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La vicenda di Hors champ ruota attorno alla metafora dello sguardo, un tropo che, a nostro avviso, sembra agire su un doppio binario: da un lato esso si svela attraverso lo sguardo interiore del protagonista e quello rivolto al mondo circostante, dall’altro per mezzo di una graduale «cecità» della quale sono vittime i personaggi secondari che manifesteranno nei confronti di Aurélien una sempre più crescente indifferenza. L’unico a non essere travolto da questa totale noncuranza nei riguardi del protagonista sarà Joël il quale, grazie ad una condizione che lo fa vivere «à fleur de mouvement, de parole, de mémoire» (HC, p. 21), sarà in grado di cogliere ciò che si colloca oltre i limiti del visibile.

L’incontro tra Aurélien e il cosmo avviene per mezzo di alcuni strumenti di visione indiretta che gli consentono di entrare a stretto contatto con ciò che lo circonda; il primo è rappresentato da un binocolo con il quale l’uomo, estasiato, osserva il cielo e gli astri: «Lorsqu’il retournait se coucher après un long face-à- face avec la lune, Aurélien avait les yeux brouillés de lueurs laiteuses, et l’esprit apaisé» (HC, p. 37). Tuttavia, il senso di beatitudine che Aurélien prova di fronte alla contemplazione dell’universo viene presto infranto dalla costruzione di un enorme palazzo che non solo ha ostruito la vista delle stelle e della luna, ma ha anche modificato, a causa delle insegne luminose, il colore della notte. Il grigio che ha soppiantato il nero del cielo notturno è simile a quel colore cinereo che ha investito la sua ordinaria esistenza, piegata ai ritmi frenetici della vita moderna:

Toutes les nuits se ressemblent, et il en va de même avec les jours de la semaine, tous devenus ouvrés, indifférenciés. Les semaines n’ont plus ni commencement ni fin, et chacun suit comme il peut le rythme qui lui est imparti. Aurélien a l’impression d’être en déséquilibre continuel tant dans sa relation à l’espace que dans celle au temps. Du coup, rien ne va plus entre le sommeil et lui, un épuisant jeu de cache-cache et de rendez-vous ratés s’est mis en place. (HC, p. 38)

Attraverso l’itinerario à rebours compiuto, suo malgrado, da Aurélien (percorso che lo condannerà ad uno stato di invisibilità) la narratrice sembra

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meditare sulla condizione di solitudine che investe l’esistenza dell’uomo postmoderno: i numerosi segnali simbolici disseminati nel corso del cammino del protagonista, e i cui significati si sveleranno nell’evolversi del romanzo, suggeriscono difatti una chiave di lettura che sembra andare in questa direzione. Uno dei primi indizi è rappresentato dalle strofe «rubate» da Aurélien durante il suo viaggio in metro dalle pagine di un libro appartenente ad una giovane passeggera: si tratta di alcuni versi del poeta giapponese Issa che profetizzano la condizione di alienazione che Aurélien si ritroverà a vivere, versi che preannunciano l’uscita finale dell’uomo dalla memoria dei suoi familiari e che la narratrice sceglierà di inserire a mo’ di clausola nelle ultime pagine del romanzo: «Un homme tout seul/ et seule aussi une mouche/ dans la grande salle» (HC, p. 44 e p. 197). Inoltre, lo stato di emarginazione vissuto da Aurélien si esplica nella difficoltà che il protagonista avverte di fronte all’evocazione di parole che possano rinviargli l’aridità affettiva che sta inghiottendo la sua esistenza. È quello che avviene quando, mancata la possibilità di ottenere un posto a sedere in un cinema, Aurélien si mette a leggere la scheda tecnica del film di cui ha perso la visione:

«It’s a wonderful life.» Une phrase tirée des dialogues est mise en exergue sous le titre : «each man’s life touches so many others lives, and when he isn’t around, he leaves an awful hole.» Il la relit trois fois sans bien la comprendre, car le dernier mot lui échappe. «Hole, hole…», se répète-t-il ; il sait qu’il le connaît pourtant, il a sa traduction sur le bout de la langue… «hole, hole… » mais à force d’hésiter en sautillant dans sa bouche, ce mot finit par se transformer en un autre : «hoax… », ce qui gauchit bizarrement le sens de la phrase. […]

Alors qu’il se dirige vers la station de métro, il pile au milieu du trottoir et se tape le front en s’écriant à mi-voix : «Trou !... » […] «Trou, bien sûr, se répète-t-il, soulagé d’avoir retrouvé la traduction du mot “hole”. Quand quelqu’un manque, il laisse un trou terrible… » (HC, pp. 56-57)

Il buco nero che sta inghiottendo la vita di Aurélien si riflette, inoltre, nell’incapacità dell’uomo di ricordare i suoi sogni: il protagonista si sveglia con

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una sensazione di vuoto profondo, un «chagrin d’enfant» (HC, p. 61) che, tuttavia, non riporta alla memoria alcuna immagine onirica che possa in qualche modo spiegare il senso d’abbandono di cui è invasa la sua anima. A tale «sentiment de vide, de nullité, d’abandon» (HC, p. 67) interiore corrisponde l’avanzante sfocatura della sua immagine che assume dei contorni sempre più indefiniti, fino a perdere completamente di visibilità. Per indicare l’involuzione che ha colpito la figura di Aurélien, l’autrice ricorre ampiamente alla metafora dello specchio. Come ha affermato Évelyne Thoizet, nei romanzi di Sylvie Germain questo oggetto simbolico produce un effetto di dispersione:

dispersion du monde en de multiples reflets, dispersion de l’âme du personnage en divers éclats jusqu’à la perte de soi, l’effacement, la disparition. […] Les personnages de Sylvie Germain donnent de très nombreux exemples de cet éclatement de l’âme en de multiples reflets que sont d’abord la conscience et la mémoire. En se dédoublant dans le miroir, le personnage accède à la conscience de soi mais continue à se disperser jusqu’à l’effacement, d’où la méfiance pour les miroirs qui sont aussi bénéfiques que dangereux.47

La progressiva scomparsa dell’immagine che la superficie riflettente rinvia al protagonista corrisponde a quella dalla memoria dei suoi conoscenti: lo specchio diventa così lo strumento attraverso il quale Aurélien prende coscienza della perdita di se stesso. Per la scrittrice l’esistenza umana è, difatti, garantita soltanto attraverso un riconoscimento da parte dei nostri simili: «on ne meurt pas complètement tant qu’il reste au moins un vivant pour se souvenir de vous – de qui vous étiez, que vous avez existé – quand vous-même avez disparu» (HC, p. 24).

La scrittrice affida inoltre alla fotografia il compito di simboleggiare la progressiva dissoluzione alla quale è condannato Aurélien, un destino inesorabile che si protrae fin dalla memoria delle sue origini: non esiste difatti alcun oggetto e/o immagine fotografica che possa far riemergere il ricordo degli antenati né

47 Évelyne Thoizet, Des éclats de miroir au miroir du livre, in Alain Goulet (sous la direction de), cit., pp. 200-201.

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quello paterno, un uomo che ha assunto agli occhi del protagonista le sembianze di un mito. I ritratti di famiglia vengono così sostituiti da cornici che contengono al loro interno foglie di piante o sfondi vuoti, segni di un passato irrimediabilmente perduto o mai conosciuto:

Sur le buffet sont alignés des cadres de tailles et de formes diverses, tous en loupe de bois blond. C’est la galerie de portraits de la famille. Mais cette collection est singulière, certains cadres ne contiennent aucune photographie, celle-ci ayant à jamais disparu ou bien n’ayant jamais été prise ; ainsi en est- il pour ses grands-parents Szczyszczaj, Jadwiga et Zbigniew, dont aucun objet, aucun souvenir, aussi anodin soit-il, n’a été sauvegardé, et pour l’homme «entre chien et loup», son géniteur follement aromatique, et volatil comme il sied à tous les parfums. Aux deux premiers est consacré un grand ovale présentant deux anémones séchées derrière le sous-verre, l’homme- odeur, lui, a reçu un encadrement rond encerclant un fond nu d’une couleur indéfinie, moirée. (HC, pp. 138-139)

Mentre Aurélien osserva la foto in cui è stato immortalato insieme alla madre e a Balthazar, il protagonista nota che la sua immagine è nebulosa: «son visage est réduit à une tache ovoïde, brun roux» (HC, p. 140). Questo particolare preannuncia la caduta definitiva nell’oblio di Aurélien che si realizzerà nelle pagine conclusive del romanzo, quando la sua figura sparirà definitivamente dalla galleria fotografica e dalla memoria dei suoi cari.

Alla trasformazione della silhouette del protagonista in un essere «flou comme une photo ratée» (HC, p. 49) che segnala l’indebolimento metaforico che ha colpito la vista dei personaggi, si accompagna un annichilimento degli altri sensi. Clotilde, la donna amata da Aurélien, sembra non ascoltare i messaggi vocali che il fidanzato le lascia sulla segreteria telefonica e, successivamente, non presta alcuna attenzione alle parole del suo compagno; la madre di Aurélien non riconosce la voce del figlio al telefono e i colleghi lo relegano in una posizione sempre più marginale fino ad ignorarlo totalmente. Lo stesso Aurélien è investito da un senso di nausea che, progressivamente, gli fa perdere l’appetito, un malessere che sembra suggerire l’impossibilità del protagonista di assaporare a

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pieno il gusto della vita:48 «la sensation de faim et de froid qui l’avait saisi au réveil se redéploie dans son ventre et ses membres par petites ondes, et dans la foulée, un goût de désolation, très fade, commence à poindre en lui» (HC, p. 66).

Come è avvenuto per Ludvik, il protagonista di Éclats de sel, e per Nuit d’Ambre, il cammino di Aurélien si incrocerà con quello di alcuni personaggi- chiave che contribuiranno ad una riflessione sulla miseria della condizione umana. Tuttavia, in Hors champ la funzione svolta da tali personaggi opera in maniera inversa: se, da un lato, il loro incontro permetterà ad Aurélien di riportare alla mente alcuni pezzi sparsi del puzzle della sua memoria, è il protagonista stesso che tenta di risvegliare il sentimento di umanità che i suoi conoscenti sembrano aver inesorabilmente perduto. Esemplare a questo proposito è il dialogo tra Aurélien e Maxence il quale, rifacendosi al pensiero filosofico pascaliano, esprime tutta la sua sfiducia nel genere umano e la sua rassegnazione ad un’esistenza insipida:

«Condition de l’homme: inconsistance, ennui, inquiétude», constatait Pascal. Je remplis pleinement cette condition ! Oui, nous sommes de foutues chimères, de sombres cloaques d’incertitude et d’erreur, des rebuts de l’univers… – Tu tronques la citation, rectifie Aurélien, Pascal qualifie aussi l’homme de nouveauté, de prodige, et de gloire de l’univers, non ? – Je lui laisse ses admirations et ses extases, faute de les partager, je ne retiens de lui que ses constats glacés. Il avait le génie de l’observation et l’art de la formule, un tranchant de scalpel ! Il a très bien compris les ressorts et l’utilité du divertissement, que, d’ailleurs, il ne condamne pas. Sans les piments des distractions et des amusements en tout genre, nous crèverions de fadeur, nous étoufferions d’ennui. Mais quel boulot que de préserver, et si possible de renouveler la saveur des piments : la fadeur du monde est si poisseuse, et l’ennui tellement sournois, coriace. (HC, p. 68)

Di fronte a questa visione pessimistica, Aurélien tenta di sollecitare il risveglio del collega al ricordo di un’emozione infantile che possa provare la

48 «L’effacement de Hors champ c’est une façon de retraduire ce qui se passe dans le monde autour: perte des connaissances, des valeurs et des saveurs». Sylvie Germain, Festival Lettres d’automne, cit.

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grandezza della condizione umana ma, in seguito all’evocazione di un episodio licenzioso che ha segnato la sua adolescenza, Maxence non fa altro che celebrare l’attrattiva voyeuristica esercitata dalla carne sullo sguardo. Attraverso questo cinico personaggio, la scrittrice sembra così delineare l’archetipo dell’uomo contemporaneo, sedotto dai piaceri di una vita materiale che non lascia alcuno spazio alla ricerca spirituale.49

Il dialogo tra i due non ha destato in Maxence una riflessione sulla sua esistenza consacrata all’effimero, ma ha tuttavia aperto una breccia nella memoria del protagonista. La visione di un quadro di Courbet, Château de Blonay, al quale Aurélien risale dopo aver cercato l’immagine del ben più noto dipinto del pittore (si tratta di Origine du monde la cui visione aveva totalmente rapito lo sguardo del collega), consente all’uomo di riportare in vita i ricordi della sua infanzia e di resuscitare tutti quei sensi (la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto) che si stanno lentamente sottraendo alla sua percezione. Germain sceglie così di affidare nuovamente all’immagine una funzione mnemonica che non solo fa riaffiorare il ricordo di una scena che si è svolta nel passato, ma contribuisce alla rinascita di sensazioni ormai perdute:50

Il a trois ou quatre ans, il glisse le long d’une pente, blotti contre sa mère sur une luge. […] C’est la première fois qu’il voit la neige, la touche, la sent. […] La clarté du jour est étrange, elle poudroie, soyeuse et cendrée, il n’en a jamais vu de semblable. […] Sa mère resserre son étreinte et lui chantonne à l’oreille sa ritournelle dont les drôles de mots sonnent si joliment : «Biedroneczko lec do nieba, przynies mi kawalek chleba.» […] Et monte en lui l’odeur de la neige. […] Lumière aux brusques volte-face, étincelante puis ombreuse, tantôt bleutée, tantôt pailleuse, ou rosâtre. Tout a le vif et la saveur du froid. […] Là où s’enlacent l’oubli et la mémoire pour produire un

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«Gloire de la chair, puis dégringolade de la chair en carne, et de là en charogne, laquelle fertilise l’humus, et la ronde continue. Gloire éphémère et perpétuelle, en millions, en milliards d’éclats. Il n’y a pas d’autres révélation, pas d’autre vérité que celle-là. Courbet a peint là une Apocalypse tranquille, tragique et voluptueuse, il a…» (HC, p. 73)

50 «Par les sens, non seulement les lieux, les maisons, les personnages, renaissent et viennent bousculer le présent, mais aussi toute la vie de famille. Ils rappellent ses activités les plus anodines, les plus familières. Ils font revivre des assauts de bonheur ou de détresse. Sursauts. Brusques frémissements. La mémoire involontaire est souveraine. Elle peut dérouter, bouleverser. Mémoire de tous les risques». Anne Muxel, op. cit., p. 112.

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souvenir flottant qui hante en sourdine les sens, le cœur, les rêveries, continuellement, et qui cependant manque toujours, échappe à tout rappel, s’évapore – sauf en de rares instants, comme celui-ci, où le souvenir-fantôme surgit, sans crier gare, net et puissant, bouleversant.

Il rouvre les yeux, un peu ahuri d’avoir vagabondé si loin dans son enfance et de s’en expulser brutalement. […] « Aucun parfumeur ne parviendra à recréer cette odeur, conclut-il, elle est composée de très grands

riens – de vent, de clarté froide, d’espace, de neige, – et d’un je-ne-sais-quoi

unique, inimitable – un petit pan de peau très fine, une goutte de tiédeur, la grâce de la vie. Aucun, jamais, et c’est tant mieux.» (HC, pp. 78-81)

La rinascita dei sensi che porta Aurélien a rivivere i momenti più felici della sua vita (la vista della neve, gli attimi di tenerezza legati alla madre, il primo incontro con Clotilde) si scontrerà tuttavia con lo stato di indifferenza al quale l’uomo è condannato nel presente e con la «perte de vitesse» (HC, p. 92) in cui sono imprigionati i suoi affetti. La distanza sempre più evidente che si stabilisce tra Aurélien e i suoi cari risponde all’aridità che si sta facendo spazio nell’animo dei personaggi, assoggettati ad un freddo interiore in grado di paralizzare i loro pensieri e le loro parole. Se, come sostiene Valérie Michelet Jacquod, nella scrittura germainiana «réconcilier l’homme et le logos, c’est avant tout réconcilier le sujet avec sa mémoire»,51 nella perdita simbolica del logos di cui lo stesso Aurélien è vittima si può allora identificare il fallimento di una riconciliazione del protagonista con il proprio passato e, soprattutto, con il suo presente.

Un ulteriore indizio della sorte che attende Aurélien è rappresentato da un riferimento intertestuale che la narratrice sceglie di inserire nel romanzo, innalzandolo a simbolo della solitudine che sta letteralmente inghiottendo la vita dell’uomo: si tratta de «La bille de glace» di Roger Grenier (HC, pp. 100-102).52

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Valérie Michelet Jacquod, Les mots dans les romans de Sylvie Germain, in Alain Goulet (sous la direction de), cit., p. 121.

52 «En une poignée de pages, l’auteur raconte, d’un ton sobre, la dégradation progressive d’une jeune fille aux beaux yeux noirs, Irène, vive comme “la Chèvre de Monsieur Seguin”, en femme obèse et apathique dont l’unique occupation, la passion forcenée même, est l’entretien d’un congélateur géant, très sophistiqué, qu’elle a fait aménager dans son arrière-cuisine. Cette chambre froide devient son royaume, sa caverne d’Ali Baba regorgeant de plats qu’elle ne cesse de préparer, de mitonner, puis d’emballer et d’étiqueter, et qu’elle ne se lasse d’admirer, bien classés sur les rayons et les clayettes». (HC, p. 100)

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In questo breve racconto, l’autore narra la storia vissuta da Irène, una giovane che tenta di colmare il vuoto che la consuma interiormente riempiendosi di cibo. Irène finisce per conservare le lacrime da lei versate e trasformatesi in una piccola biglia di ghiaccio:

Désormais, les visites journalières que rend Irène à sa souveraine chambre froide ont pour but la contemplation émues de ses larmes concentrées en une «petite bille de glace, éternellement intacte», comme restent entière sa détresse, béante de solitude, et néante sa vie d’esclave volontaire. (HC, p. 102)

Aurélien si sente rapito dalla «même détresse, le même vide» (HC, p. 105) che hanno sopraffatto Irène: Clotilde e Biedronka, la madre dall’insolito nome,53 lo hanno relegato ai confini della memoria, là dove l’oblio avanza incessantemente. C’è soltanto una categoria di uomini ai quali il protagonista si sente unito da un destino comune: si tratta degli esclusi, degli emarginati, di coloro che ci fanno voltare lo sguardo altrove.