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Studi di genere e memoria culturale

Negli studi consacrati alla teorizzazione della postmemory, Marianne Hirsch si è soffermata a più riprese sulla funzione singolare rivestita dalla questione di «genere»85 nella trasmissione della memoria. La prima lettura di una teoria della memoria culturale in una prospettiva femminile risale al 1987, anno della pubblicazione degli atti del convegno svoltosi presso l’Università di Michigan attorno al tema Women and Memory.86 Come ricordano Marianne

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Ibid., p. 323.

85 Il termine «genere» non fa soltanto riferimento alle differenze biologiche tra uomini e donne, ma include lo studio della «costruzione sociale e culturale dei ruoli e delle posizioni che gli uomini e le donne occupano nella società». D. Ofer, L. J. Weitzman (a cura di), Women in the Holocaust, New Haven, Yale University Press, 1998, trad. it. Donne nell’Olocausto, presentazione all’edizione italiana di Anna Bravo, Firenze, Le Lettere, 2001, p. 2.

86 M. A. Lourie, D.C. Stanton, M. Vicinus (a cura di), Women and Memory, «Michigan Quarterly Review», n° 26, 1, 1987.

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Hirsch e Valerie Smith nell’introduzione al numero della rivista «Signs» consacrato all’analisi degli studi di genere in rapporto alla memoria culturale,87 le autrici e gli autori dei saggi che si susseguono all’interno di questa specifica raccolta della «Michigan Quarterly Review» videro nei cosiddetti Women’s

studies88 la possibilità di ricostruire una forma di «contromemoria» che potesse riportare alla luce storie celate da strutture politiche e ideologiche di repressione del ricordo. Attraverso analisi di stampo storico, letterario e psicoanalitico, specialisti appartenenti a diversi settori disciplinari hanno evidenziato il progressivo affermarsi di una tendenza della «dimenticanza» che associa alla repressione messa in atto nei confronti delle memorie di donne quella, più generale, della memoria stessa:

If women represent one fundamental aspect of the repressed that returns to consciousness in Women’s Studies scholarship, perhaps “the new repressed” is memory itself. But then, why should memory be the repressed at this historical moment? It is simply the contemporary version of the universal tendency that Karen Fish describes – “The mind is trained from childhood to forget/to veil what is painful – ”? And beyond its painfulness, memory might be dangerous to a society moving precipitously into a new technological age. Or, then, it may be politically expedient to repress the mistakes of the past, such as wars, in order to insure the rise of militarism and chauvinism.89

I numerosi saggi presenti all’interno della raccolta tentano di dare delle risposte alle forme di soppressione alle quali la memoria è sottoposta, ma soprattutto si sforzano di portare avanti un discorso controcorrente che possa «ri- costruire» il passato delle (e per le) donne. Tale tesi è confermata dalla studiosa Catharine R. Stimpson che ha sottolineato come l’attenzione degli autori sembri

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M. Hirsch, V. Smith (a cura di), Gender and Cultural Memory, «Signs. Journal of Women in Culture and Society», n° 28, 1, Autunno 2002, p. 4.

88 In questo contesto non ci soffermeremo sulle differenze esistenti tra gli Studi di Genere e i cosiddetti Women’s studies. Bisogna tuttavia ricordare, come suggerisce Rita Monticelli, che essi si distinguono in diversi aspetti critico-teorici e in alcune istanze politiche, pur presentando molti aspetti comuni. Si veda, a questo proposito, Rita Monticelli, Identità e differenza: teorie critiche negli studi di genere e postcoloniali, in Raffaella Baccolini (a cura di), Le prospettive di genere. Discipline, soglie e confini, Bologna, BUP, 2005, pp. 321-339.

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ruotare attorno a quattro grandi tematiche legate alla questione della memoria e alla sua ricostruzione: la perdita, la mutabilità, la necessità e il recupero.90 Ogni tipo di memoria è difatti il risultato di una mancanza e l’atto del ricordare può diventare una consolazione per ciò che è stato irrimediabilmente perso: la volontà di recuperare la memoria cela in alcuni casi un sentimento di nostalgia che possa alleviare il dolore di un passato traumatico. Spesso la perdita è causata da forme di repressione pubbliche che forgiano la memoria collettiva ed è la diretta conseguenza della fragilità della memoria stessa che rende il ricordo «malleabile». Ciò permette di comprendere almeno in parte, prosegue Stimpson, i motivi per cui si accettano come proprie delle memorie imposte dagli altri, ragioni che contribuiscono a facilitare la supremazia da parte di una cultura dominante su quella subordinata, spinta a sua volta ad accettare una versione del passato che giustifica, parafrasando la studiosa, «the “lesser” group’s “inferiority”».91

Il tentativo di teorizzare la memoria delle donne, al quale va aggiunto quello di riportare alla luce le memorie sommerse di interi popoli che hanno subito ogni forma di repressione culturale e politica, esprime in maniera sempre più insistente la necessità di affermare un’identità «altra» e di superare quelle zone d’ombra che hanno oscurato le peculiarità individuali del soggetto femminile: l’accrescersi nel corso degli anni di produzioni artistiche e, nello specifico, di scritture cosiddette «femminili» rivela la volontà da parte delle autrici di contribuire alla ricostruzione di una storia che, come afferma Stimpson, si dispieghi nel tempo e nello spazio, «that compares “once upon a time” and “now”. A narrator without memory is like an inept divinity, fudging things up».92 Donne e uomini devono richiamare attivamente una memoria personale e comune attraverso un lavoro di recupero che neutralizzi le distorsioni ideologiche operate nel corso dei secoli: soltanto per mezzo di un riscatto del passato è possibile fare un buon uso della memoria nel presente e ipotizzare un futuro più proficuo per il soggetto donna. Tuttavia, procede l’autrice, in tale fase di recupero non esiste un’unica modalità di procedere; ancora una volta è il riconoscimento della

90 Ibid., p. 260. 91 Ibid., p. 261. 92 Ibid., p. 262.

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complessità, il rifiuto dell’omologazione e il dialogo tra metodi a rendere vincente la ricostruzione di memorie molteplici:

So doing, we must recover the stories of those whom official memory has excluded: the marginal, the underground, the residents of the attics and the basements. These stories correct official memory. Finally, we must realize that no single memory of anything is sufficient, any more than any single method for the study of memory is adequate. Even to begin to represent past, we must create a collage of recollections, which overlap and collide each other.93

L’approccio interdisciplinare attesta le numerose possibilità di intersezione tra gli Studi di Genere, i Womens’s studies e quelli della memoria culturale, legami che hanno dato vita a differenti forme di interpretazione e di rappresentazione. Oltre al potente ruolo rivestito dalle immagini come veicolo di trasmissione evidenziato da Hirsch e da Assmann, le produzioni letterarie si sono rivelate degli strumenti efficaci per il passaggio della memoria individuale e collettiva: ne sono un esempio i numerosi studi presenti all’interno del già citato numero della rivista «Signs» dedicati all’analisi di opere che, attraverso l’evocazione di storie personali strettamente legate al contesto storico e sociale di appartenenza, si sono messe al servizio di una «contromemoria» che si oppone all’egemonia esercitata dalla Storia ufficiale. Gli autori di tali produzioni letterarie hanno a più riprese riportato alla luce il ruolo ricoperto dal gender nella congiunzione tra memoria pubblica e memoria privata effettuando in alcuni casi un lavoro decostruzionistico dei tradizionali modelli di conoscenza del passato:94 emergono così nuovi modi interpretativi che facilitano il lavoro stesso di memoria e di trasmissione. Alla luce di tali considerazioni, è possibile individuare differenze sostanziali nell’atto di testimonianza femminile e definire le diverse strategie che si attivano nel processo di ascolto, tra le quali l’identificazione empatica e la solidarietà richiesta per immaginare le esperienze vissute in passato da altri. Inoltre, una memoria culturale letta alla luce della questione del gender

93 Ibid., p. 263.

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può diventare un atto etico e politico nei confronti del trauma stesso e la pratica di recupero della memoria ricoprire una vera e propria funzione sociale.95

Il nodo concettuale delle «contromemorie» è uno dei punti chiave attorno al quale si sviluppano le analisi di Rita Monticelli che nel corso dei suoi saggi si è a lungo soffermata sulla complessa relazione che intercorre tra le teorie critiche del «genere» e quelle relative alla memoria culturale, illuminando tutte le potenzialità di tale intersezione. Come ha affermato la studiosa a più riprese, l’importanza dell’immissione del parametro del gender nel campo di indagine della memoria risiede non soltanto in una migliore comprensione dei meccanismi di formazione della memoria culturale e della soggettività, ma «anche nell’impegno critico che essi si sono assunti storicamente e nel presente nei confronti della conoscenza, della sua produzione e trasmissione».96 Adottare la questione del genere come categoria interpretativa, prosegue la studiosa, significa effettuare un ripensamento della Storia ufficiale e rispondere all’urgenza di ricomporre delle memorie controverse che reclamano di essere ascoltate (non è un caso che Monticelli sottolinei come la questione del gender sia legata ad altre categorie strutturali quali l’etnia e la classe). Il recupero di memorie a lungo marginalizzate e bistrattate contribuisce in questo modo alla ricostruzione attiva di una memoria collettiva delle donne all’interno della quale la diversità delle storie individuali viene reclamata e valorizzata.

L’implicazione del gender nella trasmissione della memoria individuale e collettiva diventa ancor più necessaria nei casi di recupero di storie risalenti ad avvenimenti traumatici come quello della Shoah,97 quando alla tragedia universale

95 «Feminist modes of listening, as some of the essays in this volume show, can become ethical and political acts of solidarity and, perhaps, agency, on behalf of the trauma of the other. Significantly, however, they would also warn of the risks of even such a well-intentioned identificatory practice and the inevitable appropriations that inflect a politics based on empathy. They would remind us that forgetting and suppression must be contested by active remembering and that the practice and analysis of cultural memory can in itself be a form of political activism». Ibid., p. 13.

96 R. Monticelli, Contronarrazioni e memorie ri-composte negli studi di genere e delle donne, in E. Agazzi, V. Fortunati (a cura di), Memorie e saperi. Percorsi transdisciplinari, Roma, Meltemi, 2007, p. 606.

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Anna Bravo sottolinea la triste centralità ricoperta dalle donne nella tragedia della Shoah nei confronti della quale non si è manifestato un adeguato interesse e riconoscimento da parte delle opere storiografiche, nonostante tale avvenimento le veda «presenti ininterrottamente e con una dimensione di massa, e per un regime in cui l’intreccio fra razzismo e sessismo è un tratto

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del genocidio viene a sommarsi quella dell’annullamento dell’identità femminile.98 In questi casi l’urgenza di risanare una memoria dolorosa si fa ancor più pressante:

Le donne sperimentano in questo contesto una doppia marginalità e una necessità non solo di testimoniare le contromemorie nella prospettiva dei dominati, dei vinti, ma anche di recuperare e re-inventare le storie delle donne all’interno di queste contromemorie. […] Per ripercorrere una storia invisibile e silente, occorre attraversare la soglia fittizia tra realtà e immaginazione, tra ragione ed emozione.99

Appare evidente come la funzione svolta dall’immaginazione sia essenziale nella riscrittura della memoria effettuata dalle donne; essa è in grado di unire alla volontà di ricostruire il passato quella di affermarsi come soggetto responsabile e attivo, di mettersi in dialogo con delle storie sommerse la cui rivalorizzazione possa espletare una funzione catartica100 che trova il suo compimento nell’atto stesso della creazione. Il riconoscimento che in questi casi viene dato alla letteratura come documento storico si fonda, prosegue Monticelli, «anche sulla consapevolezza che ricordare è storia e ri-creare insieme, un atto che

caratterizzante». Anna Bravo, Presentazione all’edizione italiana, in D. Ofer, L. J. Weitzman (a cura di), Donne nell’Olocausto, cit., p. IX.

98 Nonostante l’uso della nozione di genere come categoria analitica in relazione alla Shoah abbia sollevato da parte di alcuni studiosi diverse obiezioni (si veda nello specifico D. Ofer, L. J. Weitzman [a cura di], Donne nell’Olocausto, cit., pp. 1-19), Marianne Hirsch e Leo Spitzer ne hanno invece sottolineato la necessità: «Far from being irrelevant, we would say that a feminist reading and a reading of gender constitute, at the very least, compensatory, separative acts. If the Nazis degendered their victims, must we not make a point of considering the effects of gender, even when these cannot always be kept clearly in view? In fact, we have been interested in looking at gender precisely when it recedes to the background, when it appears to be elusive or even irrelevant». M. Hirsch, L. Spitzer, Testimonial Objects: Memory, Gender, and Trasmission, «Poetics Today», n° 27, 2, Estate 2006, p. 357.

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R. Monticelli, Contronarrazioni e memorie ri-composte negli studi di genere e delle donne, in E. Agazzi, V. Fortunati (a cura di), op.cit., p. 617.

100 Fortunati, Golinelli e Monticelli parlano della ricostruzione dell’evento traumatico da parte delle donne come di una forma di «terapia»: «L’atto della memoria si configura come una forma di resistenza contro il silenzio, contro la censura che per molto tempo ha pesato sulle donne che hanno subito violenza: la dolorosa ricostruzione dell’evento traumatico diventa una forma di terapia in cui la partecipazione empatica è un importante ausilio del ricordare». V. Fortunati, G. Golinelli, R. Monticelli (a cura di), Studi di genere e memoria culturale. Women and Cultural Memory, Bologna, Clueb, 2004, p. 15.

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si pone tra volontà e immaginazione, tra i fatti, la loro percezione e interpretazione».101

Affrontare le problematiche di genere nello studio della Shoah e, nello specifico, in quelle produzioni letterarie che hanno tentato di valorizzare la peculiarità delle esperienze femminili nella trasmissione della memoria di tale evento traumatico, consente di comprendere in maniera più dettagliata le dinamiche del genocidio stesso, in particolar modo le diverse posizioni e reazioni che le ebree e gli ebrei ebbero nei confronti delle vessazioni alle quali furono ugualmente sottoposti.102 Se una delle maggiori preoccupazioni degli oppositori ad uno studio dell’Olocausto in una prospettiva di genere è che «concentrare la ricerca sul genere comporti il rischio di distogliere la nostra attenzione dall’unitarietà dell’attacco che il nazismo sferrò contro gli ebrei nella loro totalità»,103 dall’altro lato ignorare tale specificità significherebbe non riconoscere la complessità dell’avvenimento stesso e le peculiarità soggettive di donne e di uomini che ne furono bersaglio.