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Sono in molti gli studiosi che vedono al giorno d'oggi, con l'ingresso nel terzo millennio, la postmodernità come una stagione ormai conclusa. I diversi aspetti che caratterizzavano la società e la cultura dell'esperienza postmoderna - su tutti il categorico rifiuto di una prospettiva progressista e l'abbandono di una qualsiasi profondità storica - lasciano ora spazio ad una nuova società e a un'inedità concezione culturale, alla quale lo studioso statunitense Henry Jerkins fa riferimento usando un nuovo termine che otterrà una notevole fortuna nei successivi studi sui nuovi media, ossia il concetto di convergenza.

Nel suo fondamentale saggio dal titolo Cultura convergente, Jerkins definisce questo fenomeno come «il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell'industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento», descrivendo «i cambiamenti sociali, culturali, industriali e tecnologici portati da chi comunica e da ciò che pensa di quello di cui parla».88 La sua attenzione si concentra sui più svariati campi del panorama mediale contemporaneo e attraversa ambiti che comprendono il mondo dei reality show americani (Survivor, American Idol), la letteratura giovanile (Harry Potter) e, naturalmente, il cinema (le saghe di Matrix e Star

Wars); testimoniando come l'attenzione dedicata dai cultural studies ai prodotti

della cultura di massa, inaugurata in epoca postmoderna, sia oggi fondamentale per capire appieno la società in cui viviamo.

Jerkins riassume il carattere dei nuovi media contemporanei elencando otto caratteristiche fondamentali che, come vedremo, interessano anche il cinema. Il paesaggio dei media (e del cinema) contemporanei è, secono lo studioso statunitense: innovativo, convergente, quotidiano, interattivo, partecipativo,

globale, generazionale, ineguale89.

Ed è proprio il carattere innovativo di questo nuovo contesto culturale che ci permette di prendere atto del fatto che il fenomeno della cultura convergente non sia altro che l'inevitabile conseguenza del continuo ed esponenziale sviluppo delle tecnologie digitali e le infinite possibilità delle quale oggi tutti noi disponiamo grazie ad internet. L'ingresso del digitale infatti, come abbiamo accennato nel capitolo precedente, pone lo scenario cinematografico a confrontarsi con una serie di considerevoli innovazioni che, investendo il film in tutte le sue fasi di creazione – dalla pre alla post-produzione, fino alla distribuzione - ci obbligano ad adottare un nuovo approccio e un'inedita concezione dell'oggetto cinema. Come ha infatti osservato Luca Malavasi, fare un film e andare al cinema oggi sono esperienze del tutto diverse rispetto anche solo a pochi decenni fa,90 vedendo il 1999 come momento cardine di questo cambiamento. Il 1999 infatti, si rivelerà un anno fondamentale per il delinarsi della società e del cinema che oggi conosciamo: segna idealmente il passaggio tra due millenni (in realtà il secondo millennio dura

89 Cfr. Ivi, pp. 318-324.

90 Cfr., L. Malavasi, Realismo e tecnologia. Caratteri del cinema contemporaneo, Kaplan, Torino, 2013, pp. 13-18.

fino al 31 dicembre dell'anno 2000) e coincide con l'uscita nelle sale di un film che proietta il cinema nell'era della convergenza.

Matrix (The Matrix, 1999) dei fratelli Wachowski infatti, è l'esempio ideale per

capire come la strategia convergente abbia radicalmente influenzato le pratiche cinematografiche del contemporaneo. Tralasciando volontariamente l'analisi della trama, tutto sommato abbastanza canonica; in prima istanza va ricordato che quando si parla di Matrix, non si parla "solo" di un film. L'opera dei Wachowski nasce di fatto per essere, contemporaneamente: un film per la sala (al quale seguiranno i due sequel entrambi del 2003, Matrix Reloaded e Matrix Revolution), un Dvd per la fruizione domestica con accesso a numerosi contenuti extra, una serie di cortometraggi animati (Animatrix), un videogame per console domestica (Enter the Matrix), un gioco on-line (The Matrix Online) e una serie di fumetti (The Matrix Comics).91 Siamo di fronte a quello che Jerkins descrive come

narrazione transmediale, cioè «l'insieme di storie che si dispiegano su più

piattaforme mediatiche e per le quali ciascun medium coinvolto dà il suo contributo specifico alla nostra comprensione del mondo narrato».92 Lo "spostamento" da un medium ad un altro, quindi, non ripropone lo stesso intreccio narrativo del film; il videogame Enter the Matrix ad esempio non ci offre la possibilità di vestire i panni di Neo ricalcando gli avvenimenti che abbiamo già "vissuto" al cinema; bensì, dovendo scegliere se interpretare un personaggio tra Niobe e Ghost (due personaggi che nel film hanno un ruolo secondario), seguiremo parallelamente le vicende di Matrix Reloaded, ottenendo differenti

91 Cfr., Ivi, p. 22.

punti di vista e accesso ad informazioni inedite, che nel film non vengono mostrate. Lo stesso discorso vale per la serie a fumetti e i cortometraggi. Si viene così a creare un vero e proprio universo infinito col quale ogni spettatore ha differenti tipologie di approccio: il fan accanito si adopererà per coprire il più possibile la conoscenza di tale universo, lo spettatore occasionale invece può benissimo accontentarsi di una fruizione più standard e meno partecipativa.

Abbiamo in precedenza accennato come il ruolo fondamentale dello sviluppo tecnologico, dalla digitalizzazione dei contenuti alla sempre più capillare diffusione di Internet, comporti significative mutazioni all'interno del panorama mediale contemporaneo, sia dal lato della produzione, sempre più orientata verso la realizzazione di contenuti multi-canale, sia dal alto della fruizione. Secondo Guglielmo Pescatore, inoltre, le nuove tecnologie hanno reso via via sempre più labile e indefinito il confine tra questi due fattori, dando la possibilità all'audience

– per la prima volta – di interagire direttamente coi prodotti dell'industria

culturale.93 Il caso più estremo di interazione attiva del pubblico si ha col fenomeno della fan-fiction e cioè a quell'insieme di opere "non ufficiali" realizzate dai fan per espandere l'universo narrativo di un determinato prodotto culturale. Prendiamo come esempio ancora una volta la saga cinematografica di Star Wars. L'opera di Lucas, oltre che essere (al pari di Matrix) un perfetto esemplare di "oggetto crossmediale" occupando i più svariati settori divulgativi – dal cinema ai videogames, passando per la letteratura e le serie animate – conta un numero spropositato di appassionati. L'insaziabile fame di storie dei fan ha portato alcuni

93 Cfr., G. Pescatore, Convergenza digitale e nuove forme culturali, in M. Fadda (a cura di),

di essi a realizzare, coi pochi mezzi a loro disposizione, dei cortometraggi amatoriali ambientati all'interno dell'universo lucasiano con lo scopo di omaggiare la saga tanto amata, espandendone l'universo finzionale.94

Si delinea quindi una nuova dimensione spettatoriale più partecipativa in cui «il rapporto di esclusivo dominio da parte di pochi soggetti industriali nella costruzione di narrazioni non è più tale e in cui [...] la possibiltà di accedere allo

storytelling si è ampliata e atomizzata, giungendo a una sorta di transitoria

democratizzazione dell'accesso al mondo del racconto».95 Si ha come la sensazione che quel "ritorno alla narrazione" di marca postmoderna abbia raggiunto oggi proporzioni difficilmente gestibili per i canoni del passato, dando vita alla costruzione di vari racconti-mondo che oltrepassino i confini del racconto stesso, che rimangano costantemente aperti, in un costante stato di estensione e malleabilità.96

Il cinema non basta più. Il numero di contenuti ed immagini alle quali si deve attingere per proseguire la nostra esperienza spettatoriale è troppo alto per poter essere contenuto nel "limitato" spazio-cinema. Ecco allora che le immagini e i contenuti approdano in nuovi lidi mediatici: la televisione, oltre che continuare il suo processo di "cinematografizzazione" iniziato già negli anni 80 grazie al "potenziamento" della pay per view e dell' home theater, inizia ad ospitare contenuti dalla forte componente cinematografica – serie tv come 24 (Id., 2001- 2010), Lost (Id., 2004-2010), Breaking Bad – Reazioni collaterali (Breaking Bad,

94 In Cultura convergente Jerkins dedica un intero capitolo all'ampia analisi del fenomeno della

fan-fiction di Star Wars, concentrandosi anche sulle controversie legali tra Lucas e i fan. A tal

proposito si rimanda a H. Jerkins, Cultura convergente, cit., pp. 131-178. 95 F. Marineo, Il cinema del terzo millennio, cit., p. 53.

2008-2013) e True Detective (Id., 2014-); il computer, meta-medium che ingloba in sé tutti i mezzi di comunicazione precedenti, mediante le strategie dello

streaming e del peer to peer, sta profondamente rivoluzionando le pratiche

produttive e distributive; i nuovi mezzi di comunicazione portatili come smartphone e tablet danno infine la possibilità di accedere a qualsiasi contenuto, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.

Ad una prima analisi dunque il cinema sembra aver perso la centralità mediatica che aveva nel secolo scorso, quella centralità che ha portato Francesco Casetti a definirlo come "occhio del Novecento" e che ora sembra essere occupata da altri media. Ma è lo stesso Casetti a sottolineare il fatto che oggi, quando parliamo di cinema, non dovremmi più fare riferimento al cinema così come lo conosciamo perché, «se sono cambiati il tempo e lo scenario, anche il cinema è cambiato. A tal punto da non essere più lo stesso, ma altra cosa».97 Lo studioso italiano riassume in tre "grandi sfide" le grandi trasformazioni che hanno portato alla configurazione di quello che chiama Cinema due: la prima riguarda le nuove modalità di produzione di immagine filmiche che fanno a meno del dispositivo fotografico, e cioè quelle immagini digitali che abbiamo già incontrato e sulle quali torneremo nel paragrafo successivo; la seconda interessa le nuove pratiche di fruizione e di consumo che non prevedono il passaggio per la sala cinematografica; la terza, che ingloba le prime due, è legata allo sviluppo di un nuovo paesaggio mediale, in seguito all'esplosione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

97 F. Casetti, L'occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano, 2005, p. 295.

Concentriamoci ora sul secondo punto, e cioè sulla nascita di nuove esperienze spettatoriali. Le pratiche di visione e le modalità di fruizione hanno subito durante gli anni, in campo cinematografico ma non solo, vari cambiamenti e ridefinizioni, il più delle volte dipendenti dai continui progressi della tecnologia; si pensi all'introduzione del sonoro, all'avvento del colore o allo sviluppo di sale con schermo panoramico. Piccole e grandi rivoluzioni che però non hanno mai intaccato il carattere fondamentale, in quanto istituzionalizzato, dell'esperienza filmica, quello che la identifica come una forma di collettività. Con la sua "istituzionalizzazione", a partire dagli anni Dieci, il cinema viene gestito appunto come un' "istituzione sociale", attraverso un complesso ordine di regole che ne definiscono oggetti, comportamenti e aspettative.98 In questo modo si viene a delineare una precisa esperienza spettatoriale, strettamente legata ai luoghi della visione, alla sala cinematografica; quel luogo che, «costruito per raccogliere la folla e insieme per favorire la concentrazione sullo schermo, oltre che per creare degli echi rispetto al mondo raccontato dal film»,99 permette allo spettatore di vivere la duplice esperienza di una situazione reale e irreale, in cui egli continua a muoversi nell'universo quotidiano condiviso con gli altri spettatori, e insieme vive anche in quel mondo straordinario offertogli dal film. In definitiva: «l'andare al cinema e il riunirsi ad altri spettatori sono mirati al fatto di attivare uno sguardo (e un ascolto) capace di afferrare la vicenda raccontata e di portarci a viverla».100 Le cose iniziano a cambiare radicalmente a partire dagli anni Ottanta, con

98 Cfr. F. Casetti, Andar per film. Breve storia dell'esperienza cinematografica (Prima parte), «Duellanti», 44, (2008), p. 107.

99 Ivi, p. 108. 100Ivi.

l'emergere di significative "alternative" alla sala cinematografica tradizionale, come ad esempio i multiplex e le inedite possibilità di accesso fornite dal mezzo televisivo. Non solo la televisione diventa un veicolo abituale per la visione di film, ottendo anche una discreta autonomia produttiva, ma grazie all'introduzione di un nuovo supporto, il nastro magnetico, da la possibilità ad ogni spettatore di "spostare" l'esperienza visiva cinematografica dalla sala al salotto domestico. Casetti vede in questa ri-locazione dell'esperienza filmica un fenomeno più radicale rispetto a quello della ri-mediazione,101 e cioè la rappresentazione di un medium all'interno di un altro medium secondo un meccanismo reciproco di scambio e influenza, in quanto «prima della ricodifica di contenuti grazie a dei supporti evoluti, c'è l'avanzare di nuovi impianti spaziali, e con essi di inedite condizioni di visione».102

Se si vogliono trovare delle cause che hanno portato alla ri-locazione delle pratiche di fruizione, alla già citata rivoluzione tecnologica e digitale, va aggiunto il necessario appagamento di due bisogni fondamentali: il primo legato ad un'esigenza di espressività che incoraggia l'individuo contemporaneo a porre la propria identità al centro dell'esperienza spettatoriale; il secondo, di carattere

relazionale, induce il soggetto sociale alla creazione di nuove reti sociali. Il

bisogno di soddisfare queste due fondamentali esigenze delinea il cinema come un medium inadeguato e obbliga lo spettatore a preferire altri media, altri luoghi. Il cinema, di conseguenza, ha dovuto adeguarsi. "Abbandonato" il suo luogo tradizionale, la sala cinematografica, i film allarga i propri confini, invade altri

101Cfr. M. Fadda, Il cinema contemporaneo, cit., p. 26.

102F. Casetti, Andar per film. Breve storia dell'esperienza cinematografica (Seconda parte), «Duellanti», 45, (2008), p. 107.

campi espressivi, è ovunque. Oggi possiamo vedere un film in sala, in casa mediante home theater, all'aperto in occasioni di proiezioni estive, in treno sullo schermo del nostro telefonino o del nostro tablet; possiamo vedere un film in silenzio e al buio, mentre mangiamo o cuciniamo, mentre parliamo seduti sul sedile posteriore di un auto. Questa serie di cambiamenti ha portato in molti a pensare ad una sostanziale perdità d'identità del cinema, ad uno smarrimento della sua specificità e al passaggio da un regime esperienzale di tipo filmico verso uno di tipo mediale. Affidandoci ancora una volta alle attente parole di Francesco Casetti possiamo in realtà sostenere che, seppur adattandosi ai dettami della nuova cultura convergente, il cinema conserva la sua specificità di esperienza filmica: «adesso che il cinema si trova ad intervenire in nuovi ambiti, ecco che riesce a "contaminare" lo spazio attorno a sé con la propria presenza [...], conquista nuovi ambienti, li marca con la propria presenza, li "cinematografizza" – e insieme si scioglie in essi».103 Il mantenimento dell'identità filmica deriva dalla costruzione di quelle che Casetti chiama "bolle" autosufficienti in cui il cinema si rinchiude abolendo eventuali elementi estranei, permettendogli di astrarsi dall'ambiente: quando guardiamo un film viaggiando su un treno, la "bolla" si attiva isolandoci dalla realtà che ci circonda, senza farci comunque dimenticare di essere in viaggio.104

In definitiva si può affermare che oggi, nonostante le numerose rivoluzioni che abbiamo visto, si può ancora parlare di esperienza filmica, per quanto questa sia notevolmente cambiata. Se in passato era caratterizzata e portata avanti da uno

103F. Casetti, L'esperienza filmica e la ri-locazione del cinema, «Fata Morgana», II, 4, (2008), pp. 28-29.

spettatore passivo che si limitava ad assistere ad uno spettacolo, ora l'esperienza filmica si fa più personalizzata, si deistituzionalizza, dandoci una maggiore libertà interattiva; non viene più vista come una pratica esclusivamente collettiva divenendo sempre più inter-individuale e mantenendo comunque la sua specificità. Perché, finché lo spettatore avrà ancora la possibilità di vedere film, il cinema lo costringerà ad aprire occhi e orecchie, «per spingerlo a non gestire semplicemente la sua "nuda vita" di spettatore, ma a darle un senso e una sensibilità».105

Si è fin qui presa in considerazione soprattutto la nuova figura di spettatore cinematografico che, allontanandosi dal tradizionale spazio della visione della sala, "insegue" lo spostamento delle immagini filmiche nei nuovi medium che le innovazioni tecnologiche gli mettono a disposizione. Vediamo ora come la sala cinematografica in sé risponde, cercando di resiste, a questo inedito cambio di paradigma. Perdendo il suo legame di identificazione col cinema106 e sentendosi in qualche modo "abbandonata" tanto dai film quanto dal pubblico, la sala cinematografica cerca di far fronte a questa crisi, a questo senso di solitudine, principalmente in due modi: da una parte, già a partire dagli anni Ottanta, riorganizza i suoi spazi proponendo una maggior varietà di contenuti distribuiti in sale più piccole, come nel caso dei multisala, assecondando così sia la varietà di gusti, sia il bisogno di intimità richiesti dallo spettatore contemporaneo; dall'altra parte, con una tendenza sempre più frequente in questi ultimi anni, comincia ad ospitare al suo interno spettacoli appartenenti a realtà differenti rispetto a quella

105Casetti, Andar per film. Breve storia dell'esperienza cinematografica (Seconda parte), cit., p. 109.

cinematografica: concerti in diretta satellitare, spettacoli teatrali, iniziative legate al mondo dell'arte figurativa e intere serie televisive di successo.107

È evidente quindi che i mutamenti ai quali il cinema è oggi esposto investono tanto i suoi contenuti, quanto le modalità di organizzazione di questi ultimi. Per concludere questa rapida panoramica sui cambiamenti che hanno ridisegnato un nuovo modo di fare film e di andare all cinema portati dalla nuova cultura della convergenza, anticipiamo un quesito che si rivelerà centrale nel paragrafo successivo: quella vissuta dal cinema in età contemporanea si può definire una vera e propria rivoluzione, o si tratta più "semplicemente" di un'inevitabile riforma? Se infatti la dispersione del cinematografico all'interno di altri linguaggi e altri media ha fatto sorgere un sempre più forte sentimento di inadeguatezza, il cinema è riuscito – o sta cercando – a ridisegnari e a ripensarsi, si pensi per esempio alle nuove strategie produttive adottate in favore di una più diffusa e inedita serialità, in risposta all'enorme successo di serie televisive dal potenziale cinematografico sempre più marcato.108 La tanto temuta morte, con la quale il cinema si confronta praticamente da quando è nato, sembra dunque essere ancora molto lontana; non va infatti dimenticato, e le parole di David N. Rodowick ce lo ricordano, che «il cinema e la sua preistoria sono i progenitori dei nuovi media» e che, «come risultato del suo successo centenario, il cinema – che è stato un'accessibile, immensa e diffusissima forma culturale – detiene una posizione di

107Si prendano come esempio la proiezione nelle sale di eventi come l'ultimo concerto dei Grateful Dead, tenutosi a Chicago il 6 Luglio 2015 e celebrato nei cinema di tutto il mondo mediante la diretta via satellite; così come la reunion dei Monty Python dal palco dell'O2 Arena di Londra del 20 Luglio 2014; o ancora il passaggio cinematografico dei dodici episodi che compongono la serie tv italiana di successo Gomorra, tratta dall'omonimo film di Garrone. 108Per una più approfondita analisi sui rapporti tra serialità cinematografica e telefilm si rimanda

supremazia culturale in relazione al nostro concetto di immagini-in- movimento».109

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