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CAPITOLO 2 – La relazione tra il citomegalovirus e il trapianto di cellule staminal

2.2 Rischio di infezione da CMV

L’infezione da CMV rappresenta la più comune infezione nei soggetti che ricevono un TCSE allogenico [Figura 8] ed è alla base di morbidità e mortalità significative: la mortalità per CMVD in questi soggetti può arrivare al 60%1.

Figura 8: le infezioni successive al TCSE30. Le infezioni successive al TCSE rappresentano uno degli ostacoli principali nella pratica clinica e, fra queste, un ruolo importante è ricoperto dal CMV. È possibile inoltre che si verifichino più infezioni nel medesimo paziente, ponendo problemi di diagnosi differenziale: i batteri Gram negativi sono responsabili di un’infezione gastrointestinale capace di simulare l’epatite da CMV, così come altre patologie non infettive possono simulare infezioni batteriche, virali o fungine. CMV = citomegalovirus; TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Storicamente, per l’infezione da CMV si riconoscono la fonte endogena e la fonte esogena: con il ricorso ad emocomponenti e, nell’era moderna, alla filtrazione, il tasso di infezioni esogene è prossimo allo 0%, motivo per cui risulta essere rilevante soltanto l’infezione endogena. Inoltre anticorpi specifici per CMV possono essere trasferiti passivamente tramite l’utilizzo di emocomponenti oppure tramite il ricorso alla somministrazione di immunoglobuline endovena. La sieropositività per CMV e la riattivazione dell’infezione sono associate a un outcome avverso del TCSE. Il primo fattore di rischio per la riattivazione del CMV è rappresentato dallo stato sierologico del donatore e del ricevente – la riattivazione è comunque rara nel TCSE autologo, a meno che questo non si accompagni a deplezione di linfociti T1. Nel caso del TCSE allogenico, il

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tasso di infezione da CMV è compreso tra il 25% e lo 0% in base al tipo di donatore, perché la discrepanza tra donatore e ricevente è considerata ad alto rischio di CMVD, a causa della mancanza di una risposta immunitaria adattativa1: infatti la determinazione delle IgG ha un

valore prognostico fondamentale, mentre lo screening per le IgM fa parte generalmente del work-up pre-trapianto. Il rischio più alto si riscontra nel caso in cui il donatore sia negativo (D-)

ed il ricevente sia positivo (R+), mentre il rischio più basso si riscontra nel caso di donatore e

ricevente negativi (D-/R-)1; dal quadro più rischioso al quadro meno rischioso, dunque, abbiamo:

D-/R+> D+/R+ > D+/R- > D-/R-.

Molti studi hanno evidenziato una riduzione nella sopravvivenza globale (OS, overall survival) se il paziente è sieropositivo per CMV, rispetto al paziente sieronegativo31.

Il momento in cui si realizza l’infezione da CMV è di importanza fondamentale dal punto di vista prognostico, perché riattivazioni precoci sono associate ad una più alta mortalità non correlata a recidiva (NRM, non-relapse mortality) e ad una peggiore OS.

Il tasso di CMVD è calato al 3-6% a seguito dell’introduzione degli attuali protocolli terapeutici, nonostante ancora non si abbia una strategia preventiva ottimale che riceva un consenso omogeneo; prima della terapia pre-emptive, le riattivazioni tardive del CMV si accompagnavano ad elevate morbidità e mortalità nei pazienti riceventi il TCSE.

La riattivazione del CMV è associata inoltre ad un aumentato rischio di infezioni secondarie sia batteriche che fungine31: per esempio, la CMVD rappresenta un fattore di rischio indipendente

per aspergillosi e candidemia1.

Ad oggi sono in fase di studio i cosiddetti effetti “indiretti” dell’infezione da CMV, intendendo la relazione che sussiste tra il CMV e il fallimento del trapianto, la GVHD, le infezioni secondarie e l’aterosclerosi.

Come sappiamo, alla base dello sviluppo dell’infezione da CMV abbiamo uno squilibrio tra la replicazione virale e le difese dell’ospite: sembra che la replicazione attiva dei progenitori nel midollo osseo dopo il TCSE possa rappresentare un ambiente favorevole alla replicazione del CMV; diversi fattori di rischio pre-trapianto e trapianto-correlati possono contribuire a costituire tale microambiente: ad esempio, il ricevente può essere affetto da un’immunodeficienza primitiva, oppure può essere stato eseguito un trapianto da sangue cordonale. La manipolazione del trapianto e l’irradiazione totale (TBI, total body irradiation) possono essere considerati dei fattori predisponenti a questo quadro.

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2.3 Terapia pre-emptive

La terapia pre-emptive è volta ad impedire l’insorgenza della CMVD nei soggetti sottoposti a TCSE allogenico e viene attuata in base all’identificazione del CMV nel sangue: purtroppo per questo elemento non esiste un valore soglia standardizzato, tanto che l’inizio della terapia pre- emptive viene stabilito dopo un’analisi del rapporto che sussiste tra il rischio di insorgenza di CMVD e la tossicità correlata ai farmaci.

I fattori di rischio per CMVD tardiva o ricorrente sono i seguenti:

 GVHD, in particolare quando vengono somministrati farmaci antinfiammatori steroidei ad un dosaggio superiore a 1 mg/kg;

 donatori MMUD, APLO o SCO;

 infezioni ricorrenti da CMV dopo la terapia pre-emptive;

 linfopenia a 100 giorni dal TCSE;

 trapianto D-/R+;

 deplezione di linfociti T.

I farmaci che possono essere utilizzati in regime preventivo sono i seguenti: ganciclovir (GCV), valganciclovir (VGCV), foscarnet (FOS), cidofovir (CDV) e acyclovir (ACV).

GCV è un analogo della guanosina che, dopo la fosforilazione della chinasi UL97 del CMV, interrompe la catena durante la replicazione del DNA virale3; rappresenta il farmaco di prima

linea nel trattamento dell’infezione, della riattivazione e della malattia da CMV31. È inoltre

disponibile una formulazione topica del GCV da applicare nell’occhio dei soggetti con retinite importante3. Tra le reazioni avverse abbiamo la mielotossicità e la neutropenia31: la

mielotossicità rende questo farmaco poco maneggevole dopo il TCSE, considerato inoltre che, per prevenire la GVHD, frequentemente si utilizza il micofenolato mofetile (MMF), farmaco col quale il GCV ha delle interazioni pericolose.

VGCV è un estere del GCV che, una volta assorbito a livello gastrointestinale, viene idrolizzato a GCV e ne rappresenta una valida alternativa orale31. Due studi di farmacocinetica hanno

dimostrato che con VGCV è possibile ottenere un’esposizione a tale farmaco pari o addirittura superiore a quella derivante dall’assunzione del GCV32, conservando la stessa efficacia e la stessa

sicurezza.

FOS è un analogo del pirofosfato ed inibisce l’attività della DNA polimerasi3; è un farmaco che

determina i medesimi effetti del GCV ma che, differentemente da questo, non causa mielotossicità. La tossicità da FOS è data da squilibri idroelettrolitici, irritazione od ulcerazione genitale ed alterazione della funzione renale, motivo per cui il FOS talvolta figura come farmaco di seconda linea a seguito del fallimento o dell’intolleranza del GCV31.

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CDV è un analogo nucleotidico il cui utilizzo sta decrescendo, in quanto responsabile di tossicità renale, oculare e gastrointestinale31; la sua somministrazione dovrebbe accompagnarsi alla

somministrazione di un farmaco uricosurico come il probenecid e ad una adeguata idratazione. ACV (come un suo derivato, il valacyclovir o VACV) è un farmaco non propriamente attivo nei confronti del CMV, ma che può essere utilizzato sia in regime di terapia pre-emptive che di profilassi.

Alcuni studi hanno valutato l’impatto di leflunomide33 e artesunato34 nei pazienti nei quali le

altre terapie hanno fallito, mostrando risultati variabili.

Per la terapia pre-emptive di prima linea abbiamo le seguenti raccomandazioni35:

 possono essere utilizzati indipendentemente GCV endovena o FOS;

 VGCV per os può essere utilizzato al posto di GCV o FOS, fatta eccezione per i pazienti con GVHD gastrointestinale severa.

La scelta del farmaco dipende dalle specifiche tossicità e dalle pregresse esposizioni a farmaci antivirali; inoltre, i dosaggi vanno modulati sulla base della funzionalità renale del singolo paziente35. Il monitoraggio del GCV può aiutare a ridurne gli effetti avversi e a guidare la

terapia35.

Per la terapia pre-emptive di seconda e di terza linea abbiamo le seguenti raccomandazioni:

 CDV può essere utilizzato come farmaco di seconda o terza linea al dosaggio di 5 mg/kg a settimana, associato a un attento monitoraggio della funzionalità renale36;

 la combinazione di GCV e FOS a dosaggi dimezzati può essere considerata come terapia di seconda o di terza linea37;

 per tutte le terapie di seconda o di terza linea si ritiene opportuno, se possibile, ridurre l’immunosoppressione35;

 nei pazienti resistenti o refrattari alle terapie di seconda e di terza linea si può considerare l’utilizzo di leflunomide o artesunato35.

Questi farmaci vengono somministrati a dosaggi di induzione per due settimane o più, a seconda delle necessità, cui seguono dosaggi di mantenimento [Tabella 2]. L’incremento della carica virale o dell’antigenemia entro le prime due settimane di trattamento non rende necessario cambiare la terapia35.

I dosaggi di mantenimento vengono mantenuti fintanto che il DNA del CMV non risulta impercettibile in due determinazioni eseguite dopo la seconda settimana di terapia a dose di mantenimento – a meno che non sussistano dei fattori di rischio, come la somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi per controllare l’aGVHD.

36 Farmaco Dosaggio GCV Induzione: 5 mg/kg/bid ev Mantenimento: 5 mg/kg/die ev VGCV Induzione: 15-18 mg/kg/bid os Mantenimento: 15-18 mg/kg/die os

FOS Induzione: 90 mg/kg/bid ev

Mantenimento: 90 mg/kg/die ev

CDV Induzione: 5 mg/kg/sett ev

Mantenimento: 5 mg/kg/2sett ev

ACV 500 mg/m2/tid ev oppure 18 mg/kg x5/die os

VACV Se 20-40 kg: 500 mg/tid os, a meno che non si usi ACV ev

Tabella 2: i farmaci e i dosaggi utilizzati in terapia pre-emptive. ACV = acyclovir; CDV = cidofovir; FOS = foscarnet;

GCV = ganciclovir; VACV = valacyclovir; VGCV = valganciclovir.

2.4 Profilassi

La profilassi utilizza i medesimi farmaci e i medesimi dosaggi utilizzati nella terapia pre-emptive e viene attuata in pazienti con particolare rischio di infezione da CMV o di CMVD: fra questi abbiamo i pazienti che ricevono SCO oppure il trapianto da donatore APLO con selezione dei CD34+. Vi sono pazienti nei quali, infatti, la terapia pre-emptive non ha effetto e questi sono

coloro che hanno una risposta da parte dei linfociti T CMV-specifici significativamente compromessa.

La terapia profilattica viene attuata nei primi giorni dopo l’infusione e prima dell’attecchimento, utilizzando dosi elevate di ACV o VACV; dopo l’attecchimento, si sostituiscono tali farmaci con GCV. Lo schema della profilassi resta comunque molto personalizzato, perché bisogna fare riferimento ai fattori di rischio del singolo caso e non risulta fattibile, al momento, mettere in atto una profilassi dell’infezione da CMV nei TCSE che sia valida a livello globale. Il GCV risulta essere efficace e sicuro in regime di terapia pre-emptive, mentre nella terapia profilattica provoca una riduzione dei tassi di infezione ma non interferisce con la mortalità derivante da essa, perché presumibilmente subentra la neutropenia a favorire altre possibili infezioni.

2.5 Terapia per la CMVD

I precedenti approcci descritti sono volti a impedire l’insorgenza della CMVD.

È possibile però che la CMVD si manifesti comunque e la sua gestione terapeutica si affida ai medesimi farmaci visti precedentemente – esclusi ACV e VACV, il cui utilizzo si ha solo in regime di prevenzione.

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I farmaci di prima linea per la terapia della CMVD sono GCV e VGCV e il trattamento andrebbe prolungato fintanto che non si ha la risoluzione del danno d’organo CMV-mediato; in alcuni casi può essere opportuno ricorrere all’utilizzo di due antivirali.

Per quanto riguarda la polmonite da CMV e l’utilizzo delle immunoglobuline a somministrazione endovenosa, il loro ruolo rimane controverso38: storicamente, la terapia standard della

polmonite da CMV, benché mai studiata formalmente in trials controllati, era rappresentata dalla combinazione di GCV endovena e immunoglobuline endovenose ad alte dosi39; un’ampia

analisi retrospettiva del 2015, però, non ha riscontrato un effetto positivo da parte delle immunoglobuline CMV-specifiche38 e nessuno studio ha individuato l’eventuale superiorità delle

immunoglobuline CMV-specifiche rispetto a quelle standard35. L’utilizzo delle immunoglobuline

non è raccomandato in nessun’altra manifestazione di CMVD che non sia la polmonite40.

Le raccomandazioni per il trattamento della CMVD sono le seguenti35:

 GCV può essere utilizzato come farmaco per il trattamento della CMVD;

 FOS può essere utilizzato al posto di GCV qualora quest’ultimo non possa essere somministrato per la sua tossicità o per lo sviluppo di una resistenza nei suoi confronti;

 si può considerare l’aggiunta di immunoglobuline per il trattamento della polmonite da CMV;

 CDV o la combinazione di FOS e GCV a dosi piene possono essere utilizzati come terapia di seconda o di terza linea;

 per patologie diverse dalla polmonite possiamo ricorrere a GCV, VGCV o FOS, senza aggiungere le immunoglobuline;

 per la retinite da CMV possiamo ricorrere a delle iniezioni intravitreali di GCV o FOS, in combinazione con la terapia sistemica;

 VGCV può essere utilizzato al posto di GCV o di FOS, fatta eccezione per il paziente con GVHD gastrointestinale severa.

Tutti i dosaggi devono essere adeguati alla funzionalità renale del paziente35.

Il ricorso a tali farmaci richiede un’opportuna titolazione, sia per quanto riguarda le tossicità attribuibili ai singoli farmaci, sia per quanto riguarda le interazioni che possono realizzarsi tra i vari farmaci somministrati al paziente – al tempo stesso, purtroppo, ancora non sono disponibili degli standard di monitoraggio in merito.

Sulla base di questo si introduce il concetto di “resistenza clinica”, che rappresenta una delle cause principali di fallimento terapeutico e che si verifica quando la tossicità o le reazioni avverse ad un farmaco sono tali da renderne inopportuno l’utilizzo in pratica clinica: per esempio, possono essere presenti dei fattori che interferiscono con l’assorbimento di uno specifico

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farmaco, compromettendone l’efficacia e portando al mancato controllo della replicazione virale. È un problema comune nei pazienti che assumono farmaci anti-CMV e purtroppo non risulta sufficiente sostituire il farmaco con un altro antivirale: la situazione si rende più complessa.

Nella seguente tabella [Tabella 3] sono riassunti i principali farmaci.

Tabella 3: i principali farmaci utilizzati nel trattamento del CMV, i loro regimi di utilizzo e le reazioni avverse3. HCT = trapianto di cellule emopoietiche; HIV = virus dell’immunodeficienza umana; SOT = trapianto di organo solido.

2.6 Resistenze farmacologiche

Un altro tipo di resistenza, che si somma alla resistenza clinica, è la resistenza da parte del CMV alle terapie antivirali, fenomeno che può manifestarsi nei confronti di tutti i farmaci attualmente disponibili3. Ad oggi la frequenza di tali resistenze varia dallo 0% al 10% tra le differenti

popolazioni di pazienti presi in esame, perché tale valore dipende da parametri come il tipo di trapianto, l’età del paziente, i regimi terapeutici utilizzati ed i fattori di rischio35.

La resistenza alle terapie antivirali solitamente emerge dopo diverse settimane di terapia35 e il

sospetto di resistenza clinica o virale può nascere dal riscontro di un incremento dell’antigenemia da CMV o della carica virale, o dalla progressione dei sintomi della CMVD41.

In sintesi, dunque, la resistenza clinica dipende dai fattori dell’ospite, mentre la resistenza virale dipende da mutazioni nel suo genoma35.

Attualmente si utilizzano le seguenti definizioni35:

refrattarietà: pazienti nei quali la carica virale nel sangue o nel plasma aumenta di più di 1 log10 dopo almeno due settimane di terapia antivirale appropriata;

probabile refrattarietà: pazienti nei quali la carica virale persiste ma non aumenta di più di 1 log10 dopo almeno due settimane di terapia antivirale appropriata;

resistenza: pazienti nei quali i sintomi della CMVD peggiorano dopo almeno due settimane di terapia antivirale appropriata.

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Come trattato nel capitolo precedente, a livello del genoma abbiamo dei geni implicati nelle resistenze farmacologiche: tra questi possiamo nominare UL973, UL5431 e UL5642, mutazioni che

vengono indagate tramite analisi genotipiche con il sequenziamento del DNA35.

GCV viene fosforilato a GCV monofosfato dalla fosfotransferasi codificata dal gene UL97 del CMV e, così attivato, inibisce la DNA polimerasi virale31. Mutazioni a carico della chinasi UL97 sono

responsabili della resistenza al GCV13, al VGCV e al MBV, ma non tutte le mutazioni hanno lo

stesso impatto: alcune di esse, come la mutazione C592G, comportano un basso livello di resistenza al GCV, che può essere compensato aumentando la dose del GCV o del VGCV, spesso senza dover ricorrere alla sostituzione del farmaco4. Le mutazioni a carico di UL97 rappresentano

la prima mutazione dimostrata nel 90% dei casi.

Figura 9: la mappa del gene UL97 del CMV4. Nella parte (A) sono descritte le regioni funzionali della chinasi UL97 (pUL97). Nella parte (B) sono identificati i codoni corrispondenti alle regioni funzionali di pUL97 e le mutazioni correlate alle conseguenti resistenze farmacologiche. CMV = citomegalovirus; UL = segmento unico lungo.

Mutazioni a carico della DNA polimerasi UL54 sono responsabili della resistenza al FOS e della cross-resistenza a CDV e GCV12.

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Figura 10: la mappa del gene UL54 del CMV4. Nella parte (A) sono descritte le regioni funzionali della DNA polimerasi. Nella parte (B) sono identificate le mutazioni di UL54 correlate alle conseguenti resistenze farmacologiche. Nella parte (C) sono identificati i codoni corrispondenti alle regioni funzionali della DNA polimerasi e alle mutazioni di UL54. CMV = citomegalovirus; DNA = acido desossiribonucleico; UL = segmento unico lungo.

Un’altra forma di resistenza è determinata dalla mutazione C325Y di UL56 e si ripercuote sull’efficacia di letermovir (LTV): i risultati ottenuti in vitro associano la mutazione ad una resistenza di elevato livello, tale per cui EC50 di LTV aumenta di 5000 volte lo standard42.

In generale, la resistenza ai farmaci antivirali deve essere sospettata laddove si abbia una scarsa risposta clinica e virologica nei confronti di una specifica terapia antivirale, dopo aver escluso altre possibili cause31.

Di seguito sono riassunti i meccanismi d’azione dei principali farmaci e le resistenze corrispondenti [Figura 11].

Figura 11: i meccanismi d'azione dei farmaci antivirali e le resistenze associate4. La fosforilazione di GCV e VGCV dipende dall’azione di pUL97, mentre la fosforilazione di CDV è indipendente da essa, in quanto abbiamo chinasi cellulari responsabili dell’aggiunta del gruppo fosfato su CDV stesso; GCV, VGCV e CDV competono con il dNTP

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(deossinucleotide trifosfato) per il sito di legame su pUL54 (DNA polimerasi). FOS invece non necessita di fosforilazione e, una volta che tale farmaco si trova all’interno della cellula infettata da CMV, inibisce direttamente la replicazione del DNA virale tramite il legame che stabilisce su pUL54 col sito del pirofosfato. Alterazioni a carico di pUL97 conferiscono una resistenza a GCV e VGCV; alterazioni a carico del sito catalitico di pUL54 o aumenti relativi della sua attività esonucleasica conferiscono una resistenza a GCV, VGCV e CDV; alterazioni a carico del sito di legame del pirofosfato su pUL54 conferiscono una resistenza a FOS. CDV = cidofovir; dNTP = deossinucleotide trifosfato; FOS = foscarnet; GCV = ganciclovir; UL= segmento unico lungo; VGCV = valganciclovir.

Un tema importante resta dunque la gestione terapeutica di fronte allo sviluppo delle resistenze nei confronti di questi farmaci.

Un concetto importante è espresso dal parametro EC50: indica la concentrazione di farmaco che conferisce il 50% della risposta massimale e viene utilizzato come espressione della resistenza virale al farmaco stesso.

Uno spunto in merito viene offerto dall’algoritmo sviluppato dall’Anderson Cancer Center4: si

sospetta la resistenza ai farmaci antivirali nel momento in cui la viremia non migliora dopo due settimane di terapia adeguata, oppure nel momento in cui peggiora o insorge la CMVD dopo più di sei settimane di terapia. A questo punto valutiamo la terapia che il paziente sta assumendo: una resistenza nei confronti di GCV o VGCV fa sospettare una mutazione a carico di UL97 e richiede di passare alla terapia con FOS [Figura 12], mentre una resistenza nei confronti di FOS fa sospettare una mutazione a carico di UL54 e richiede l’aggiunta di GCV [Figura 13].

Figura 12: l'algoritmo terapeutico redatto da Anderson Cancer Center di fronte alla resistenza farmacologica mediata dalla mutazione di UL974. CMV = citomegalovirus; FOS = foscarnet; GCV = ganciclovir; VGCV = valganciclovir; UL = segmento unico lungo.

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Se viene confermata la mutazione in UL97, valutiamo il parametro EC50 per GCV: se questo è aumentato di un valore superiore a 5 volte continuiamo la terapia con FOS, eventualmente aggiungendo leflunomide. Se invece assistiamo ad un incremento del valore di EC50 pari o inferiore a 5 volte, valutiamo la presenza di danno d’organo terminale: se presente continuiamo con FOS, eventualmente aggiungendo leflunomide; se assente, optiamo per la somministrazione di GCV a dosi doppie rispetto allo standard (7,5-10 mg/kg/bid ev), eventualmente associandolo a FOS con dosaggio dimezzato (90 mg/kg/die ev)4.

Figura 13: l'algoritmo terapeutico redatto da Anderson Cancer Center di fronte alla resistenza farmacologica mediata dalla mutazione di UL544. CMV = citomegalovirus; CDV = cidofovir; FOS = foscarnet; GCV = ganciclovir; UL = segmento unico lungo.

Se invece viene confermata la mutazione in UL54, bisogna tenere in considerazione il fatto che ad essa possono conseguire cross-resistenze importanti4:

 se abbiamo una cross-resistenza verso GCV e FOS passiamo a CDV, eventualmente aggiungendo leflunomide;

 se abbiamo una cross-resistenza verso GCV e CDV dobbiamo continuare con FOS, eventualmente aggiungendo leflunomide;

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