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La città di Praga continua a fare da sfondo alle vicende di Ludvík, il protagonista di Éclats de sel (1996), romanzo che chiude la trilogia boema alla quale Sylvie Germain ha consacrato la sua scrittura dal 1992 al 1996.81 Tuttavia in questa opera le tracce della città magica dell’Est appaiono sotto un alone prevalentemente negativo,82 quasi a suggerire al lettore l’esistenza di una sottile corrispondenza tra la condizione di degrado che affligge la Praga contemporanea (una città ormai sottomessa alla legge del denaro) e lo stato di intorpidimento nel quale Ludvík sembra galleggiare per gran parte della narrazione, prima di ritrovare il gusto per la vita che si esplicherà metaforicamente nel gusto del sale, simbolo biblico dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo,83 al quale il titolo fa riferimento. Anche Ludvík, come Nuit-d’Ambre, intraprenderà un percorso a ritroso per oltrepassare il senso di indifferenza e di estraneità al mondo che sovrasta la sua esistenza. Il carattere iniziatico del viaggio da lui affrontato diventerà particolarmente evidente grazie alla serie di incontri insoliti che puntelleranno il suo cammino, incontri che solleciteranno non soltanto il risveglio della memoria individuale del protagonista, ma anche un interesse nei confronti di una memoria collettiva che, nella società contemporanea alla quale il romanzo fa riferimento, rischia di sbiadire e di disperdersi irrimediabilmente. Sylvie Germain continua ad interrogarsi sulla tragedia della Shoah: in Éclats de sel la scrittrice pone in particolare l’accento sul pericolo di una memoria sopita, assonnata,

81 Si tratta, nello specifico, de La Pleurante des rues de Prague (1992), Immensités (1993) e Éclats de sel (1996).

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«La tonalité fantastique du récit, l’imprécision des repères spatio-temporels qui invite à fouiller le texte pour y dénicher quelques rares traces d’une ville de Prague jamais nommée et d’une actualité historique toujours allusive, traduisent la fragmentation du sens d’ailleurs perceptible dès le titre, dont le pluriel et la polysémie du mot éclats semblent comme contredire la clarté du symbole salin». Sylvie Ducas, «Mémoire mendiante» et «magie de l’encre»: l’écriture au seuil du mythe (Éclats de sel), in Marie-Hélène Boblet, Alain Schaffner (études réunies par), op. cit., p. 85. 83 Alain Goulet, Sylvie Germain: œuvre romanesque, un monde de cryptes et de fantômes, cit., p. 151.

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piegata al rischio della falsificazione e della mistificazione. Anche le immagini, pur continuando ad interagire con la scrittura, assumono nel testo un peso diverso: più che alla rappresentazione iconografica, è ai simboli che Sylvie Germain affida il compito di mediatori di memoria, fra i quali spiccano quello del faggio, metafora del personaggio stesso che vive «dans une tension entre ses racines telluriques et ses aspirations spirituelles vers les immensités»,84 e l’elemento salino che ritorna ripetutamente e in forme diverse in tutte le tappe del percorso iniziatico intrapreso dal protagonista.

Così come era avvenuto per Nuit-d’Ambre durante il suo viaggio di ritorno a Terre Noire, il rientro di Ludvík nella sua città di origine, dopo undici anni di assenza, è contrassegnato da uno stato di torpore al quale il personaggio si abbandona passivamente mentre il treno attraversa i paesaggi avvolti dalle nebbie dell’Est. Tutti i pensieri che lo accompagnano sono caratterizzati da un senso di disgusto e di nausea nei confronti del mondo e di se stesso, una nausea derivante da una paralisi emotiva dalla quale Ludvík è stato travolto:

Ce voyage ressemblait à sa vie qui se traînait, qui s’enlisait. Ludvík ressentait une nausée plus grave encore que celle qui lui avait fait fuir autrefois son pays. Car à présent le mal était en lui, inversé, certes, mais tout aussi sournois et sclérosant ; il était repu de liberté, mais infirme d’idéaux, et amèrement insatisfait de l’être. (ES, p. 27)

Alla corrosione dell’anima alla quale Ludvík sembra essersi irrimediabilmente rassegnato, corrisponde metaforicamente lo stato di decadimento fisico che ha colpito il Professor Joachym Brum, suo grande maestro, un tempo molto ammirato dal giovane allievo, ormai condannato dalla malattia ad una fine inesorabile. Anche nei confronti del Professor Brum, che ha misteriosamente pianificato il giorno della sua morte,85 Ludvík manifesta un’amara indifferenza mista a compassione: non soltanto perde il quaderno di appunti del maestro regalatogli da Eva (nipote del professore, completamente

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Ibid., p. 152.

85 Brum ritarda l’ora della sua morte fino al 23 febbraio 1992, data nella quale si celebra l’anniversario dell’incontro tra l’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo e Rabbi Yehuda Loew, Maharal di Praga, avvenuto il 23 febbraio del 1592. Vedremo più avanti l’importanza di questo incontro.

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dedita alla cura dello zio), ma non si preoccupa di decifrare una misteriosa cartolina di auguri ricevuta per Natale, cartolina inviatagli da Brum e alla quale Ludvík presterà attenzione soltanto in seguito alla sua morte.

Tutti gli incontri insoliti che il protagonista farà nel corso di un’esistenza piuttosto insignificante sono destinati a svegliare la sua coscienza, ma inizialmente Ludvík non è affatto consapevole del loro valore rivelatore; al contrario, dimostra un certo disagio nei confronti di strani personaggi che non fanno altro che distrarlo dalle sue piccole preoccupazioni quotidiane. Nel capitolo intitolato «Face à faces» (pp. 39-154), che racchiude il cuore del romanzo, si susseguono una serie di episodi bizzarri ai quali Ludvík non riesce a dare una spiegazione razionale. Tali avvenimenti assumono agli occhi del protagonista le sembianze di «poèmes-images», come quelli da lui osservati in una esposizione di Jiří Kolář: «Pendant un moment la perception et les pensées de Ludvík procédèrent à la manière de Kolář, par découpage, froissage, collage et entrecroisement» (ES, p. 43).

In seguito all’incontro con un misterioso operaio all’interno di una locanda che induce Ludvík a scommettere sull’esistenza di Dio, a quello con l’impiegato della Cassa di Risparmio che intraprende un enigmatico discorso sulla follia del

Mat paragonandola ai principi chimici dell’elemento salino («c’est comme le sel,

soit corrosif, soit purificateur», ES, p. 46) e, infine, a quello con il ragazzo à la

rose de sel, da lui pazientemente costruita, che cerca di risvegliare Ludvík a «une

mémoire commune dans le lointain amont du temps» (ES, p. 53), la scrittrice si serve di un espediente apparentemente casuale per introdurre nel racconto la figura mistica di Rabbi Loew,86 Maharal di Praga, personaggio attorno al quale ruota il plot narrativo. La traduzione alla quale Ludvík sta lavorando lo porta ad interessarsi e a documentarsi sul pensiero e sull’opera del grande Maharal.

86 «Rabbi Yehuda Loew (env. 1520/1525-1609), personnage quasi mystique, grand talmudiste, moraliste, mathématicien et philosophe, plus connu sous le nom de Maharal de Prague, est entré dans le patrimoine culturel et historique européen pour avoir, dit-on, sous le règne de Rudolf II, insufflé la vie à une créature d’argile, le fameux Golem, afin de protéger la communauté juive qui vivait dans la peur et était victime de persécutions. Le Golem était une représentation humaine créée d’argile, à qui le Rabbi avait donné vie en récitant l’incantation du Nom de Dieu “emet”. Le 23 février 1592, il fut reçu, avec son frère Sinaï et son fils Isaac Cohen, par l’Empereur Rudolf II. Leur conversation aurait porté sur le Kabbalah (mysticisme juif), sujet qui fascinait l’empereur». Alain Goulet, Sylvie Germain: œuvre romanesque, un monde de cryptes et de fantômes, cit., pp. 156-157, nota 26.

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L’inserimento nel testo di questa figura storica permette alla scrittrice di tessere una sottile ragnatela tra avvenimenti appartenenti ad un passato mitico, al quale l’evocazione dell’incontro dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo con il Maestro Rabbi Loew fa riferimento, e quelli di un passato recente nel corso del quale le grandi speranze di riconciliazione tra il mondo cristiano e il popolo di Israele (speranze che avevano spinto i due grandi uomini della Storia ad incontrarsi), sono irrimediabilmente fallite.87 Tale legame tra passato e presente appare particolarmente evidente nelle parole pronunciate dallo stesso editore per il quale Ludvík lavora:

Rabbi Loew fait partie de ces gens qui ont le don de nous donner des nouvelles de nous-mêmes et du monde par-delà les siècles. Des nouvelles dont, plus que jamais, nous avons besoin. Encore faut-il que nous le ressentions, ce besoin. Sinon les nouvelles resterons lettre morte. (ES, p. 70)

L’inserimento della figura mitica del Maharal di Praga che, con la creazione del Golem, si era adoperato per la protezione del popolo ebraico dalle persecuzioni, preannuncia il determinante incontro di Ludvík con un giornalaio sui generis, incontro nel corso del quale verrà affrontata la questione dell’oblio e del silenzio di Dio in rapporto alla Shoah. Tale incontro è di un’importanza fondamentale perché è l’unico in grado di attirare, almeno in parte, l’attenzione del protagonista e di risvegliare in lui sensazioni e ricordi relativi ai campi di concentramento di Auschwitz dove si era recato quindici anni prima. Rifiutandosi di vendere il giornale al suo cliente, lo strano personaggio si interroga sull’utilità dell’informazione e del sapere, poiché la conoscenza non ha impedito agli uomini di ricadere negli stessi errori e soprattutto di continuare a perpetrare gli stessi orrori compiuti all’incirca cinquant’anni prima:88

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«l’Histoire n’avait pas tardé à réduire en cendres et en larmes de sang le bel espoir un instant levé grâce à deux hommes osant se parler face à face, à cœur ouvert sur l’infini et la troublante rumeur du monde montée du fond des âges et sans cesse oscillant entre le chant, le cri et le silence». (ES, pp. 90-91)

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«On devine combien l’auteur s’exprime derrière de tel propos, écrits au moment où s’est produit le nouveau génocide du Rwanda […]. Ce sont ses propres souvenirs de sa première visite d’un camp d’extermination qui sont placés dans la bouche du kiosquier». Alain Goulet, Sylvie Germain: œuvre romanesque, un monde de cryptes et de fantômes, p. 158.

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Limiter les dégâts, disiez-vous? Il fut un temps où on a pu le croire ; quand on a ouvert les portes des camps de concentration et qu’enfin on a vu toute l’horreur commise, les gens se sont dit que, s’ils avaient su à temps ce qui se passait, ils n’auraient pas permis que cela ait lieu et le monde s’est juré de ne jamais laisser la barbarie triompher à nouveau de la sorte. Or la barbarie se porte très bien, l’exemple a fait école et de nombreux adeptes, et les charniers prolifèrent à mesure sans que le reste du monde – dont nous, monsieur – tombe à genoux avec des larmes de sang, de honte et de douleur, ou bien prenne les armes contre les assassins. Vous le savez très bien, les cas sont multiples et sanglants à travers toute la planète ; vous lisez les journaux, vous êtes donc au courant. Alors, dites-moi comment vous limitez les dégâts ? (ES, pp. 71-72)

Nelle parole del giornalaio, che narra le sensazioni di smarrimento e di vuoto interiore provati nel corso della sua visita ai campi di Auschwitz e Birkenau («Un vide s’est ouvert en moi, j’étais la proie d’un désastre intérieur, d’un brutal accès d’idiotie» ES, p. 73), Ludvík ritrova lo stesso senso di impotenza percepito di fronte alla sofferenza emanata da questi luoghi di dolore, quella stessa fame insaziabile che lo aveva spinto, subito dopo la vista dei campi dell’orrore, a mangiare fino allo sfinimento, alla nausea.

L’elemento salino assume in questo contesto una forte valenza simbolica: una vita rassegnata al tedio, all’oblio e all’indifferenza («Il n’y a pas de pire mal que l’ennui qui, l’air de rien, en catimini, nous écœure et nous détache de tout, des autres, de nous-mêmes» ES, p. 76) è come il sale che ha perso il suo sapore. Soltanto chi, come il giornalaio, non si abbandona all’aridità di un’esistenza sterile può sperare di avere delle speranze per il futuro. A questo punto del racconto Ludvík, nonostante non riesca ancora a spiegarsi lo strano comportamento dell’uomo, inizia a stabilire delle connessioni tra la serie di incontri disseminati in maniera confusa nel suo cammino:

Il avait repensé à tout ce que celui-ci lui avait raconté et il restait déconcerté par certains point aigus de ressemblance entre les souvenirs évoqués par les kiosquier et les siens propres. Il aurait voulu le questionner plus en détail à ce sujet. Et puis il ne s’expliquait pas le brusque changement

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de comportement de cet homme qui, d’aimable, avait basculé dans l’odieux sans crier gare ni raison apparent, un peu comme le jeune niais à la rose de sel. Et du sel, le kiosquier en avait eu plein la bouche, comme tous ces autres cinglés dont il avait eu à subir les caprices d’humeur. (ES, p. 78)

Il racconto, a questo punto della narrazione, si immerge in uno spazio immaginario e onirico; Ludvík inizia a sentire fortemente dentro di sé il bisogno di conoscere l’essenza delle parole pronunciate dal giornalaio ma quando, nel corso della notte, torna nel posto dove aveva avuto luogo l’insolita conversazione, trova soltanto un’edicola dismessa sulla cui saracinesca troneggia un’enigmatica frase: «Or la femme de Lot regarda en arrière, et elle devint une colonne de sel» (ES, p. 79). In queste parole tratte dalla Genesi, che aggiungono al romanzo un ulteriore elemento biblico di forte valenza simbolica, è possibile leggere un duplice monito rivolto a Ludvík e al lettore stesso: il primo, come ha sottolineato lo stesso Alain Goulet, spinge il protagonista a non restare ancorato al suo passato ma a guardare davanti a sé.89 Il secondo può essere letto come un invito ad abbandonarsi ad una giusta dose di oblio che, riprendendo le parole di Marc Augé, appare necessario per liberare la memoria da un fardello altrimenti insostenibile:

L’oubli est nécessaire à la société comme à l’individu. Il faut savoir oublier pour goûter la saveur du présent, de l’instant et de l’attente, mais la mémoire elle-même a besoin de l’oubli: il faut oublier le passé récent pour retrouver le passé ancien.90

In seguito all’incontro con il misterioso personaggio e ad un primo risveglio della memoria che ha avuto luogo in Ludvík, si concretizza una tappa fondamentale del percorso iniziatico del protagonista, una morte simbolica necessaria ad una successiva rinascita; Ludvík si sente catturato da «un sentiment de désarroi et de fatigue» (ES, p. 79) e, sopraffatto dalla stanchezza, cade in un sonno riparatore.

89 Alain Goulet, Sylvie Germain: œuvre romanesque, un monde de cryptes et de fantômes, cit., p. 159.

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Il secondo invito al risveglio della memoria individuale avviene in una piccola pensione di montagna, dove il protagonista si reca per trovare un po’ di riposo. Qui conosce Vladimíra, un’anziana signora insonne che racconta a Ludvík la storia della sua vita e dell’amore incondizionato rivolto al bambino che gli è stato lasciato in eredità da una delle amanti del marito. Tali conversazioni notturne lo spingono nuovamente ad interrogarsi sulla sua relazione con Esther, l’unica donna della quale Ludvík sia stato realmente innamorato, e sulle contraddizioni e le violenze della passione. A questo punto del suo percorso il viso di Esther gli appare «non plus seulement d’amante, mais de personne humaine unique parmi la moltitude d’autres uniques» (ES, p. 95). Nonostante l’incontro con Vladimíra sia importante per la riconciliazione del protagonista con se stesso e con i sentimenti tormentati provati in passato per la donna amata, esso non è tuttavia sufficiente per un risveglio definitivo della memoria intorpidita, risveglio al quale contribuirà in maniera determinante la conoscenza di un bambino solitario che si prodiga a nutrire gli uccelli con dei chicchi di sale, conoscenza che Ludvík farà prima di tornare a Praga. Il protagonista rimane profondamente stupito di fronte alla serietà delle parole del bambino, ma il «piccolo saggio» gli ricorda di aver avuto gli stessi pensieri nel corso della sua infanzia, di essersi posto le stesse domande:

Je parle comme tu te parlais quand tu avais mon âge, mais cela tu l’as oublié, tu as tout oublié, tu as laissé s’affadir le goût de toutes choses, jaunir le sel de ta mémoire et se corrompre celui de tes serments d’amitié avec le monde, avec les gens. Pff ! (ES, p. 103)

Ludvík non riesce, così come era successo con il giornalaio, ad ottenere maggiori spiegazioni da parte del bambino che improvvisamente si allontana, ma le sue parole continueranno a riecheggiare nella mente del protagonista anche nei giorni successivi quando, al rientro a Praga, riceverà la notizia della morte di Brum. A questo punto della narrazione i diversi tasselli casualmente disseminati nel suo percorso iniziano a ricomporsi e le molteplici immagini che si impongono alla sua coscienza mostrano la loro natura rivelatrice; anche i problemi alla vista che Ludvík avverte in maniera sempre più insistente, possono essere interpretati

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metaforicamente come un risveglio doloroso dell’anima all’eco della memoria. Come gli occhi che, dopo un periodo di cecità, restano abbagliati nel momento della prima esposizione alla luce, anche l’anima del protagonista avverte un dolore pungente alla presa di coscienza di tutte le sue mancanze. La prima è quella nei confronti del Professor Brum che, nonostante la sua sofferenza, gli aveva affettuosamente rivolto delle parole cariche di speranza nella cartolina di auguri di Natale che Ludvík non si era preoccupato di interpretare, parole che lo invitavano a mettersi in cammino alla ricerca della verità, così come avevano fatto le tre fantomatiche figure dei Re Magi rappresentati sulla carta color seppia:

«Ils sont en marche depuis si longtemps. À trop tarder on risque de les perdre de vue. Or leur errance est notre chance. Il est temps de se mettre en chemin. Tous mes vœux de bonne route. Adieu – Votre Joachym Brum». (ES, p. 119)

In seguito alla decifrazione delle parole di Brum, Ludvík inizia a manifestare segni di forte disagio. A questo punto un tourbillon di ricordi, sensazioni e immagini lo sprona a svegliarsi dal torpore che lo ha a lungo imprigionato, un risveglio piuttosto doloroso:

Il revoyait des visages qui affleuraient par surimpressions les uns à partir des autres, – celui du petit Lubošek se transformait en celui de l’oiseleur, ce dernier s’allongeait jusqu’à ressembler au jeune homme à la rose de sel qui se transfigurait à son tour, prenant les traits du vieux kiosquier, lequel s’effaçait devant le visage de Brum…le jeu des métamorphoses n’en finissait pas. Tous ce visages en fondu enchaîné donnaient lieu à un drame muet, un étrange drame visuel dans lequel Ludvík se découvrait absent et dans le même temps appelé à comparaître. (ES, p. 121)

Ancora una volta nella scrittura germainiana le immagini diventano il filtro attraverso il quale guardare oltre e dentro di sé, grazie alla loro forza di penetrazione che, come afferma Aleida Assmann, comporta una riattivazione

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emozionale.91 L’ultimo capitolo del romanzo, «Volte-face», preceduto dall’incontro di Ludvík con Eva che svela al protagonista le motivazioni che hanno spinto Brum a morire nel giorno della ricorrenza dell’incontro tra l’Imperatore Rodolfo II e Rabbi Loew, si apre sulla descrizione di un quadro di Paul Klee raffigurato sulla copertina di un libro che Ludvík aveva regalato tanti anni prima al maestro, libro da quest’ultimo gelosamente conservato. Grazie ad una dedica e ad un segnalibro realizzato dallo stesso protagonista, la memoria di Ludvík riemerge dal passato, una memoria mista ad un forte sentimento di vergogna causato dal suo atteggiamento di negligenza perpetrato negli anni nei confronti del Professor Brum e delle persone incontrate nel corso della sua esistenza:

Une honte aiguë, glacée, car face à soi seul, le saisit. Lors de la dernière visite qu’il avait rendue à Brum il avait jugé celui-ci sur son aspect physique délabré, – un vieillard atteint de sénilité, amnésique, hoquetant. Un déchet