Bernardo Rossi vescovo di Treviso e Conte di Berceto e Broccardo
Malchiostro bercentano, canonico di Treviso, Parma 1969.
17 G. Liberali, Gli inventari delle suppellettili del vescovo Bernardo de’ Rossi, nell’episcopio di Treviso
(1506-1524), in Lorenzo Lotto, atti del convegno internazionale di studi (Asolo, 18-21 settembre 1980),
a cura di P. Zampetti, V. Sgarbi, [Treviso 1981], pp. 73-92.
18 M. Bollati, Recensione a Miniatura veronese del Rinascimento, “Arte cristiana”, 75, 1987, pp.
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’80 dalla stampa dell’edizione milanese di Bono Accursio (1481), seguita dopo qualche anno da quella veneziana dei tipografi cretesi Laonikos e Alexandros (1486), mentre la raffinatissima edizione di Aldo Manuzio è solo della seconda metà degli anni ’90.
nell’indagine in corso, diverse sono le piste che intendiamo perseguire al fine di trovare ulteriore sostegno all’identificazione del destinatario-committente, e non solo come uno dei possibili possessori, nel vescovo Bernardo de’ Rossi, le- gandolo più saldamente all’ambiente veronese o padovano; inquadrare meglio il
Salterio nella produzione dei manoscritti greco-latini in area veneta; identificare
altri momenti nella storia del codice, come quello rappresentato dalla ridipintura dello stemma.
Oltre che dallo scandaglio della documentazione archivistica (significativa po- trebbe rivelarsi una approfondita ricerca a Parma) e delle testimonianze lettera- rie, ci aspettiamo ulteriori risultati dalle indagini di imaging proposte dal grup- po ArtIS19. Lo scopo è quello di raccogliere maggiori informazioni sui diversi
19 Il gruppo, composto da Daniela Comelli, Valentina Capogrosso, Sara Mosca e Gianluca
Valentini del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, e da Sara Bellei e Austin nevin dell’Istituto di Fotonica e nanotecnologie del CnR, ha proposto di analizzare ulteriormente le miniature del codice, avviando una serie di indagini spettroscopiche non invasive volte al miglioramento della conoscenza dei pigmenti impiegati. In particolare è prevista l’effettuazione di misure puntuali di spettroscopia Raman e XRF. La prima tecnica permette di riconoscere la presenza di un dato materiale pittorico (pigmento, legante, addittivo, etc.) tramite l’identificazione di specifiche vibrazioni molecolari, mentre la seconda tecnica permette di identificare gli elementi 6. Ms. Trivulziano 2161, c. 3v, particolare dello ripresa all’IR dello stemma. Milano, Archivio Sto- rico Civico e Biblioteca Trivulziana
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strati degli stemmi, ad esempio per determinare l’effettiva composizione chimica dell’azzurro e dell’arancio presenti sullo strato superiore, e quindi di stabilire una possibile datazione dell’intervento di ridipintura, a sua volta segnale di una fase nella storia dell’esemplare.
atomici associabili a un certo pigmento o in generale a un certo materiale pittorico.
Lo spettrometro Raman proposto per l’impiego costituisce un prototipo sviluppato presso il laboratorio ArtIS che utilizza una sorgente laser in continua con emissione a 785 nm e una CCD al Silicio raffreddata, accoppiata a uno spettrometro ad alta risoluzione (intervallo spettrale: 150¸2500 cm-1, risoluzione spettrale~15 cm-1). Il cuore del sistema consiste in una testa di scansione che permette l’invio della radiazione laser e la raccolta del segnale Raman retro-diffuso da una distanza remota; tramite l’ausilio di due specchi galvanometrici e di un sistema ottico opportunamente progettato, permette di deflettere il fascio laser in un punto di interesse della superficie da analizzare mantenendo una distanza di lavoro di circa 30 cm.
Lo spettrometro XRF (Elio, XGLab SRL, Milano, Italy) consiste di uno strumento portatile commerciale, specificatamente sviluppato per rilevazioni in situ, in grado di effettuare l’analisi degli elementi atomici presenti in un punto di interesse di diametro pari circa a 1 cm. Esso impiega una sorgente X con anodo al Rodio e un rivelatore a larga area che permette la rivelazione degli elementi atomici dal Sodio all’Uranio.
In parallelo alle indagini di spettroscopia, è prevista un’ulteriore indagine di riflettografia IR volta a precisare l’identificazione di parti non visibili in condizioni di normale illuminazione. Le immagini della radiazione IR riflessa saranno registrate tramite una CCD al Silicio raffreddata (Retiga 2000R, Qimaging) equipaggiata con un filtro ottico in grado di trasmettere solo la radiazione elettromagnetica con lunghezze d’onda superiori a 1 micron (FEL1000, ThorlabsInc.).
1. La Madonna di Lonigo trivulziana
Non passa inosservato, a chi percorre il corso di porta Romana di Milano, il santua- rio di San Nazaro in Brolo. Al civico 5 della piazzetta omonima, presso il crocevia con viale Francesco Sforza e via Santa Sofia, l’ingresso della Basilica Apostolorum, fondata da sant’Ambrogio nel IV secolo, presenta, anziché una vera facciata, un massiccio blocco quadrangolare in mattoni, con sei paraste e un portale in pietra, anteposto al santuario nel primo XVI secolo. L’edificio, la cappella Trivulzio o «Trivulza»1 (fig. 1), con la sua facies di torrione medievale maschera nel ruvido, in-
compiuto esterno il raro nitore dell’interno, paragonabile forse solo alle Cappelle Medicee a Firenze: benché mutato nei dettagli nel corso dei secoli, difatti, conserva intatto il carattere di sobria architettura rinascimentale risparmiata da sfregi baroc- chi, come rimarca la folta messe di studi dell’ultimo secolo sulla sua fabbrica2.
1 P. Mezzanotte, Notizie sulla «Trivulza» e il suo progetto originario, “Atti del Collegio degli
Ingegneri ed Architetti di Milano”, XLVII, 12, 1914, pp. 475-487.
2 W. Suida, Die Spätwerke des Bartolommeo Suardi, genannt Bramantino, “Jahrbuch der
Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses”, XXVI, parte I (Abhandlungen), 1906-1907, pp. 293-372: 348-353; P. Mezzanotte, La cappella Trivulziana presso la basilica di San
Nazaro Maggiore, “Archivio Storico Lombardo”, s. IV, XXXIX, 1912, vol. XVIII, fasc. XXXVI,
pp. 457-480; C. Baroni, Leonardo, Bramantino ed il mausoleo di G. Giacomo Trivulzio, “Raccolta Vinciana”, XV-XVI, 1934-1939, pp. 201-270; G. Bisiach Oddono, La Basilica di S. Nazaro
Maggiore in Milano con 9 illustrazioni, Milano 1935, pp. 19-24; C. Baroni, Intorno a tre disegni milanesi per sculture cinquecentesche, “Rivista d’Arte”, s. II, X (XX), 1938, 4, pp. 392-410: 402-406, 409-
410; Idem, L’architettura lombarda da Bramante al Richini. Questioni di metodo, Milano 1941, pp. 118- 119; W. Suida, Bramante pittore e il Bramantino, Milano 1953, pp. 115-121; E. Villa, Dove e come sorse
il Mausoleo di Gian Giacomo Trivulzio. Quale il suo uso e il suo stato attuale di conservazione, “Nuovo eco