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Meri Sclosa

Nel documento Aldèbaran III. Storia dell'arte (pagine 171-189)

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ginale di innumerevoli citazioni figurative; si tratta di un gioco intellettualistico che, a ben vedere, trova la propria esegesi nel contesto praghese in cui avviene la formazione del pittore. Il retaggio culturale rudolfino, pervaso di sapienza e pra- tiche esoteriche, non affiora solo nella tematica occulta degli ‘stregozzi’ e delle sarabande demoniache assemblate da Heintz, ma esala, in maniera squisitamente distillata, dalla sua stessa pratica artistica, che, alla stregua dell’alchimia, diventa manipolazione della forma. Una preziosa testimonianza del modus operandi del tedesco viene, senz’altro, da un’Ultima cena (già Genova, mercato antiquario) di recente attribuzione, frutto di uno straordinario montaggio di copie3, che solo il

suo fantasioso talento interpretativo riscatta dal pedissequo esercizio della dupli- cazione.

Se tutta la produzione heintziana è caratterizzata da una costante – e a vari gradi dissimulata – prassi imitativa, per giocoforza era logico giungere alla supposizio- ne che l’artista si dedicasse anche all’attività tradizionale del copista, impegnato in maniera manifesta nel calco fedele dei maestri antichi e moderni. All’assenza di dati certi in proposito supplisce ora il recupero di un prezioso ed esplicito docu- mento d’archivio, che alla data relativamente precoce del 1639 attesta per Joseph Heintz il Giovane un episodio di eccezionale, e al momento insuperata, fortuna collezionistica. Si tratta della trascrizione notarile dell’inventario autografo di «tutti li quadri di pitura et mobeli» di proprietà di monsignor Gerardo Biancosi, compilato il 12 settembre 1639 in previsione di un donativo al fratello Anzolo4.

L’elenco, precisissimo nel registrare la paternità dei dipinti, tanto originali quan- to copie, è assolutamente degno di fede, poiché steso da quello che oggi appare come il maggiore committente del pittore tedesco, in possesso di ben quaran- tuno sue opere. originario di Salò, nominato canonico di Torcello negli anni Trenta, Biancosi è un personaggio minore, ma non del tutto oscuro, della Venezia seicentesca, noto in particolare agli studi musicali per l’impegno ventennale, dal 1614 circa, come «cantor et musico», virtuoso nel suono della tiorba, presso la Cappella di San Marco5.

3 Per l’analisi puntuale delle fonti iconografiche utilizzate da Heintz – da Jacopo Tintoretto ad

Hans Vredeman de Vries – cfr. ibidem, pp. 53-60.

4 Venezia, Archivio di Stato (d’ora in poi ASVe), Notarile, Atti (notai Nicolò e Tadio Fedrici),

b. 6032, protocollo 1639, cc. 153v-156r. La trascrizione dell’Inventario fatto d’accordo da noi Monsignor

Gerardo et Anzolo Biancosi sotto il dì 12 settembre 1639 in Venetia, qui riportata in appendice, si trova alle

cc. 154v-155r. Una postilla a margine di mano del notaio (11 giugno 1643) ci informa dell’esistenza di ulteriori dipinti, rinviando a un nuovo inventario, oggi purtroppo irreperibile.

1. Joseph Heintz il Giovane, Il Genio dell’Arte, 1625, disegno. Vienna, Graphische Sammlung Al- bertina

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Coniugando la passione per l’arte contemporanea al tradizionale gusto per i grandi maestri del Cinquecento, dei quali all’evidenza non poteva permettersi gli autografi (con l’eccezione di «un past[o]rel in tella original del Salviati» e di un

Cristo alla colonna «di mano antiga»), il religioso mise insieme una selezionata

raccolta di copie, in prevalenza soggetti sacri. Se della maggior parte troviamo indicata solo la responsabilità del modello – Giovanni Bellini, i due Palma, Porde- none, Veronese e Padovanino –, di alcune, invece, apprendiamo anche l’identità del copista. A un ritratto «cavato da Rafael d’Urbino» per mano di un ignoto «francese valentomo» e a un «santo Bastiano grando, copia de Tician, fatto da Ticianello», si affiancavano otto riproduzioni eseguite «dall’ens». Almeno sei dipendevano da esemplari del XVI secolo: due ritratti, «una donna bionda» e «un gentilomo», da Bellini6, due patetiche immagini di «Nostro Signore» da

Palma il Vecchio e Pordenone, una Pietà in notturno da Jacopo Bassano (il di- pinto originale potrebbe essere la celeberrima pala della chiesa di Santa Maria in Vanzo a Padova) e un quadro con «donine» da «Brusach» (o «Brusael»), no- minativo storpiato da interpretarsi, forse, come Brueghel7. Il piccolo insieme di

duplicati heintziani in possesso di Biancosi, cronologicamente inerente alla sua prima attività lagunare8, permette di intuire quanto intenso fosse stato l’impegno

dell’artista di Augusta nello studio della tradizione pittorica veneziana, gettando una luce davvero essenziale sulle modalità di acquisizione – attraverso l’aemulatio – di una perfetta capacità di mimesi e, vista l’eterogeneità dei saggi di riferimento, sullo sviluppo di quella versatilità stilistica che ne sostanzia l’arte.

Non solo orientata verso il passato, la collezione Biancosi non manca di aprirsi all’attualità artistica e di dar prova dell’aggiornata cultura del musico di San Mar- co. Accanto ad alcuni dipinti devozionali, consoni alla sua veste spirituale, i sog-

sic of Alessandro Grandi, Giovanni Rovetta and Francesco Cavalli, I, Ann Arbor 1981, p. 350 nota 217,

e da P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, p. 186; cfr. inoltre lo studio di R. Thurston Miller,

The Composers of San Marco and Santo Stefano and the Development of Venetian Monody (to 1630), Ph.D.

diss., University of Michigan, 1993, pp. 27-28, nel quale si rintraccia una fugace menzione dell’in- ventario di monsignor Biancosi.

6 Un altro ritratto viene «cavato dal Sane [?]», autore per il quale, causa la difficile e incerta

lettura del nome nel documento originale, non è possibile avanzare alcuna ipotesi identificativa.

7 Il generico soggetto, pur apparendo non del tutto affine alla più consueta iconografia brue-

gheliana, potrebbe forse trovare un riscontro nelle Allegorie degli elementi o nelle Allegorie dei sensi dipinte da Jan Brueghel il Giovane.

8 Al 1625 risale la prima attestazione lagunare del giovane Joseph: l’anno è vergato sul disegno

con il Genio dell’Arte (fig. 1) all’Albertina di Vienna; cfr. J. Zimmer, Joseph Heintz il Giovane dise-

2. Joseph Heintz il Giovane, Giovane pescivendolo con granchi. Già Roma, mercato antiquario

getti riuniti ne esibiscono chiaramente la predilezione per la pittura di genere e, in tal senso, proprio per quella di «Iseppo ens todescho». Fra i trentatré originali dell’autore non stupisce riscontrare un largo numero di Paesi, verosimilmente da porre, nonostante le note di registrazione siano stringatissime, sulla scia della più raffinata tradizione paesaggistica fiamminga. Non sembra dunque esserci troppa discordanza, benché il tono dovesse mostrarsi meno ricercato, rispetto alla pas- sione per le ‘cose di natura’ che aveva spinto il cardinale Federico Borromeo a collezionare i minuti Paesaggi su rame di Jan Brueghel il Vecchio9. Vere e proprie

9 Anche a Venezia è testimoniata la presenza di Paesaggi di Jan Brueghel il Vecchio e di suo fi-

glio: ne possiede diversi, ad esempio, Gaspar Chechel. Per l’inventario della collezione di questo facoltoso mercante di origini tedesche si veda C.A. Levi, Le collezioni veneziane di arte e d’antichi-

tà dal secolo XVI ai giorni nostri, II, Venezia 1900, pp. 33-39; cfr. anche L. Borean, Il collezionismo e la fortuna dei generi, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, a cura di L. Borean, S. Mason, Ve-

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rarità da Wunderkammer appaiono, altresì, i «doi paesi in piera di parangon fatti d’oro et argento»: realizzazioni sofisticate e preziose, di cui al momento non ri- mane alcuna traccia nel catalogo dell’artista.

Del tutto insufficiente si rivela anche la conoscenza della produzione ‘realistica’ di Joseph Heintz10, limitata all’emblematico Pescivendolo (Firenze, mercato anti-

quario), firmato e datato 1652 o 165711, al simile Giovane pescivendolo con gran-

chi (fig. 2) (già Roma, mercato antiquario) e a poche altre opere di attribuzione

discussa12. L’inventario approntato da Biancosi aggiunge, a questo proposito, un

10 Cfr. C. Morsbach, Die deutsche Genremalerei im 17. Jahrhundert, Weimar 2008, pp. 132-137. 11 I dubbi circa la data che appare nella tela sono risolti a favore dell’anno 1657 nella recentissi-

ma scheda di F. Berti, in Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol, catalo- go della mostra (Brescia, Palazzo Martinengo Cesaresco, 24 gennaio - 14 giugno 2015), a cura di D. Dotti, Cinisello Balsamo (Milano) 2015, p. 130, cat. 37.

12 Il Giovane pescivendolo con granchi, per via del soggetto e delle analoghe dimensioni, è stato

interpretato come pendant del Pescivendolo da Giancarlo Sestieri; Nature morte italiane ed europee

del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra (Roma, Galleria Cesare Lampronti, 26 ottobre - 15

dicembre 2000), a cura di G. Sestieri, Roma 2000, p. 6, cat. 3. Il riconoscimento dell’autogra- 3. Joseph Heintz il Giovane, Allegoria della Sapienza, particolare. Vienna, Kunsthistorisches Mu- seum

4. Joseph Heintz il Vecchio, Caduta di Fetonte, particolare. Leipzig, Museum der Bildenden Künste 5. Joseph Heintz il Vecchio, Ratto di Proserpina, disegno. Stuttgart, Staatsgalerie

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importante tassello, mediante la segnalazione di una «cogha original d’Isepo ens», immagine da collocare, per via della precisazione dimensionale di «quadro grando», accanto alle figure ‘al naturale’ dei citati venditori di pesce, escludendo si tratti di un’architettura d’interno simile alla Cucina del Museo Davia Bargel- lini di Bologna13. Considerando la data del documento reperito, viene dunque

a cadere la teoria che legherebbe l’ispirazione di alcuni dei soggetti popolari di Heintz alla presenza in loco di Monsù Bernardo, giunto a Venezia solo nel 165114.

A voler scoprire delle affinità, nel caso specifico, si potrebbe allora guardare a Ber- nardo Strozzi, in laguna dal 1633, fra le cui opere si annoverano vari suonatori, un Fruttivendolo (New York, Riverdale-on-Hudson, Stanley Moss collection), la

Giardiniera (già Campione d’Italia, collezione Lodi), nonché la celebre Cuoca

(Genova, Galleria di Palazzo Rosso), iconografia, significativamente, ripresa dal pittore anche negli anni del soggiorno veneziano15. L’intrinseca sensibilità del

maestro augustano per le tematiche di ascendenza nordica, coniugandosi al vi- goroso naturalismo respirato, alla metà degli anni Venti, nella Roma svezzata da Caravaggio, quando le immagini di vita quotidiana dei Bamboccianti e le rap-

fia heintziana spetta già a M. Heimbürger, Bernardo Keilhau detto Monsù Bernardo, Roma 1988, pp. 130-131. Meno sicuri sono l’Uomo con natura morta e i tre quadri con Venditori di pesci assegnati al tedesco da F. Arisi, Tre nature morte con figure di Giuseppe Heintz e due soggetti rari di Monsù Ber-

nardo, “Arte Documento”, 15, 2001, pp. 141-143: 141-142. Cfr. in proposito anche D. D’Anza, Joseph Heintz il Giovane pittore nella Venezia del Seicento, Università degli Studi di Trieste, tesi di dottora-

to, 2008, pp. 86-88.

13 M. Lucco, in Museo Civico Davia Bargellini, Bologna 1987, pp. 103-104. A un Interno di cucina

doveva forse corrispondere la «Vechia con polami, cesti et altro con architettura, del pittor Gio- sefo enz», appartenuta a Girolamo Lion Cavazza; Levi, Le collezioni, cit., p. 194. Negli inventari veneziani ricorre la menzione di altri soggetti di genere di Heintz: una Donna con piccione si trova- va nella collezione dell’ambasciatore imperiale Humprecht Jan Czernin e una Dona con polami di-

versi nella raccolta del procuratore Giacomo Correr (1661); cfr. rispettivamente D’Anza, Joseph Heintz il Giovane pittore, cit., p. 97, e L. Borean, “Con il maggior vantaggio possibile”. La vendita della collezione del procuratore di San Marco Giacomo Correr, in Il Mercato dell’arte in Italia, secc. XV-XVII, a

cura di M. Fantoni, L.C. Matthew, S.F. Matthews-Grieco, Ferrara 2003, pp. 337-354: 346.

14 Per l’interdipendenza tra Keilhau e Heintz, si veda Heimbürger, Bernardo Keilhau, cit.,

pp. 130-131.

15 Nell’inventario dei quadri di proprietà di Bernardo Strozzi, compilato nel 1644 alla mor-

te del pittore, è indicata, tra i dipinti di sua mano, «una cuoga con diversi polli»; P. Boccardo, in Bernardo Strozzi. Genova 1581/82-Venezia 1644, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 6 maggio - 6 agosto 1995), a cura di e. Gavazza, G. Nepi Sciré, G. Rotondi Terminiello, Milano 1995, pp. 184-186, cat. 44; per la trascrizione del documento, si veda L. Moretti, L’eredi-

presentazioni della misera e sguaiata umanità delle taverne e dei bassifondi erano una moda diffusa16, suggeriva un impegno non episodico pure in tale ambito, ora

confermato dalla menzione di due dipinti «di mano del ens» raffiguranti «una cinghena» (ossia una zingara) e «un zogo da carte».

Simili scene di genere non erano una novità assoluta per la clientela della Sere- nissima: si possono ricordare, ad esempio, quelle dipinte da Johann Liss, autore – ugualmente oriundo della Germania – che operò a Venezia durante l’ultimo decennio della sua breve vita, conclusasi nel 163117. Il richiamo al pittore di ol-

denburg, ai fini del discorso, è davvero pertinente, in primo luogo poiché Bian- cosi si era affidato proprio alla stimata ed esperta mano di Heintz per la copia di una sua composizione, di cui l’inventario, purtroppo, tace il soggetto. In secondo luogo, a motivo di un foglio delineato da Liss in laguna con una farsesca Rissa

fra musicisti (Amburgo, Kunsthalle)18: le figure caricaturali che vi recitano sono

vicinissime ai faceti tipi umani consueti al nostro e, nel sostanziale riferimento alle stampe di Jacques Callot, palesano un’indiscutibile comunanza di modelli. Dall’elenco dei dipinti appartenuti al canonico di Torcello è inoltre possibile trarre una conferma ulteriore del carattere poliedrico e dell’ampia sfaccettatura tematica dell’arte heintziana. Accanto a due «imperatori grandi in tella a caval- lo», difficili da immaginare se non nel probabile richiamo a iconografie all’antica, sono segnalate una tela sacra con una figura isolata di San Giovanni, per la cui tipo- logia esiste se non altro il termine di paragone offerto dal San Gerolamo di Palazzo Pitti19, e una profana «Trolgia in tavolla». Quest’ultima, considerato che Trogia

16 Come repertorio, si faccia riferimento a I bassifondi del Barocco. La Roma del vizio e della mise-

ria, catalogo della mostra (Roma, Accademia di Francia - Villa Medici, 7 ottobre 2014 - 18 genna-

io 2015 / Parigi, Petit Palais, 24 febbraio - 24 maggio 2015), a cura di F. Cappelletti, A. Lemoi- ne, Milano 2014.

17 Tra le opere del primo periodo veneziano di Liss (1620-1622 ca.) vi sono scene quotidiane

come il Matrimonio contadino (Budapest, Szépmüvészeti Múseum), la Zuffa fra contadini (Norim- berga, Germanisches Nationalmuseum), il lascivo Figliol prodigo (Vienna, Akademie der bilden- den Künste) e, di più stretta affinità con i soggetti heintziani, il Gioco della morra (Kassel, Staatliche Kunstsammlungen). Per similitudine tematica, si ricordano anche disegni come il Gioco della mor-

ra al corpo di guardia (Honolulu, Academy of Arts) e l’Allegra compagnia con indovina (L’Aia, Mu-

seum Bredius). Cfr. R. Klessmann, Johann Liss. A Monograph and Catalogue Raisonné, Doornspi- jk 1999, pp. 41-48, 129-130, cat. 8, 163-165, catt. 30-31, 167-168, cat. 33, 175-176, cat. D 9, 177-178, cat. D 12.

18 Il disegno è corredato dell’iscrizione «Johan Liss. Holsacia. A. 1629 [già letto come 1621] / a

VeN[e]Z.»; ibidem, p. 177, cat. D 11.

19 M. Chiarini, Un «San Gerolamo» di Joseph Heintz il Giovane, in Per Carla Guglielmi. Scritti di al-

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era la consueta forma dialettale veneziana per la città di Ilio, può credibilmente essere interpretata come un Incendio di Troia, soggetto del quale resta almeno una versione nel catalogo del maestro20.

Senza dubbio la raccolta in esame, oltre a rappresentare una tangibile dichiara- zione di gusto, è una chiara estrinsecazione della personalità del collezionista, la cui vocazione religiosa si armonizza perfettamente a quella melodica: manifesta- zione della professione musicale sono infatti le tele con un Arpicordo e «una mu- sicha fatta dal Cavali, copia del Padovanino»21. Questo singolare soggetto, forse

immortalante un concerto o la scena di un’opera del celebre compositore Pietro Francesco Caletti, detto Cavalli22, dichiara la stima del musico Biancosi per il so-

dale, dal 1616, come lui, membro della Cappella Marciana, prima in qualità di cantore, poi di organista e, quindi, di maestro.

Al di là del legame privilegiato con la musica, la sfera dei sensi viene sollecitata in modo più intenso dalla presenza di due nature morte – un Gatto e un «quadro de frutti» – di mano di Francesco Mantovano, pittore che Marco Boschini elogia come «raro in fruti, e in fiori, in pessi, in animali, e cose tal»23. Accanto alle Vani-

tà, simboli del fascinoso allettamento della percezione, con menzioni di assoluto

interesse comparivano, infine, un San Francesco «original» del Prete Genovese e una Carità romana «di man di Ticianello».

Malgrado l’apparenza, le scelte collezionistiche di Biancosi, nel complesso intes- sute di un sensuale realismo, non paiono essere casuali, sottendendo un’articolata rete di conoscenze e frequentazioni. Tra il canonico e Joseph Heintz il Giovane doveva certamente sussistere uno stretto legame, tale da motivare, all’interno della raccolta, una così massiccia ricorrenza del suo nome. Proprio nella figura dell’artista tedesco, del resto, sembra possibile individuare il vero trait d’union con

tano almeno un’altra figura isolata di santo di mano dell’artista augustano: testando nel 1662, Giaco- mo Padoani lascia infatti alla figlia Antonia, cantante e compositrice, allieva di Francesco Cavalli, un «Sant’Antonio da Padova, fatto in casa del signor Giosef ens pittor a S. Polo»; C. Fontijn, Despe-

rate Measures. The Life and the Music of Antonia Padoani Bembo, New York 2006, p. 258.

20 Un quadro di tale soggetto è stato pubblicato da D. D’Anza, Joseph Heintz il Giovane “pittore

di più pennelli”, “Arte in Friuli Arte a Trieste”, 23, 2004, pp. 13-26: 16-17. Una seconda interpretazione

di Trolgia, anche se più faticosa, si potrebbe far risalire a una storpiatura del termine dialettale stro-

lega, ovvero astrologa/indovina, e quindi ricondurrebbe ai tipici ‘stregozzi’.

21 È utile ricordare che nel catalogo di Alessandro Varotari sono presenti alcune tele di sogget-

to musicale; U. Ruggeri, Il Padovanino, Cremona 1993, pp. 88, 122.

22 La prima opera di Cavalli, intitolata Le nozze di Teti e Peleo, fu messa in scena al teatro di San

Cassiano nel 1639.

gli altri maestri contemporanei, rispetto ad ognuno dei quali aggallano influenze, proficui motivi d’ispirazione e relazioni tutt’altro che superficiali.

Il nostro ad esempio, in virtù di alcune essenziali affinità in seno alla cultura nor- dica, risulta, come accennato in precedenza, immediatamente attratto dall’arte di Bernardo Strozzi, poi sviscerata attraverso la consuetudine dell’emulazione. Al- cune testimonianze documentarie riferiscono, infatti, di copie di mano di Heintz della Vanitas o Vecchia allo specchio (Mosca, Museo Puškin) del Cappuccino pre- senti nelle quadrerie di Ferdinando Carlo Gonzaga, ultimo duca di Mantova, e dei Manin24. Al di là delle condivisioni di gusto e delle suggestioni tematiche,

esistono inoltre puntuali vincoli di amicizia che rapportano l’artista augustano a Francesco Caldei, detto Mantovano, e Tizianello. Per il primo, la prova di familia- rità deriva dal lascito ad Heintz – nominato nel testamento come compare – di «un Christo in ottangolo di legno con sua cornice per segno d’amore»25; tale

riscontro rende facilmente ipotizzabile un influsso dello specialista lombardo sulla trattazione della natura morta ad opera del tedesco. La relazione con l’erede di Tiziano, infine, emerge da un dettaglio documentario finora trascurato: l’atto di battesimo di Daniel Heintz, figlio di Joseph, datato 8 luglio 1640, cita difatti in qualità di padrino «il signor Titian pitor della contrà di Sant’Aponal»26. Jürgen

Zimmer, l’unico ad essersi soffermato su questa notizia d’archivio, ha proposto di riconoscervi Antonio Tiziano27, pittore in attività dal 1684 all’inizio del Sette-

24 L’inventario della raccolta di Ferdinando Carlo Gonzaga, stilato a Padova nel 1709, cita in parti-

colare un «quadro senza soaza di quarte sette e quarte otto con due figure di vecchia che si guarda in specchio et due ragazze di mano di Giosef enz»; Raccolta di quadri a Mantova nel Sei-Settecento (Fon-

ti per la storia della pittura), Monzambano (Mantova) 1976, p. 67. Tale soggetto, evidentemente, coin-

cide con la cosiddetta Vecchia allo specchio del Museo Puškin di Mosca. Anche un libretto di spese di casa Manin, relativo al periodo 1709-1715, registra l’acquisto di due dipinti di Joseph Heintz il Giova- ne – quadri «con Vecchie et donna di Giosef enz dicono del Prete Genovese» – verosimilmente desunti da Bernardo Strozzi; M. Frank, Virtù e fortuna. Il mecenatismo e le committenze artistiche della

famiglia Manin tra Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, Venezia 1996, p. 356.

25 Francesco Mantovano è documentato a Venezia dal 1636. Il suo testamento, datato 1663, è

stato reperito da I. Cecchini, Per l’identificazione di Francesco Mantovano, “Arte Veneta”, 63, 2006, pp. 184-190: 188.

26 Il documento è stato reso noto da L. Longo, Das Testament des Daniel Heintz vom 26. Novem-

ber 1709, “Jahrbuch des Zentral Instituts für Kunstgeschichte”, 1, 1985, pp. 419-422: 420.

27 J. Zimmer, Heintz, Daniel Domenico, in De Gruyter. Allgemeines Künstler-Lexikon, 71, Berlin-Boston

2011, pp. 239-240: 239. È bene qui rettificare la notizia di un’ulteriore paternità attribuita a Joseph Heintz il Giovane, ovvero quella del pittore Amadio enz, attivo a Venezia e Mantova tra fine Seicento e pri-

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