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Memorie sbiadite, memorie scomparse

La produzione letteraria di Sylvie Germain, esplosa in maniera dirompente ne Le Livre des Nuits e Nuit-d’Ambre attraverso la narrazione dai caratteri epici della storia familiare del clan Péniel e dei suoi legami con la grande Storia (tanto da poter parlare, a nostro avviso, di una vera e propria «epica moderna»37) sembra essere lentamente approdata ad un ripiegamento su di sé, ripiegamento che si esplica in un’esplorazione sempre più profonda dell’intimo umano e che si riflette in una progressiva epurazione del linguaggio.38 Questo fenomeno di introspezione, unito a quel «travail obscur qui s’accomplit au plus profond de soi, au fil du temps»,39 si affianca alla denuncia di un eccesso di oblio nel quale la scrittrice identifica uno dei maggiori mali della società contemporanea: la storia di Aurélien, il protagonista di Hors champ (2009) destinato a scomparire nell’arco di una settimana, può infatti essere considerata, parafrasando Cécile Narjoux, l’allegoria dell’indifferenza che l’uomo moderno manifesta quotidianamente nei confronti dei suoi simili.40

Lo stesso titolo del romanzo, che fa ancora una volta riferimento al topos dell’immagine fotografica, evoca metaforicamente la posizione marginale in cui verrà relegata la figura di Aurélien nella memoria dei suoi conoscenti e dei suoi familiari. Se ne L’inaperçu i personaggi sono chiamati ad un risveglio della memoria per mezzo di una serie di immagini che catturano lo sguardo, in Hors

champ i riferimenti visivi diventano lo strumento attraverso il quale la narratrice

sceglie di tracciare il percorso dissolutivo di cui il protagonista è vittima. L’esistenza di Aurélien, come quella dei «clochard» ai quali l’uomo si sente

37 L’espressione «epica moderna» è stata usata da Franco Moretti nell’opera Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Torino, Einaudi, 1994.

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Milène Moris-Stefkovic ha parlato di una scrittura della cancellazione: «Or, si l’on considère l’œuvre d’un point de vue diachronique, on note que le motif de la disparition progressive des êtres et des choses (notamment l’oubli) perce à partir de 1989 dans Opéra muet, s’affirme dans La Pleurante des rues de Prague, et finit par s’imposer tant dans les romans praguois (Éclats de sel et Immensités) que dans les derniers romans (Chanson des mal-aimants et Magnus), où l’écriture s’épure». Milène Moris-Stefkovic, L’Écriture de l’effacement dans les romans de Sylvie Germain, in Alain Goulet (sous la direction de), cit., p. 167.

39 Sylvie Germain, En guise de conclusion: questions à Sylvie Germain, in Alain Goulet (sous la direction de), cit., p. 319.

40 Cécile Narjoux, Le présent de Sylvie Germain, in C. Narjoux, J. Dürrenmatt (sous la direction de), La langue de Sylvie Germain: “en mouvement d’écriture”, Dijon, Éd. Universitaires de Dijon, 2011, p. 159.

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legato da una sorte comune, è destinata a svanire alla luce di una cieca indifferenza: l’uomo diventerà trasparente agli occhi di persone a lui sconosciute ma anche a quelli dei suoi cari. Come ha affermato la stessa Germain, il romanzo traduce ciò che avviene nel mondo contemporaneo, in una società caratterizzata dalla perdita inesorabile della propria storia, della memoria e dei suoi valori.41 Diversamente da quanto è accaduto a gran parte dei protagonisti delle opere precedenti (ad esclusione di Gabriel, personaggio principale di Opéra muet che presenta molti tratti in comune con il protagonista di Hors champ), Aurélien non raggiungerà la fase finale d’«un retour à soi, un soi-même réconcilié et consolé, apaisé»,42 ma sarà destinato ad un’uscita rocambolesca dalla vita che lo relegherà in un oblio eterno. Questo uomo ordinario, la cui esistenza sembra ricalcare quella di un personaggio kafkiano,43 vive in una condizione di alienazione interiore ed esteriore che lo porterà a perdere progressivamente e suo malgrado ogni contatto con tutto ciò che è reale: a nulla varranno i tentativi di ribellarsi a questa condizione. La graduale dissolvenza dell’immagine del protagonista riflessa nello specchio diventa così il simbolo di quella amnesia impietosa che opera in sordina nell’animo umano e sembra lasciarci ineluttabilmente indifferenti a tutto ciò che ci circonda.

In Hors champ gli elementi appartenenti al campo semantico visivo non si fanno più portatori di quella carica immaginaria che li ha contraddistinti nei romanzi fin qui analizzati: la «visionneuse» (HC, p. 11), un visore per fotografie attraverso il quale Aurélien ama osservare le figure di animali e uomini della preistoria che hanno nutrito il mondo fantastico della sua infanzia, sembra infatti perdere progressivamente il potere evocativo appartenuto alla lanterna magica, lo strumento attraverso il quale la famiglia Péniel era in grado di lasciarsi trasportare nelle «coulisses du temps et de la nuit, là où les morts gardent séjour» (LN, p. 105). Questo oggetto, che Aurélien stringe gelosamente al petto come fosse un

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Sylvie Germain, Festival des Lettres d’automne, cit. 42

Alain Goulet, Sylvie Germain: œuvre romanesque, un monde de cryptes et de fantômes, cit., p. 234.

43 Lo stesso incipit del romanzo fa eco a La metamorfosi di Kafka nel quale il protagonista si accorge, al risveglio, di essersi trasformato in un mostruoso insetto: «Il se réveille tout noué, une sensation de poids sur le plexus. Il porte les mains à sa poitrine, mais les écarte aussitôt, surpris par le contact d’un corps dur et froid. Un gros insecte, un crabe, une tortue… ? Mais d’où, et comment une telle bête aurait-elle surgi ? Du fond d’un placard, de dessous son lit, ou du recoin d’un mauvais rêve qu’il viendrait de faire ?» (HC, p. 11)

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«cobret abritant quelque trésor, ou peut-être son propre cœur momifié» (HC, p. 13), è in effetti minacciato dai nuovi dispositivi dell’era digitale, primo tra i quali un e-book di minime dimensioni in grado di ridurre un’intera biblioteca ad un «unique élément poids plume doté d’une mémoire d’éléphant et d’une intelligence arachnéenne» (HC, p. 12). L’avvento di questa «crémaillère du vide» (HC, p. 11), celebrata con enfasi dai vicini di casa di Aurélien, coincide con quel vuoto che sembra inghiottire l’esistenza del protagonista: discendente da parte di madre di una famiglia di nazionalità polacca il cui capostipite venne ucciso nella foresta di Katyn,44 Aurélien non ha mai conosciuto il padre biologico, un uomo «réduit a un portrait plus que vague mais magnifié aux dimensions d’un mythe» (HC, p. 15). La sua memoria familiare è frammentata, così come è frammentata l’esistenza del fratellastro Joël il quale, dopo aver subito una aggressione violenta che ha messo a tacere tutti i suoi sogni, è condannato a vivere ai margini della vita, in uno stato di semi-infermità mentale che lo colloca alle soglie del tempo. Il primo tentativo di Aurélien di strappare la memoria dalle fauci dell’oblio avviene attraverso il recupero del diario di Joël, un quaderno che il ragazzo aveva iniziato a scrivere prima di essere ridotto «à perpétuité en état d’idiotie» (HC, p. 23), uno di quegli oggetti che, parafrasando Anne Muxel, svolgono la funzione di mediatori, permettendo così di intrattenere un dialogo possibile con il passato.45 Attraverso il complesso lavoro di decifrazione della scrittura del fratellastro, Aurélien «tient à extraire de l’oubli ces traces de ce qu’était Joël avant sa demi- mort, à rendre voix à ce très jeune homme qu’il n’a pas eu la chance de connaître» (HC, p. 23).

Le pagine che attirano l’attenzione di Aurélien sono quelle in cui Joël riflette sul ruolo del lettore e sulla funzione attiva da lui espletata nel processo di interpretazione del testo, tanto da assumere le sembianze di un personaggio libero da ogni schema, trasportato dalle proprie passioni e dai propri interessi. La scrittrice sembra invitarci ad una presa di coscienza della missione che noi stessi siamo invitati a svolgere attraverso la lettura che ci accingiamo a compiere:

44 Si tratta del Massacro di Katyn che avvenne nel corso della Seconda guerra mondiale ad opera dell’Armata Rossa nei confronti di civili e soldati di nazionalità polacca.

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Mais ce personnage échappe totalement au pouvoir, à la volonté, à l’imagination de l’auteur du livre dont il n’est pas une “création”, mais un invité. Un drôle d’invité, anonyme, venu on ne sait d’où, qui arrive à l’improviste et sort quand ça lui chante de l’espace du livre, sans souci de ponctualité, de la moindre convenance, qui s’y attarde ou le traverse à toute allure, riant, bâillant d’ennui, râlant, applaudissant ou se moquant, selon son humeur, sa sensibilité, ses intérêts. Les grands romans grouillent ainsi d’hôtes anonymes qui fouillent dans les coins, dérobent par-ci par-là une poignée de mots, une ou deux idées, quelques images qu’ils utilisent ensuite dans leur vie. Les romans ont, très concrètement, et puissamment, “leur mot à dire” dans la réalité, quand, de celle-ci, ils savent écouter au plus près les pulsations du cœur. (HC, p. 25)

Le parole trascritte da Joël richiamano quelle dichiarate dalla stessa Germain nel saggio Les personnages (2004) che, in questa circostanza, riveste la funzione di ipotesto: in quest’opera l’autrice si era difatti già soffermata sull’incarico che il lettore è chiamato a svolgere attraverso l’atto della lettura e sull’autonomia reclamata dal personaggio.46

Tuttavia, il potere della scrittura che, come afferma Germain, «permet de décrypter les palimpsestes de sa propre imagination et de sa propre mémoire» (P, p. 50), sembra minacciato dal corto circuito della memoria che ha letteralmente paralizzato la società contemporanea: in seguito alla trascrizione dell’intero diario di Joël sul portatile di Aurélien, il computer smette di funzionare e al protagonista non resta altro che compiere il lutto del lavoro compiuto. Inizia così la prima fase di quella cancellazione delle tracce che si dipanerà nel progredire del romanzo e che si concluderà con la dissoluzione dello stesso protagonista: partendo da una graduale sfocatura delle immagini, l’opera di annullamento coinvolgerà a poco a poco, come vedremo, tutti i sensi.

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«Mais tout romancier sait bien que les personnages sont doués d’une étrange autonomie, qu’ils sont des mendiants fantasques, et que leur désobéissance chronique n’est pas un simple caprice mais qu’elle obéit à des “lois” aussi obscures et dynamiques que celles qui régissent toute personnalité. Tout romancier sait qu’il n’est pas “le maître dans la maison” de son imaginaire, maison foutraque ouverte à tous le vents de l’inconscient, sujette à des flux et des reflux d’images, à des séismes, à des feux, à des éclipses». (P, pp. 49-50)

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