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CAPITOLO 2 – La relazione tra il citomegalovirus e il trapianto di cellule staminal

2.8 Immunoterapia cellulare adottiva

Oltre ai nuovi farmaci si stanno studiando nuove strategie terapeutiche, tra le quali figura l’immunoterapia cellulare adottiva35 [Figura 14]. La necessità di ricorrere a questo approccio

nasce dal fatto che le attuali terapie non sono ottimali e non trattano il problema principale che si crea in questi contesti, ovvero la mancanza di un’immunità specifica mediata da linfociti T54: il

trasferimento adottivo di cellule T specifiche per il virus rappresenta un trattamento potenzialmente curativo, specifico e non tossico, capace di garantire un’immunità a lungo termine contro il virus55.

Figura 14: l'immunoterapia cellulare adottiva54. Trasferimento adottivo di cellule T (specifiche per più virus) da donatore sano, affinché possano essere trattate le infezioni virali refrattarie a seguito del TCSE: le cellule T virus- specifiche possono essere ottenute tramite l’isolamento e l’espansione in vitro o la selezione diretta ex vivo dal sangue periferico del donatore sieropositivo. TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Questa metodica ha non poche difficoltà: i costi, i tempi richiesti per generare cellule adeguate per l’infusione, le limitazioni dettate dal fatto che vi sono pazienti che assumono corticosteroidi

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ad alte dosi o che hanno una GVHD significativa, e la durata dell’immunità indotta4. Quando si

trattano infezioni da CMV resistenti ai farmaci si raccomanda comunque di ricorrere, come terapia aggiuntiva, ad infusioni di linfociti T citotossici quando possibile, in particolare quando si identifica una multi-resistenza: possono essere necessarie più infusioni, specialmente se la risposta è sub-ottimale o se si verifica un rebound della viremia4.

Storicamente, il primo tentativo era basato sull’utilizzo di infusioni di linfociti del donatore (DLI, donor lymphocyte infusion), ma la mancata manipolazione di questi preparati comportava un’elevata frequenza di casi di cellule T alloreattive, che sfociava nella GVHD56.

Successivamente sono stati introdotti dei protocolli terapeutici secondo i quali venivano infusi unicamente linfociti T specifici per il virus: tali linfociti venivano generati da una coltura ex vivo di cellule mononucleate del sangue periferico del donatore (PMBC, peripheral blood mononuclear cells) in presenza di fibroblasti autologhi infettati da CMV, seguita dall’espansione clonale in vitro e dalla deplezione delle cellule T CD4+57. Due sono stati i limiti di questa tecnica:

da un lato questa metodica era inapplicabile col donatore sieronegativo31, dall’altro lato la

capacità proliferativa delle cellule presentanti l’antigene in coltura si esauriva nel lungo termine e permaneva in vivo solo per poco tempo, spiegando lo scarso successo di questo approccio58;

inoltre, è stato dimostrato che l’espansione in vitro, probabilmente per l’overstimolazione delle cellule T, è associata a iper-espressione della molecola Fas pro-apoptotica e ad espressione del CD2859.

Dunque, benché si potesse generare un numero clinicamente utile di linfociti T virus-specifici partendo da un piccolo volume di sangue tramite la stimolazione e l’espansione in vitro, il passo successivo è stato quello di isolare linfociti T specifici direttamente dal sangue periferico di un donatore sieropositivo, senza ricorrere all’espansione in vitro: si riteneva che la proliferazione fosse molto più efficiente in vivo piuttosto che a seguito di una coltura intensiva in vitro54 [Figura

15].

Figura 15: tecniche per l'isolamento di linfociti T virus-specifici54. È possibile generare cellule T virus-specifiche tramite stimolazione in vitro ed espansione, oppure per selezione diretta. Tramite l’approccio in vitro è possibile

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ottenere grandi quantità di cellule T partendo da un piccolo volume di sangue; tramite l’approccio di selezione diretta da sangue periferico del donatore è possibile ottenere, invece, piccole quantità di cellule T, le quali vengono infuse nel paziente e, in condizioni fisiologiche, vanno incontro ad espansione in vivo.

Una prima risorsa promettente può essere rappresentata dai trapianti da SCO, dal quale possono essere estrapolati linfociti T virus-specifici, in particolare per i pazienti pediatrici60. Uno

studio si è posto come obiettivo quello di dimostrare l’applicabilità e la sicurezza di questa metodica per la gestione terapeutica dell’infezione sia da CMV che da EBV (Epstein-Barr virus) e ADV (adenovirus), sfruttando il 20% del campione di SCO per la generazione di linfociti T virus- specifici61 [Figura 16].

Figura 16: il TCSE da SCO e la generazione di linfociti T CMV-specifici61. CMV = citomegalovirus; SCO = sangue cordonale ombelicale; TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Le risposte mediate dai linfociti T virus-specifiche sono state misurate al momento dell’infusione e poi periodicamente, tramite l’analisi enzima-collegata immunospot (ELISPOT) di interferone γ (IFN-γ) in risposta alla stimolazione con antigeni virali [Figura 17-A]; i pazienti trattati per infezioni virali attive [Figura 17-B] hanno dimostrato, dopo 3 mesi dall’infusione, una

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ricostituzione immunitaria di linfociti T virus-specifici superiore rispetto ai pazienti trattati con profilassi senza infezione o riattivazione virale [Figura 17-C]61. I linfociti hanno dimostrato di

persistere nel lungo termine e di ricostruire l’immunità antivirale per impedire le infezioni virali o, eventualmente, per incrementare l’azione terapeutica dei farmaci utilizzati per il trattamento delle infezioni attive da CMV, EBV e ADV in pazienti ad alto rischio61.

Figura 17: la persistenza delle cellule T e la carica virale in pazienti trattati con linfociti T virus-specifici da SCO61. Nella parte (A) sono mostrati i dati relativi a un paziente di riferimento con riattivazione virale, nel quale la carica virale incrementa e poi si azzera dopo l’incremento delle cellule T specifiche per pp65 nel sangue periferico del paziente. Nelle parti (B) e (C) vengono messi a confronto due gruppi, uno trattato con infusione di linfociti T virus- specifici (B) e uno trattato con profilassi (C), valutati a 3 mesi dal TCSE: di ciascuno si considerano i livelli di linfociti T specifici per CMV, EBV e ADV. ADV = adenovirus; CMV = citomegalovirus; EBV = Epstein-Barr virus; pp = fosfoproteina; SCO = sangue cordonale ombelicale; TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

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In generale, dunque, la selezione diretta dal sangue periferico del donatore consente di ottenere un numero più esiguo di cellule T (rispetto a quanto ottenuto con l’espansione in vitro), le quali vengono infuse nel paziente per andare poi incontro ad un’espansione efficace, capace di indurre la clearance virale e garantire una protezione sostenuta. Sono state sviluppate queste nuove tecnologie basate sull’uso di citochine, di tetrameri, pentameri e streptameri (Streptamer technology) per generare cellule T CMV-specifiche35: il trasferimento di tali cellule permette di

ricostituire l’immunità mediata dai linfociti T virus-specifici ed è stato riscontrato il successo di questa metodica trasferendo una quantità di cellule T CMV-specifiche pari a 1x103/kg62. Dosi

elevate di steroidi possono interferire con la funzione citotossica delle cellule T nei confronti del CMV e, di conseguenza, possono interferire con l’efficacia dell’immunoterapia adottiva35.

Queste nuove tecnologie non consentono soltanto la selezione di cellule T CMV-specifiche, ma permettono anche la selezione di cellule T specifiche per molteplici antigeni e molteplici patogeni; sono in corso dei trials specifici per studiare il trasferimento di queste cellule a seguito del TCSE T-depleto63. Siamo arrivati a produrre linfociti T “tri-virali”, capaci di riconoscere il CMV,

l’EBV e l’ADV: per ottenerli, sono stati utilizzati linfociti B specifici per EBV ed infettati precedentemente con un ADV (modificato affinché esprimesse l’antigene pp65 del CMV); successivamente è stata fatta l’espansione in vitro dei linfociti T CD8+ dopo essere stati esposti

a tali linfociti B64. 10 pazienti con infezione da CMV sono stati trattati con questi linfociti T: tutti

i pazienti hanno manifestato un aumento dell’immunità mediata dai linfociti T specifica per CMV, misurato con analisi ELISPOT, e la maggior parte ha riscontrato un miglioramento del quadro clinico64.

Attualmente è in corso un trial clinico multinazionale di fase 3 (TRACE), allo scopo di ottenere evidenze cliniche che permettano di includere il trasferimento adottivo di cellule T virus- specifiche nelle linee guida del trattamento evidence-based, e di renderlo disponibile come terapia standard per le infezioni virali refrattarie post-TCSE in futuro54.

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