• Non ci sono risultati.

Impatto della riattivazione del citomegalovirus sull'outcome dei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche per patologie maligne: studio retrospettivo del Centro Trapianti dell'Unità Operativa di Oncoematologia Pediatric

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Impatto della riattivazione del citomegalovirus sull'outcome dei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche per patologie maligne: studio retrospettivo del Centro Trapianti dell'Unità Operativa di Oncoematologia Pediatric"

Copied!
85
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Impatto della riattivazione del citomegalovirus

sull’outcome dei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto

di cellule staminali emopoietiche per patologie maligne:

studio retrospettivo del Centro Trapianti dell’Unità

Operativa di Oncoematologia Pediatrica di Pisa

Relatore

Chiar.mo Prof. Diego Peroni

Correlatrice

Dott.ssa Mariacristina Menconi

Candidata

Beatrice Esposito Vangone

(2)

2

Abstract

L’infezione da CMV rappresenta una forte preoccupazione nel paziente immunocompromesso, in particolare nel paziente sottoposto a TCSE: il nostro studio è volto ad indagare l’impatto che la riattivazione da CMV può determinare sull’outcome di tali pazienti.

È stato condotto uno studio retrospettivo includendo pazienti di età inferiore ai 18 anni, che siano andati incontro al loro primo TCSE eseguito nel nostro centro, per trattare una patologia maligna. Abbiamo definito l’infezione da CMV come l’isolamento del virus, o identificazione delle proteine virali (quali l’antigene pp65) o dell’acido nucleico, in un campione tissutale o di liquido biologico; la CMVD è tale invece quandoidentifichiamo specifici segni e sintomi d’organo in associazione alla documentata presenza del CMV nei tessuti coinvolti

.

I pazienti sono stati classificati sulla base della presenza dell’infezione da CMV. Per stabilire la probabilità di OS, DFS e GRFS sono stati utilizzati il metodo di Kaplan-Meier e il test dei ranghi logaritmici (log-rank test); per stabilire la probabilità di insorgenza di infezione di CMV, NRM, recidiva, aGVHD di grado compreso tra 2 e 4, cGVHD, attecchimento di PMN e PLT sono stati usati il test di Gray e le valutazioni d’incidenza cumulativa. Le tempistiche di insorgenza dell’infezione sono state stratificate in base ai principali fattori di rischio utilizzando analisi della varianza, test di Bonferroni e Tukey-Kramer per i confronti post-hoc tra i gruppi e curve di sopravvivenza.

Lo studio è stato condotto su 86 pazienti (dei quali 40 CMVI+ e 46 CMVI-), distinti poi in base al

sesso, al tipo di TCSE, alla patologia trattata, allo stato della patologia pre-TCSE, alla sorgente di CSE, allo stato sierologico pre-TCSE, al ricorso a CSF, al regime di condizionamento, al ricorso alla TBI e al ricorso all’ATG.

Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i pazienti CMVI+ e i pazienti

CMVI- relativamente a OS, DFS, recidiva, NRM, aGVHD, cGVHD, GRFS, tempo di attecchimento

di PMN e di PLT. La aGVHD ha preceduto la riattivazione del CMV e questo è attribuibile primariamente all’utilizzo della terapia steroidea, volta a trattare la aGVHD ma capace di favorire fenomeni infettivi. Altri fattori di rischio emersi nel nostro studio – e responsabili anch’essi dell’incremento della curva relativa alla riattivazione del CMV – sono risultati essere il tipo di TCSE e lo stato sierologico pre-TCSE.

Da questo emerge come la terapia pre-emptive, utilizzata per gestire la riattivazione del CMV, sia efficace al punto tale da far sì che la riattivazione stessa non impatti sull’outcome dei pazienti. La riattivazione del CMV, infine, è promossa da più fattori (terapia steroidea, tipo di TCSE, stato sierologico pre-TCSE), rendendo complessa la definizione del rischio stesso di riattivazione.

(3)

3

Indice

Abstract ... 2

Indice delle figure ... 5

Indice delle tabelle ... 6

Abbreviazioni ... 7

Introduzione ... 10

CAPITOLO 1 – Il citomegalovirus ... 12

1.1 Generalità ... 12 1.2 Genoma ... 13 1.3 Ciclo virale ... 15 1.4 Terminologia ... 17 1.5 Diagnosi ... 18 1.6 Controllo immunitario ... 20 1.7 Contrattacco virale ... 21 1.8 Malattia da CMV (CMVD) ... 22 1.9 Carica virale ... 27

CAPITOLO 2 – La relazione tra il citomegalovirus e il trapianto di cellule staminali

emopoietiche ... 30

2.1 Trapianto di cellule staminali emopoietiche ... 30

2.2 Rischio di infezione da CMV ... 32 2.3 Terapia pre-emptive ... 34 2.4 Profilassi ... 36 2.5 Terapia per la CMVD ... 36 2.6 Resistenze farmacologiche ... 38 2.7 Terapie innovative ... 43

2.8 Immunoterapia cellulare adottiva ... 44

2.9 Vaccini anti-CMV ... 48

(4)

4

CAPITOLO 3 – Studio condotto dal Centro Trapianti dell’Unità Operativa di

Oncoematologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana ... 52

3.1 Premessa ... 52

3.2 Obiettivi dello studio ... 53

3.3 Materiali e metodi ... 53

3.3 Risultati ... 55

3.3.1 Popolazione – statistica descrittiva ... 55

3.3.2 Sopravvivenza globale (OS) ... 58

3.3.3 Sopravvivenza libera da malattia (DFS) ... 59

3.3.4 Recidiva di patologia ... 59

3.3.5 Mortalità non legata a recidiva (NRM) ... 60

3.3.6 Graft versus host disease acuta di grado 2-4 (aGVHD 2-4) ... 61

3.3.7 Graft versus host disease acuta di grado 3-4 (aGVHD 3-4) ... 61

3.3.8 Graft versus host disease cronica (cGVHD) ... 62

3.3.9 Sopravvivenza libera da GVHD e da recidiva (GRFS) ... 63

3.3.10 Attecchimento dei neutrofili (PMN) ... 63

3.3.11 Attecchimento delle piastrine (PLT) ... 64

3.3.12 Mediane ... 65

3.3.13 Panoramica degli endpoints ... 65

3.3.14 Fattori di rischio ... 66

3.3.15 Panoramica dei fattori di rischio... 72

3.4 Discussione ... 73

3.5 Limiti dello studio ... 78

3.6 Prospettive future ... 79

3.7 Conclusioni ... 79

(5)

5

Indice delle figure

Figura 1: le componenti strutturali del CMV ... 12

Figura 2: il genoma del CMV ... 14

Figura 3: i meccanismi di malattia ... 23

Figura 4: la relazione tra la carica virale e la CMVD... 27

Figura 5: la terapia pre-emptive ... 29

Figura 6: l’algoritmo per la selezione del donatore ... 31

Figura 7: la mobilizzazione e l'homing delle cellule staminali emopoietiche nelle nicchie del ricevente ... 31

Figura 8: le infezioni successive al TCSE ... 32

Figura 9: la mappa del gene UL97 del CMV ... 39

Figura 10: la mappa del gene UL54 del CMV ... 40

Figura 11: i meccanismi d'azione dei farmaci antivirali e le resistenze associate ... 40

Figura 12: l'algoritmo terapeutico redatto da Anderson Cancer Center di fronte alla resistenza farmacologica mediata dalla mutazione di UL97 ... 41

Figura 13: l'algoritmo terapeutico redatto da Anderson Cancer Center di fronte alla resistenza farmacologica mediata dalla mutazione di UL54 ... 42

Figura 14: l'immunoterapia cellulare adottiva ... 44

Figura 15: tecniche per l'isolamento di linfociti T virus-specifici ... 45

Figura 16: il TCSE da SCO e la generazione di linfociti T CMV-specifici ... 46

Figura 17: la persistenza delle cellule T e la carica virale in pazienti trattati con linfociti T virus-specifici da SCO ... 47

Figura 18: la sopravvivenza globale ... 58

Figura 19: la sopravvivenza libera da malattia ... 59

Figura 20: l'incidenza cumulativa di recidiva di patologia ... 59

Figura 21: la mortalità non legata a recidiva ... 60

Figura 22: la graft versus host disease acuta di grado 2-4 ... 61

Figura 23: la graft versus host disease acuta di grado 3-4 ... 61

Figura 24: la graft versus host disease cronica ... 62

Figura 25: la sopravvivenza libera da GVHD e da recidiva ... 63

Figura 26: l'attecchimento dei neutrofili ... 63

Figura 27: l'attecchimento delle piastrine ... 64

Figura 28: la riattivazione del CMV in relazione alla patologia trattata ... 66

Figura 29: la riattivazione del CMV in relazione al tipo di TCSE ... 67

Figura 30: la riattivazione del CMV in relazione allo stato sierologico pre-TCSE ... 68

Figura 31: la riattivazione del CMV in relazione alla sorgente di cellule staminali emopoietiche ... 69

Figura 32: la riattivazione del CMV in relazione al regime di condizionamento ... 70

Figura 33: la riattivazione del CMV in relazione all'uso di ATG... 70

(6)

6

Indice delle tabelle

Tabella 1: la CMVD e l’immunocompromissione... 26

Tabella 2: i farmaci e i dosaggi utilizzati in terapia pre-emptive ... 36

Tabella 3: i principali farmaci utilizzati nel trattamento del CMV, i loro regimi di utilizzo e le reazioni avverse ... 38

Tabella 4: la popolazione presa in esame ... 56

Tabella 5: le cellularità infuse e l'età di donatori e pazienti ... 57

Tabella 6: le cellularità per i trapianti da donatore APLO ... 57

Tabella 7: le mediane relative ad aGVHD e attecchimento PMN e PLT ... 65

Tabella 8: visione globale degli endpoints analizzati ... 65

(7)

7

Abbreviazioni

ACV = acyclovir

AD = active disease – malattia attiva ADV = adenovirus

aGVHD = graft versus host disease acuta AIDS = sindrome da immunodeficienza acquisita

aKIR = activating killer-cells immunoglobulin-like receptors APLO = aploidentico

ATG = globulina anti-timocita att. = attecchimento

BAL = lavaggio bronco-alveolare BM = bone marrow – midollo osseo Bu = busulfan

CDV = cidofovir

cGVHD = graft versus host disease cronica CIBMTR = Center for International Blood and Marrow Transplant Research CMV = citomegalovirus

CMVD = cytomegalovirus disease – malattia da citomegalovirus

CMVI = cytomegalovirus infection – infezione da citomegalovirus CSA = ciclosporina A

CSE = cellule staminali emopoietiche CSF = fattore stimolante le colonie Cy = ciclofosfamide

D+/- = donatore

DFS = disease-free survival – sopravvivenza libera da malattia

DLI = donor lymphocyte infusion – infusione di linfociti del donatore

dNTP = desossinucleotide trifosfato DON = donatore

E = eventi

EBV = Epstein-Barr virus

e-cGVHD = graft versus host disease cronica estesa

ELISPOT = analisi enzima-collegata immunospot

EBMT = European Bone Marrow Transplantation F = femmine Flu = fludarabina FOS = foscarnet GCV = ganciclovir gp = glicoproteina

GRFS = GVHD-free relapse-free survival – sopravvivenza libera da GVHD e da recidiva GVHD = graft versus host disease

HAART = higly active antiretroviral therapy – terapia antiretrovirale ad alta attività hCMV = citomegalovirus umano HHV = herpesvirus umano

HLA = human leukocytes antigen – antigene leucocitario umano HSCT = hematopoietic stem cell transplantation

IBD = inflammatory bowel disease – malattia infiammatoria cronica

IBMTR = International Blood and Marrow Transplant Research

IC = intervallo di confidenza IE = immediato-precoce

(8)

8 IFNγ = interferone gamma

iKIR = inhibitory killer-cells immunoglobulin-like receptors IRL = ripetizione inversa del TRL IRS = ripetizione inversa del TRS IVIGs = intravenous immunoglobulins – immunoglobuline endovena

KIR = killer-cells immunoglobulin-like receptors

LLA = leucemia linfoblastica acuta LMA = leucemia mieloide acuta LMC = leucemia mieloide cronica LNH = linfoma non Hodgkin LTV = letermovir

M = maschi

MA = mieloablativo MBV = maribavir Mel = melfalan

MICB = MHC class I polypeptide-related sequence B

MIEP = major immediate-early promoter MMF = micofenolato mofetile

MMUD = mismatched unrelated donor – donatore non imparentato e parzialmente compatibile

MSD = matched sibling donor – donatore fratello HLA-identico

MUD = matched unrelated donor – donatore non imparentato e compatibile N = totale pazienti

NASBA = nucleic acid sequenced base amplification

NBL = neuroblastoma NK = natural killer

NRM = non-relapse mortality – mortalità non legata a recidiva

OS = overall survival – sopravvivenza globale

p = proteina

PBSC = peripheral blood stem cells – cellule staminali da sangue periferico

PCR = reazione a catena della polimerasi PLT = piastrine

PMBC = peripheral blood mononuclear cells

PMN = polimorfonucleati (neutrofili) pp = fosfoproteina

PT-Cy = ciclofosfamide post-trapianto PZ = paziente

R = pazienti a rischio R+/- = ricevente

RC = remissione completa

RIC = condizionamento a intensità ridotta RFS = relapse-free survival – sopravvivenza libera da recidiva

RIC = condizionamento a ridotta intensità RT-PCR = reverse transcription PCR SCO = sangue cordonale ombelicale SMD = sindrome mielo-displastica SOT = trapianto di organo solido

TBI = total body irradiation – irradiazione corporea totale

TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche

Tio = tiotepa

TNC = total nucleated cells – cellule nucleate totali

Tre = treosulfan

(9)

9 TRS = ripetizione terminale corta

UCB = sangue cordonale ombelicale UCBU = umbilical cord blood unit UL = unique long

US = unique short

VACV = valacyclovir VGCV = valganciclovir VZV = varicella zoster virus

(10)

10

Introduzione

Il citomegalovirus (CMV) ha una distribuzione ubiquitaria e l’infezione da CMV (CMVI, cytomegalovirus infection) ha una prevalenza compresa tra il 50% e il 90% nella popolazione generale1, in relazione alle differenze geografiche e socio-economiche. L’infezione da CMV può

essere trasmessa per via verticale o per via orizzontale e può presentarsi come infezione primaria, come riattivazione o come reinfezione; dopo l’infezione primaria il CMV può divenire latente, per poi andare incontro a riattivazione qualora le difese immunitarie si abbassino, come nel caso del paziente immunocompromesso.

L’infezione da CMV non ha un impatto clinico rilevante nel soggetto immunocompetente, mentre ricopre un ruolo fondamentale nel paziente immunocompromesso, nel quale la riattivazione del virus può portare rapidamente alla malattia da CMV (CMVD, cytomegalovirus disease), che può essere fatale. Per questi motivi, la sua importanza nell’ambito del trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE o HSCT, hematopoietic stem cell transplantation) ha portato a numerosi studi a riguardo. Nel contesto del trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche non c’è necessità di un monitoraggio del CMV, dal momento che il rischio di infezione è molto basso.

In passato l’incidenza di tale infezione nel contesto del TCSE era del 20%, associata ad una mortalità fino all’80% dei casi, principalmente a causa della polmonite interstiziale CMV-indotta; sulla base di questo, furono sviluppati i primi approcci terapeutici. Un primo traguardo fu raggiunto combinando il farmaco antivirale ganciclovir (GCV) con le immunoglobuline CMV-specifiche endovena (IVIGs, intravenous immunoglobulins), che insieme ridussero la mortalità al 20-40%2.

Le prime metodiche di diagnosi di infezione come di riattivazione furono rappresentate dalla presenza del CMV nel lavaggio bronco-alveolare (BAL), la cui positività comportava la necessità di somministrare il GCV nella profilassi di tali pazienti, portando ad un decremento importante della polmonite CMV-indotta; successivamente sono subentrate tecniche quali l’utilizzo di anticorpi monoclonali per l’identificazione dell’antigene pp65, per poi arrivare ad un traguardo fondamentale, rappresentato dall’introduzione della tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR). La PCR ha superato in sensibilità e specificità le tecniche precedenti, in quanto consente di indagare la DNAemia, valutando dunque la quantità di copie di DNA presenti nel paziente. A questa metodica di diagnosi oggi si associa anche l’indagine sierologica, volta ad indagare l’espressione delle IgM e delle IgG sia nel paziente che nel donatore.

(11)

11

Gli approcci terapeutici si sono evoluti nel tempo: una volta abbandonate le IVIGs, essendo particolarmente rischioso il loro utilizzo nel contesto del TCSE, sono stati poi introdotti nuovi farmaci antivirali, utilizzati in più protocolli: profilassi (antecedentemente all’incremento della DNAemia), terapia pre-emptive (nel momento in cui la DNAemia supera un determinato cut-off, prima dello sviluppo della CMVD) e trattamento della CMVD (nel momento in cui si manifesta il danno d’organo CMV-indotto).

Ulteriori evoluzioni nella gestione del paziente sottoposto a TCSE sono state rappresentate, da un lato, dall’ottimizzazione dell’identificazione dei pazienti con rischio particolarmente elevato di andare incontro a riattivazione del CMV (per esempio, in base allo stato sierologico del donatore e del paziente), e dall’altro lato dallo sviluppo di un regime di condizionamento a ridotta intensità, che potesse rappresentare un’alternativa al regime mieloablativo affinché potessero essere ridotte le tossicità.

Le attuali preoccupazioni derivano, da un lato, dalla necessità di bilanciare la gestione terapeutica della riattivazione da CMV con la gestione terapeutica della graft versus host disease acuta (aGVHD, acute graft versus host disease), in quanto la prima richiede una terapia antivirale, ma la seconda richiede una terapia immunosoppressiva; dall’altro lato, le preoccupazioni derivano dalla possibile relazione tra la riattivazione del CMV e l’outcome dei pazienti pediatrici sottoposti a TCSE, un argomento tuttora di forte dibattito.

(12)

12

CAPITOLO 1 – Il citomegalovirus

1.1 Generalità

Il citomegalovirus umano (hCMV), conosciuto anche come herpesvirus umano 5 (HHV-5), è un virus ubiquitario della sotto-famiglia β-herpesvirinae, la quale comprende anche HHV-6, HHV-7 e molti CMV animali3.

Soggetti con infezione da parte di uno specifico ceppo di CMV possono manifestare una cross-reattività nei confronti di altri ceppi, ma questo non consente di acquisire una cross-protezione tale da eliminare il rischio di reinfezioni – le quali, infatti, ricorrono frequentemente in pratica clinica.

Il CMV è un virus formato da un genoma avvolto dal capside, dal tegumento e dall’envelope [Figura 1]:

 il capside, che presenta diverse analogie con il capside di altri herpesvirus, rappresenta la struttura proteica che racchiude l’acido nucleico del virus;

 il tegumento è uno strato proteico nel quale risulta essere abbondante la proteina ppUL83 (pp65);

 l’envelope (o pericapside) è lo strato più esterno.

Figura 1: le componenti strutturali del CMV4. Il genoma è impacchettato in un capside icosaedrico circondato da un envelope lipidico. Il tegumento corrisponde allo spazio compreso tra il nucleocapside e l’envelope e contiene fosfoproteine virali, come l’antigene pp65. CMV = citomegalovirus; pp = fosfoproteina.

(13)

13

Particolare attenzione va posta alla proteina pp65, che presenta diverse funzioni e ricopre un ruolo immunomodulatore: essa influenza la presentazione dei peptidi immediati-precoci (IE, immediate early), down-regola l’HLA-1 (human leukocytes antigen 1) e inibisce la risposta da parte delle cellule NK (natural killer). La pp65 viene ampiamente utilizzata nella valutazione dell’antigenemia diagnostica per CMV, sia per quanto riguarda i TCSE che per i trapianti di organi solidi (SOT, solid organ transplantation), in quanto rappresenta un marker di replicazione in atto. Nonostante questo, comunque, l’avvento della tecnica della PCR ha fatto sì che questa diventasse la metodica di scelta per la diagnosi di infezione da CMV, dato l’incremento eclatante della sensibilità nell’identificazione del CMV stesso5.

1.2 Genoma

Il genoma del CMV comprende circa 230kb (arrivando a rappresentare il più largo genoma apprezzabile tra i virus umani finora conosciuti) e contiene 200 geni codificanti per proteine1.

Tale genoma è costituito da segmenti unici lunghi (UL, unique long) e segmenti unici corti (US, unique short), ognuno dei quali è affiancato da ripetizioni inverse (RL e RS) [Figura 2]. Per quanto la quasi totalità dei geni codifichi per proteine, abbiamo anche alcuni geni che esprimono unicamente degli RNA non codificanti, inclusi approssimativamente 14 micro-RNA (mRNA). La porzione centrale della regione UL comprende clusters di geni omologhi ad altri herpesvirus6,

come quelli codificanti per la DNA polimerasi, la glicoproteina B (gB) e la glicoproteina H (gH), mentre il resto del genoma comprende geni ritrovati unicamente nei β-herpesvirus o propri solamente del CMV umano3 – nonostante questo, sono state riscontrate delle variazioni anche

nell’ambito dei singoli CMV umani. Da un punto di vista immunologico, le regioni ipervariabili rappresentano un elemento di interesse: nei pazienti con infezione persistente da CMV, il genotipo del virus risulta essere stabile anche se si rilevano regioni ipervariabili contenenti un certo numero di alleli raggruppati. Questo ci fa pensare che si realizzi una selezione immunologica, che pone dei punti interrogativi circa l’importanza di specifiche variazioni genetiche implicate nelle infezioni umane, l’estensione della variazione del ceppo e l’eventualità di infezioni da parte di ceppi misti7.

(14)

14

Figura 2: il genoma del CMV3. In figura viene rappresentato il ceppo Merlin di CMV, composto da segmenti lunghi e brevi di DNA, ciascuno dei quali è dotato di regioni uniche (UL e US) affiancate da ripetizioni inverse (TRL/IRL e IRS/TRS). Queste ripetizioni contengono sequenze segmento-specifiche (b,b’, c, c’) disposte con orientamento diretto agli estremi del genoma e con orientamento inverso alla giunzione dei due segmenti. I ceppi adattati in laboratorio spesso presentano delezioni di più geni all’estremo destro del segmento UL, con sostituzione tramite geni duplicati dall’estremo sinistro, risultando in regioni TRL e IRL più lunghe rispetto a quanto può essere evidenziato nei ceppi clinici. CMV = citomegalovirus; IRL = ripetizione inversa del TRL; IRS = ripetizione inversa del TRS; TRL = ripetizione terminale lunga; TRS = ripetizione terminale corta; UL = segmento unico lungo; US = segmento unico corto.

Per convenzione, i geni vengono nominati sulla base della loro posizione lungo il genoma, (nonostante alcuni geni vengano nominati con ulteriori termini descrittivi):

la sigla gp indica le glicoproteine;

la sigla pp indica le fosfoproteine;

la sigla p indica le proteine.

Ciascuna sigla viene poi seguita dal locus genetico associato, aggiungendo eventuali nomi preferenziali in parentesi: gpUL74 (gO) indica la glicoproteina codificata dall’open reading frame (ORF) 74, comunemente conosciuta come gO; UL54 è la DNA polimerasi, codificata dal gene 54 appartenente alla regione UL.

(15)

15

1.3 Ciclo virale

L’interazione tra la cellula e il CMV si esplica con le seguenti tappe:

1. l’ingresso del virus nella cellula è mediato da tre glicoproteine: gB, gH e gL, altamente conservate tra i differenti herpesvirus;

2. una volta entrato, il CMV si libera del tegumento (che si dissolve nel citoplasma); 3. il capside viene trasportato al nucleo mediante un apparato microtubulo-dipendente; 4. si avvia l’espressione genica;

5. si ha l’assemblaggio del DNA (packaging) e del capside.

Recenti studi hanno consentito di individuare una modalità di ingresso del CMV dapprima non riconosciuta. Finora abbiamo utilizzato fibroblasti umani diploidi come cellule ospiti per studiare il CMV, il quale riesce a entrare in tali cellule legandosi e fondendosi con la loro membrana plasmatica, tramite un processo mediato dalle interazioni tra le glicoproteine virali (gB, gH, gL) e i recettori di membrana (inclusi le integrine ed eventuali recettori per fattori di crescita)8. Nei

soggetti infetti, però, il CMV si ritrova frequentemente anche nelle cellule endoteliali, nelle cellule epiteliali, nelle cellule del muscolo liscio e in alcune cellule staminali emopoietiche9:

l’ingresso all’interno di tali cellule richiede l’espressione dei geni UL128, UL130 e UL131A10. Molti

ceppi riadattati in laboratorio presentano mutazioni a carico di questi geni, spiegando quindi il fallimento nella replicazione del virus nelle cellule endoteliali ed epiteliali11. Pertanto questi geni

in futuro rappresenteranno un elemento fondamentale nell’ottica di sviluppare dei vaccini opportuni3.

L’espressione dei geni si esplica in tre fasi: la fase immediata-precoce, la fase precoce e la fase tardiva. I geni immediati-precoci vengono trascritti sotto il controllo del promotore maggiore immediato-precoce (MIEP, major immediate early promoter), senza che vi sia la sintesi proteica. MIEP risulta essere quindi cruciale in questa fase di espressione genica e, inoltre, risulta essere ampiamente attivo nelle cellule differenziate ma meno attivo nelle cellule meno differenziate: questo può essere un elemento fondamentale nella transizione dalla latenza alla riattivazione del virus.

La replicazione del virus prosegue, facendo affidamento a due elementi differenti: la trascrizione dei geni del CMV si affida unicamente ai componenti della cellula infettata; il CMV codifica il proprio apparato che permette la replicazione del DNA. Quest’ultimo aspetto è fondamentale, in quanto tale apparato rappresenta uno dei target principali per la terapia antivirale.

(16)

16

Durante la replicazione del CMV viene sintetizzata una singola catena di DNA che contiene molteplici sequenze, ciascuna delle quali va incontro a clivaggio in molteplici sequenze conosciute come monomeri, formando il materale genetico per ciascun virione. Questo processo di replicazione, clivaggio e packaging viene promosso dal complesso enzimatico della terminasi dsDNA (double-stranded DNA)4.

Ad oggi sono stati individuati 11 loci genici necessari per la replicazione del CMV:

UL54: DNA polimerasi;

UL44: proteina associata alla polimerasi;

UL57: proteina legante il singolo filamento di DNA;

UL70, UL105, UL101-102: elicasi-primasi;

UL36-38, IRS-1, IE1/2: transattivatori;

UL84, UL112-113: ruolo ancora sconosciuto.

Infine abbiamo il packaging del DNA e l’assemblaggio del capside: il packaging del DNA, in particolare, richiede la presenza di segnali pac localizzati alla fine del genoma. Queste regioni vengono riconosciute grazie ad un complesso derivante da UL56 e UL89: sulla base della comprensione di questo passaggio è stato sviluppato uno dei nuovi farmaci antivirali, il letermovir (LTV), che agisce proprio contro questo complesso, interferendo così col packaging del DNA del CMV.

Il gene UL54 codifica per la DNA polimerasi virale: una mutazione a suo carico è alla base della resistenza nei confronti del foscarnet (FOS) ed è capace, inoltre, di determinare una cross-resistenza nei confronti di cidofovir (CDV) e GCV12.

Un altro elemento che merita un approfondimento, nonostante non rappresenti un fattore indispensabile in termini di replicazione virale, è la chinasi pUL97: è stato visto, infatti, che ceppi privi del locus UL97 hanno una ridotta capacità di replicazione in vitro. A questo aspetto se ne aggiunge un altro, ovvero che tale proteina è responsabile della fosforilazione del GCV ed è il target del maribavir (MBV): da ciò deriva sia la parziale selettività del GCV nei confronti del CMV sia, in ceppi mutati per UL97, la resistenza al GCV13, al valganciclovir (VGCV) e al MBV.

(17)

17

1.4 Terminologia

L’infezione da CMV si definisce come l’isolamento del virus o l’identificazione di proteine virali (antigeni) o acido nucleico in un qualsiasi campione tissutale o liquido biologico, ovvero plasma, siero, sangue intero, liquor, lavaggio broncoalveolare, fluidi vari, urine, tessuti e leucociti del sangue periferico5.

Il termine “replicazione” può essere utilizzato per intendere la moltiplicazione del virus, ma viene spesso inteso erroneamente come sinonimo di infezione5. Si parla di infezione quando è

presente una viremia percepibile, mentre la replicazione virale attiva non è sufficiente, da sola, a determinare un’infezione: deve essere presente uno squilibrio tra il tasso di produzione di CMV e la clearance immunologica. In un’infezione troviamo il CMV che diffonde nel circolo sanguigno per poi portarsi in varie sedi.

L’infezione primaria da CMV viene definita come la prima identificazione del virus in un soggetto che non ha evidenze di esposizione al virus prima del trapianto: soggetti severamente immunocompromessi, come i riceventi di TCSE, possono non sviluppare specifici anticorpi contro il CMV5.

L’infezione ricorrente da CMV viene definita come il riscontro di infezione da parte del virus in un soggetto nel quale era già stato individuato il virus, il quale però non era più stato riscontrato almeno nelle ultime quattro settimane di sorveglianza attiva. Questa condizione può derivare dalla riattivazione del virus latente (forma endogena) o da reinfezione (forma esogena)5.

La reinfezione è definita come il riscontro di un ceppo di CMV differente rispetto a quello che ha causato l’infezione iniziale5.

La riattivazione del CMV viene definita tale quando il ceppo della precedente infezione e il ceppo dell’infezione in atto risultano essere indistinguibili sulla base del sequenziamento di specifiche regioni del genoma virale, o sulla base di tecniche molecolari che comparano i geni definiti come polimorfi5.

Per malattia d’organo da CMV si intende la polmonite, l’enterite, l’epatite, i disturbi del SNC, la retinite o la nefrite indotti dal virus stesso14; per definizione, è richiesta la presenza di specifici

segni e sintomi d’organo associati al riscontro della presenza del CMV nei tessuti coinvolti. Se quindi abbiamo un’infezione e a questa si aggiunge un ulteriore squilibrio delle difese locali dell’ospite, il danno d’organo conseguente può portare a CMVD.

La viremia è intesa come l’isolamento del CMV tramite tecniche di coltura – oggi comunque raramente utilizzate nel monitoraggio dei riceventi nel TCSE5.

(18)

18

La DNAemia è definita come l’identificazione del DNA del CMV in campioni quali il plasma, il siero, il sangue intero o i leucociti del sangue periferico isolati5.

L’RNAemia viene intesa come l’identificazione dell’RNA del CMV nei medesimi campioni menzionati per la DNAemia5.

Dal punto di vista pratico, i termini “viremia” e “DNAemia” vengono utilizzati come sinonimi, ma il secondo termine risulta essere quello più corretto, essendo cadute in disuso le metodiche di diagnosi colturale.

1.5 Diagnosi

Le metodiche di diagnosi di infezione da CMV si sono evolute nel tempo. Il primo obiettivo è stato quello di riscontrare il CMV nei liquidi biologici e nei tessuti e, a tale scopo, il primo metodo messo in pratica è stato l’utilizzo di anticorpi monoclonali che individuassero l’antigene pp6515:

sono stati utilizzati i PMN, capaci di fornirci il numero di cellule infette sul totale delle cellule analizzate. Nonostante la tecnica fosse veloce e capace di guidare l’approccio terapeutico preventivo, ad oggi è stata abbandonata poiché la sua interpretazione era soggettiva, non vi era una standardizzazione che potesse essere applicata negli studi multicentrici e, infine, non rappresentava più una metodica affidabile nel momento in cui subentrava la leucopenia. Successivamente sono state utilizzate la Reverse Transcription PCR (RT-PCR) e lo studio di sequenze di acidi nucleici (NASBA, nucleic acid sequenced base amplification), utilizzate per identificare la pp67. La RT-PCR si basa sull’utilizzo di mRNA, che permette unicamente di identificare cellule con attiva replicazione virale; la NASBA gode di alta specificità e di alta sensibilità, ma è una metodica molto costosa, che niente aggiunge ai vantaggi forniti dalla Real Time PCR.

La metodica di scelta per l’identificazione del DNA del CMV nei campioni di sangue e per la quantificazione del DNA stesso è quindi la Real Time PCR: il substrato di scelta è il campione di sangue, in quanto la viremia rappresenta l’elemento che meglio correla con la probabilità di CMVD; nei pazienti sottoposti a TCSE possiamo utilizzare pure la saliva o le urine (per quanto le urine vengano utilizzate durante il work-up pre-trapianto, nell’ottica di definire la localizzazione specifica del virus).

L’identificazione del DNA del CMV è essenziale per guidare l’approccio terapeutico preventivo, mentre l’analisi tissutale può risolvere delle diagnosi differenziali importanti, come quella con la GVHD.

(19)

19

La biopsia non è necessaria per la diagnosi di infezione da CMV, ma si può ricorrere a tale metodica nel sospetto di CMVD con malattia d’organo terminale: infatti il riscontro delle inclusioni a “occhio di civetta”, caratteristiche del CMV, correlano con i livelli di viremia16.

Per quanto riguarda l’indagine sierologica si valutano le IgM e le IgG specifiche per CMV, essenziali nel TCSE per studiare lo status del donatore e del ricevente, con una metodica veloce e che richiede poche ore. Le IgM indicano la presenza di un’infezione acuta o quantomeno recente, ma tale riscontro deve essere opportunamente contestualizzato nel momento in cui il paziente presenta positività per altri herpesvirus. Le IgG sono indicative di pregressa infezione da CMV ed impiegano dalle 6 alle 20 settimane per maturare la loro affinità; la loro presenza, inoltre, non garantisce necessariamente una protezione contro l’infezione.

Per fare diagnosi di malattia d’organo da CMV è necessario documentare la presenza del virus con metodiche di isolamento virale, colturali, istopatologiche, immunoistochimiche o di ibridazione in situ, in associazione col riscontro clinico di segni e sintomi di danno d’organo. I fibroblasti rappresentano la linea cellulare di scelta per la replicazione in vitro del CMV, però i ceppi utilizzati in laboratorio presentano delle incongruenze con i ceppi in vivo, poiché i primi sono privi di alcuni ORFs17: infatti la replicazione virale risulta essere lenta all’interno dei

fibroblasti utilizzati in laboratorio, mentre in vivo diviene estremamente rapida. Sulla base di questo capiamo come l’indagine colturale non rappresenti una metodica superiore alla PCR, perché in vitro non riusciamo a stabilire la suscettibilità del CMV agli antivirali, come l’acyclovir; inoltre, raramente riusciamo ad isolare in vitro dei ceppi resistenti al ganciclovir anche nei pazienti immunocompromessi. Comparando le due metodiche, la PCR mostra un elevato valore predittivo negativo, tale da consentire di omettere la terapia pre-emptive quando la DNAemia risulta essere negativa; anche il rischio relativo per la viremia risulta essere superiore nella PCR piuttosto che nell’indagine colturale. In conclusione, non possiamo affidarci ai risultati dell’indagine in vitro circa la resistenza del CMV, poiché essi differiscono rispetto ai risultati derivanti dalla PCR.

Il gold standard per lo studio della resistenza agli antivirali da parte del CMV è rappresentato dall’analisi genomica: il sequenziamento del DNA può individuare la presenza di specifiche mutazioni genetiche che possono condurre ad una resistenza virale. Nonostante questo, l’interpretazione è ancora dibattuta, perché ci imbattiamo frequentemente in mutazioni irrilevanti da un lato e in falsi negativi dall’altro, questi ultimi derivanti dal fatto che non vengono riportati quei ceppi mutati che arrivano a costituire meno del 30% della popolazione virale.

(20)

20

1.6 Controllo immunitario

L’attivazione del sistema immunitario nei confronti del CMV si verifica in tempi rapidi:

 tra le risposte più precoci abbiamo la produzione dell’interferone e delle citochine, che contribuiscono a instaurare uno stato antivirale3;

 la risposta mediata dal complemento viene innescata sia dalle cellule dell’immunità innata che dalle cellule dell’immunità adattativa.

Una delle caratteristiche tipiche degli herpesvirus in generale è la loro capacità di mantenere uno stato di latenza, per il quale le probabili sedi sono rappresentate dai monociti circolanti e dai precursori CD34+ situati nel midollo osseo; il DNA del CMV è stato però ritrovato anche nei

polimorfonucleati (PMN) periferici CD14+ sottoforma di plasmide, che rende improbabile la

riattivazione dell’infezione. A questa piuttosto contribuisce in maniera importante il MIEP, ma non sappiamo se altre linee cellulari sono chiamate in causa nella riattivazione del virus stesso. La risposta immunitaria adattativa nei confronti del CMV si esplica con l’attivazione dei linfociti T citotossici che riconoscono in particolare pp65 e IE-2, determinando una risposta immunitaria efficiente: il tasso di risposta linfocitaria è dell’1% nei soggetti nei quali non è in atto una replicazione attiva, ma arriva al 10% nei soggetti con infezione in atto. Sulla base di ciò, capiamo come uno dei meccanismi di evasione della risposta immunitaria da parte del CMV possa essere rappresentato dalla down-regolazione di HLA-1: qualora si avesse un’inadeguata risposta mediata da tali linfociti, ne conseguirebbe un elevato rischio di sviluppare l’infezione o addirittura la CMVD. Questo riscontro ha portato alla messa in pratica di tentativi di trasferimento di linfociti specifici per CMV dal donatore al ricevente nel contesto del TCSE aploidentico, a seguito dei quali sono stati poi sviluppati approcci alternativi. Resta il fatto che la ricostituzione dei linfociti T CD4+ e CD8+ è fortemente correlata con il controllo del virus dopo

il TCSE3.

Per quanto riguarda le cellule NK, è necessario nominare i KIRs (killer-cells immunoglobulin-like receptors): essi sono recettori di membrana distinti in recettori attivatori ed inibitori, rispettivamente aKIR (activating KIR) e iKIR (inhibitory KIR). Quando sono presenti sia il KIR che il rispettivo ligando, è possibile mettere in atto una risposta inibitoria, volta a estinguere la citotossicità, oppure attivatoria, volta ad incrementarla2. Questo aspetto riveste un ruolo

importante nel TCSE: l’importanza dei NK si ha fondamentalmente nel TCSE aploidentico perché, di fronte a una down-regolazione di HLA-1, in assenza del ligando per il KIR le cellule private dell’HLA-1 sono suscettibili di lisi mediata dalle NK. Il CMV è capace di codificare per due

(21)

21

proteine, gpUL18 e gpUL40, capaci di mimare i ligandi di KIR; in particolare, il locus UL40 codifica per un ligando di HLA-E che risulta essere identico al peptide HLA-Cw03: sulla base di questo capiamo come l’espressione di gpUL40 in cellule HLA-E+ conferisca una resistenza contro la lisi

mediata dal recettore CD94/NKG2A delle cellule NK.

Per quanto riguarda la risposta anticorpale, nonostante si pensasse che solo gli anticorpi anti-gB o anti-gH potessero neutralizzare il CMV, il riscontro di altri geni virali (come UL128, UL130 e UL131A menzionati precedentemente) ha aperto nuove possibilità di strategie terapeutiche, tanto che in futuro si potrebbe parlare di questi geni come della base per costruire dei vaccini3.

1.7 Contrattacco virale

Il “successo” del CMV nell’infettare l’uomo nasce dall’evoluzione delle innumerevoli strategie di evasione. Proteine rilasciate insieme ai virioni e prodotte molto precocemente dopo l’infezione (fra le quali abbiamo pp65 ed IE2) bloccano le difese cellulari intrinseche, comprese l’induzione dell’apoptosi18, la produzione di interferone e l’espressione di geni stimolati dall’interferone19,

e spengono la sintesi proteica. Almeno 7 geni sono capaci di modulare (e spesso inibire) la funzione delle cellule NK20: per esempio il miRNA virale mIR-UL112 agisce in sinergia con un

miRNA cellulare per inibire l’espressione del MICB (MHC class I polypeptide-related sequence B), ligando che attiva le NK21. Altri geni sono implicati nell’inibizione della presentazione dei peptidi

virali alle cellule T, nel legame e nel sequestro di MHC-I nel reticolo endoplasmatico, nell’inibizione del caricamento dei peptidi virali sul complesso MHC e nella dislocazione delle molecole di classe 1 dal reticolo endoplasmatico al citosol, per essere poi degradate3.

Il CMV codifica poi per chemochine, recettori e citochine che presumibilmente partecipano all’evasione della risposta immunitaria22: per esempio, cmvIL-10 (identico a quello umano per il

27%) sembra apparentemente immunosoppressivo, perché inibisce la proliferazione e la produzione di citochine da parte di cellule mononucleate periferiche e inibisce la maturazione delle cellule dendritiche, promuovendone l’apoptosi; al tempo stesso, però, cmvIL-10 determina degli effetti potenzialmente immunostimolanti, come l’aumento dell’attività fagocitica dei monociti. Sia cmvIL-10 che US28 (codificante per il recettore delle chemochine di CMV) stimolano la migrazione di alcuni tipi cellulari (potendo eventualmente promuovere la disseminazione del virus in nuove sedi) e inibiscono la migrazione di altri (aiutando il virus ad evadere la risposta immunitaria)23.

(22)

22

Il CMV fondamentalmente stabilisce una relazione apparentemente benigna con il suo ospite, almeno per la maggior parte del tempo; comunque sia, la replicazione virale è delicatamente bilanciata con i controlli del sistema immunitario dell’ospite e anche perturbazioni minime (come la gravidanza o l’ingresso in una unità di terapia intensiva) possono portare alla riattivazione del CMV, spesso in assenza di una CMVD conclamata24. Inoltre, uno stato di

quiescenza dell’infezione da CMV o i minimi effetti della riattivazione subclinica possono contribuire all’evoluzione verso la disfunzione cronica del sistema immune, predisponendo ad altre patologie (come le infezioni da parte di altri microrganismi).

Quando si stabilisce un’infezione attiva, si realizza la replicazione virale in numerosi tessuti, presentando tutte le caratteristiche di un’infezione sistemica, dal momento in cui sono coinvolti diversi tipi cellulari. In merito a questo aspetto, ricordiamo che il range di tipi cellulari infetti in vitro è decisamente inferiore al corrispettivo in vivo quando si analizzano biopsie o altri campioni: questo può essere correlato alla difficoltà nella propagazione in vitro e nel mantenimento di linee cellulari infettate da CMV. Infatti, mentre un tipico periodo di incubazione per CMV rientra tra le 4 e le 8 settimane, nel contesto del TCSE l’infezione da CMV – o la sua riattivazione – può avvenire in qualsiasi momento tra il 10° giorno post-trapianto e un tempo indefinito, a volte anche anni.

1.8 Malattia da CMV (CMVD)

Si definisce “malattia da CMV” il riscontro di un danno d’organo dimostrato in soggetti con infezione da CMV [Figura 3]. Il danno tissutale rimanda a due possibili meccanismi: una bassa carica virale può portare a CMVD attraverso la lisi cellulare secondaria alla replicazione virale; un’alta carica virale, invece, porta a un effetto citotossico diretto. Questo aspetto è cruciale, perché ci permette di capire che la carica virale non è necessariamente proporzionale all’entità del danno d’organo: anche una bassa carica virale è sufficiente per risultare dannosa. Per essere affidabile, la carica virale deve essere superiore a 1000 UI/L.

Gli effetti diretti sono classicamente descritti come un danno d’organo mediato dal CMV, dovuto ad una viremia alta o comunque persistente: nel TCSE, il fallimento del trapianto dopo l’esordio dell’infezione da CMV può essere correlato ai suoi effetti diretti (ovvero l’effetto mielosoppressivo) rispetto ad altre disregolazioni del sistema immune.

(23)

23

Figura 3: i meccanismi di malattia3. Anche quando l’infezione risulta essere asintomatica, il virus può determinare degli effetti indiretti, possibilmente alterando la funzione del sistema immunitario a seguito di più riattivazioni subcliniche o esprimendo geni virali durante la fase di latenza. La disfunzione del sistema immunitario, dovuta a cause iatrogene o naturali, può portare alla replicazione attiva del CMV: questa può contribuire agli effetti indiretti derivanti dal CMV, ma può anche portare a un danno tissutale diretto, che esita in una risposta infiammatoria e nella disfunzione di vari organi. Oltre all’antigenemia da CMV (indicatore comune di infezione attiva), si riscontrano anche manifestazioni d’organo derivanti dall’infezione da CMV in pazienti con AIDS e nei riceventi di trapianto. AIDS = sindrome da immunodeficienza acquisita; CMV = citomegalovirus.

Image credits: antigenemia, pp65+ cell in a leukocyte cytospin preparation (M. Boeckh); retinitis, ophtalmoscopic view

of retinal hemorrhage and inflammation (E. Chuang); ependymitis, periventricular inflammation detected by MRI (left – McGraw Hill) and postmortem brain specimen (right – C.Marra); hepatitis, microabscesses associated with CMV hepatitis (A. Limaye); esophagitis, endoscopic view of shallow esophageal ulcers (G. McDonald); colitis, deep ulcer in a colonic biopsy (G. McDonald); pneumonia, chest CT scan of CMV pneumonia (M. Boeckh).

La retinite rappresenta la più frequente manifestazione dell’infezione da CMV e l’infezione può manifestarsi anche sottoforma di coroidite o corioretinite25. La diagnosi richiede una valutazione

(24)

24

tipici5. Qualora la presentazione clinica fosse atipica o l’oftalmologo non fosse disponibile,

sarebbe opportuno supportare la diagnosi col riscontro del CMV nell’umor vitreo tramite tecniche quali la PCR5.

L’encefalite e la ventricolite richiedono il riscontro del CMV nel SNC e la presenza di sintomi neurologici5. Si parla di encefalite o ventricolite probabili quando abbiamo i sintomi neurologici,

la presenza del CMV nel liquor, il riscontro di anomalie all’imaging o di encefalite all’elettroencefalogramma in assenza di una chiara contaminazione del sangue5.

La retinite e i sintomi neurologici sono comunque più frequenti nei soggetti affetti da AIDS, con possibile riscontro anche nel TCSE e nel trapianto di organo solido.

L’epatite richiede il riscontro di anomalie nella funzionalità epatica, in associazione all’identificazione del CMV nel tessuto, in assenza di altre cause che potrebbero altrimenti spiegare il quadro5. Non è opportuno parlare di epatite probabile, dal momento che possono

essere presenti cofattori come il rigetto (acuto o cronico) di trapianto di fegato, la GVHD nei soggetti sottoposti a TCSE o una disfunzione epatica iatrogena, da farmaci5. Nel contesto del

TCSE l’epatite CMV-indotta entra in diagnosi differenziale con l’epatite tossica e la sindrome da ostruzione sinusoidale; è possibile inoltre che il CMV si comporti da trigger, peggiorando una condizione già non ottimale di funzionamento del fegato, portando a una sindrome da overlap. La polmonite interstiziale deriva da un danno progressivo da parte del CMV e, prima che subentrassero le terapie antivirali, si manifestava tra il 15% e il 30% dei soggetti sottoposti a TCSE2, rappresentando ancora oggi la principale causa di morte in tali pazienti26. Dal punto di

vista clinico, la principale alterazione derivante dalla polmonite CMV-associata è l’ipossia, cui si associano la tachipnea e/o la dispnea5. Dal punto di vista istopatologico, abbiamo un

ispessimento delle membrane interalveolari, con infiltrati infiammatori ed edema2. Dal punto di

vista radiologico, segni suggestivi possono essere riscontrati all’RX torace come con la TC, tramite la quale si apprezzano aree di opacità a vetro smerigliato, piccoli noduli centrolobulari e aree di consolidazione2. Si parla di polmonite probabile quando riscontriamo il CMV mediante

isolamento virale o indagine colturale sul BAL, oppure quando quantifichiamo il DNA del CMV nel BAL, in associazione con segni e/o sintomi clinici di polmonite5. Ad oggi, comunque, non

abbiamo un cut-off per il DNA del CMV che possa essere standardizzato5. La polmonite da CMV

è particolarmente frequente nei soggetti sottoposti a TCSE: l’esordio si colloca tipicamente dopo il trapianto, aspetto che suggerisce una possibile patogenesi immuno-mediata; d’altro canto, nei pazienti sottoposti a terapia HAART (higly active antiretroviral therapy) non si riscontra un incremento del tasso di polmonite da CMV. Questo può essere spiegato dall’ipotesi secondo la

(25)

25

quale la terapia HAART permetterebbe una ricostituzione più veloce dei linfociti T citotossici, cosa che non risulta possibile nel TCSE, nel quale l’espansione del repertorio di linfociti T è particolarmente lenta – a maggior ragione capiamo che non tutti i pazienti immunocompromessi sono uguali. La polmonite da CMV rappresenta comunque una comorbidità importante nel TCSE ed è associato con un alto rischio di morte qualora non vengano messe in atto le dovute strategie terapeutiche.

L’enterite CMV-associata si definisce come un’enteropatia accompagnata da dolore, diarrea, nausea e vomito, associati al riscontro dell’infezione da CMV a livello delle lesioni mucosali di natura ulcerativa o infiammatoria2. Le lesioni ulcerative sono presenti a livello esofageo, gastrico

ed intestinale. La diagnosi deriva dal riscontro dell’infezione da parte del CMV in associazione con l’interessamento mucosale e i sintomi conseguenti; si parla di gastroenterite probabile quando sono presenti segni e sintomi clinici derivanti dal tratto gastroenterico superiore e/o inferiore, in associazione alla presenza del CMV nei tessuti, ma in assenza del riscontro di lesioni tissutali5. Nel momento in cui individuiamo le lesioni mucosali, quindi, è necessario fare una

diagnosi differenziale tra CMVD e GVHD gastrointestinale: sono due condizioni clinicamente indistinguibili, tanto che secondo alcuni autori l’enterite da CMV può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di una aGVHD gastrointestinale. Questo è un aspetto cruciale, poiché la terapia di scelta per il trattamento di una aGVHD aggressiva è rappresentata da alte dosi di steroidi (>1mg/kg) che, se migliorano il quadro della aGVHD, possono comportarsi da fattore precipitante per l’infezione da CMV; d’altro canto, un’eventuale riduzione della terapia steroidea può attenuare il rischio di infezione, ma incrementa il rischio di aGVHD. Per questo risulta impossibile stabilire un protocollo standardizzato di trattamento per queste condizioni cliniche, considerando oltretutto il fatto che i farmaci anti-CMV impiegano qualche giorno per manifestare la loro efficacia. Un altro aspetto da tenere in considerazione è rappresentato dalla presenza di malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, inflammatory bowel disease): soggetti affetti da IBD possono aver bisogno di steroidi topici per il controllo della malattia, ma l’utilizzo prolungato può incrementare il rischio di CMVD anche anni dopo il TCSE. Questo ci fa capire come sia necessario personalizzare la terapia in questi pazienti, cercando di ottenere un accurato equilibrio tra il rischio di attivazione immunitaria e di ricaduta con replicazione virale. La nefrite viene identificata tramite l’identificazione del CMV in una biopsia renale in paziente con disfunzione renale, in associazione al riscontro delle caratteristiche istologiche dell’infezione5. La presenza del CMV nelle urine non rappresenta un elemento sufficiente per

(26)

26

La cistite da CMV rappresenta una delle principali complicanze del TCSE, con un’incidenza compresa tra il 7% e il 49%27, e viene definita come il riscontro del virus in una biopsia vescicale

in paziente con cistite, in associazione al riscontro delle caratteristiche istologiche dell’infezione5. Come per la nefrite, anche in questo caso il riscontro della presenza del CMV

nelle urine non rappresenta un elemento sufficiente per fare diagnosi.

La miocardite e la pancreatite da CMV vengono individuate dal riscontro della presenza del virus rispettivamente in una biopsia cardiaca in paziente con miocardite e in una biopsia pancreatica in paziente con pancreatite, in associazione al riscontro delle caratteristiche istologiche dell’infezione5.

La sindrome simil-mononucleosica comprende sintomi come febbre, artralgia e malessere; altre manifestazioni di possibile riscontro sono rappresentate dalla neutropenia e dalla trombocitopenia2.

Presentazione clinica SOT TCSE AIDS Effetti diretti Febbre/epatite ++ + + Gastroenterite + + + Retinite + + ++ Polmonite + ++ Mielosoppressione + Encefalopatia + Poliradicolopatia + Sindrome addisoniana + Effetti indiretti Immunosoppressione + GVHD o rigetto + ? Aterosclerosi + Outcomes + +

Tabella 1: la CMVD e l’immunocompromissione. Mentre l’interessamento della retina, del fegato e del tratto

gastroenterico si osserva in tutti i pazienti con immunodeficienza, l’infezione da CMV ricopre un ruolo importante per quanto riguarda gli effetti indiretti nel SOT, in particolare soffermandoci sull’immunosoppressione, il rigetto e

(27)

27

l’aterosclerosi. Come sappiamo, il CMV può contribuire alla mielosoppressione dopo il TCSE e questo rappresenta una delle principali cause di fallimento primario del trapianto. Complicazioni surrenaliche e neurologiche sono tipiche di pazienti affetti da AIDS. AIDS = sindrome da immunodeficienza acquisita; CMV = citomegalovirus; GVHD = graft versus host disease; SOT = trapianto di organo solido; TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Griffiths, P. D. & Reeves, M. Cytomegalovirus in Clinical Virology (eds. Richman, D. D., Whitley, R. J. & Hayden, F. G.) 481-510 (American Society of Microbiology, 2017).

1.9 Carica virale

Come detto precedentemente, la carica virale è espressione della relazione che si crea tra la replicazione virale ed il controllo immunitario: si comporta come un marker di infezione da CMV, senza essere in assoluto un indicatore di CMVD. Nonostante questo, comunque, la carica virale ha un forte valore predittivo positivo per CMVD, tanto che, mettendo in relazione la carica virale (log CMV-DNA/ml) con la probabilità di CMVD, otteniamo una curva sigmoide [Figura 4].

Figura 4: la relazione tra la carica virale e la CMVD. Una bassa carica virale risulta essere tollerata dai pazienti, ma

bastano modesti incrementi della viremia per poter potenzialmente incrementare la probabilità di CMVD in maniera importante. Il range di criticità si attesta tra 103 e 106 copie/ml. CMVD = malattia da citomegalovirus.

Questo è un aspetto cruciale, perché una bassa viremia rende la probabilità di CMVD altrettanto bassa, ma quest’ultima cresce improvvisamente per livelli compresi tra 103 e 106 copie/ml: un

minimo incremento della carica virale può aumentare enormemente la probabilità di

Carica virale (log CMV-DNA/ml)

P ro b ab ili tà d i CM V D

(28)

28

manifestazione di CMVD. D’altro canto, questo significa anche che una viremia bassa può essere ben tollerata anche nel paziente immunocompromesso.

Il motivo della curva sigmoide è strettamente correlato al fatto che, a bassa viremia, si osserva soltanto il danno cellulare indiretto, correlato alla replicazione virale, mentre ad una viremia più elevata si realizza un effetto citotossico diretto.

Dal momento che il tempo medio di raddoppiamento (doubling-time) della crescita virale è di circa un giorno, è essenziale intervenire prontamente non appena si instaura l’infezione da CMV: a questo proposito si considerano la profilassi e la terapia pre-emptive.

Si parla di profilassi quando utilizziamo un farmaco anti-CMV in assenza di riscontro di alcun livello di viremia: in questo regime, il farmaco considerato deve avere un profilo di sicurezza adeguato, con bassa tossicità e minime reazioni avverse; inoltre, non deve promuovere l’insorgenza di una resistenza ai farmaci da parte del CMV.

Si parla invece di terapia pre-emptive come dell’approccio più frequentemente utilizzato nel contesto dei TCSE. Dal momento che a bassa carica virale la probabilità di CMVD è altrettanto bassa, possiamo a questo punto iniziare la terapia con farmaci anti-CMV, nell’ottica di prevenire un incremento ulteriore della carica virale e limitare le conseguenze della replicazione virale [Figura 5].

Chiaramente, quando abbiamo una diagnosi di CMVD, utilizziamo il termine “trattamento” a prescindere dalla carica virale.

Bisogna notare infine come, se abbiamo un range critico per la patogenesi della CMVD (103-106

copie/ml), lo stesso non si può dire per l’inizio della terapia pre-emptive, poiché non è possibile stabilire con precisione il tempo di raddoppiamento del DNA del CMV.

(29)

29

Figura 5: la terapia pre-emptive. Il principale approccio all’infezione da CMV nel TCSE è la terapia pre-emptive: si

comincia una terapia anti-CMV prima dell’esordio della CMVD ma dopo il riscontro della DNAemia da CMV. Per mancanza di valori soglia standardizzati, la scelta di applicare la terapia pre-emptive si basa sul rischio specifico del paziente: la profilassi, infatti, andrebbe presa in considerazione per i pazienti ad alto rischio. CMV = citomegalovirus; CMVD = malattia da citomegalovirus.

Carica virale (log CMV-DNA/ml)

P ro b ab ili tà d i CM V D

(30)

30

CAPITOLO 2 – La relazione tra il citomegalovirus e il trapianto

di cellule staminali emopoietiche

2.1 Trapianto di cellule staminali emopoietiche

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche rappresenta una procedura terapeutica fondamentale: è l’unico approccio potenzialmente curativo sia per i pazienti affetti da neoplasie ematologiche maligne chemioresistenti, che risultano essere fatali se non trattate28, sia per i

pazienti affetti da disordini immunologici29.

Le cellule staminali si definiscono come cellule indifferenziate capaci di auto-rinnovarsi e di generare una progenie di cellule altamente specializzate: le cellule staminali emopoietiche sono caratterizzate infatti dalla capacità di auto-rinnovarsi e di differenziarsi nelle varie linee cellulari del sangue28.

Molto importante è la selezione del donatore, che rappresenta una delle variabili cruciali nel TCSE allogenico e che segue un algoritmo specifico [Figura 6]: il miglior donatore è il fratello HLA-identico (MSD, matched sibling donor), ma meno di 1/3 dei pazienti ne hanno uno a disposizione. A questo punto si valuta un eventuale donatore volontario non imparentato che abbia la più alta compatibilità col paziente (MUD, matched unrelated donor). Altri tipi di donatori sono quelli non imparentati parzialmente compatibili (MMUD, mismatched unrelated donor), quelli reperibili da banche di sangue di cordone ombelicale (SCO o UCBU, umbilical cord blood unit) oppure quelli rappresentati da un familiare non compatibile (aploidentico o APLO), che con divide col paziente almeno un aplotipo del sistema HLA (condizione naturalmente riscontrata nei genitori e nei figli del paziente): la scelta di quest’ultimo tipo di donatore è spesso dettata dall’urgenza di eseguire il TCSE.

In pratica clinica parliamo di TCSE allogenico per distinguerlo da quello autologo e da quello singenico (nel quale il donatore è rappresentato da un gemello identico omozigote).

(31)

31

Figura 6: l’algoritmo per la selezione del donatore. Image credits: E. Carreras et al. (eds.), The EBMT Handbook, 2019. Una volta eseguita l’ablazione del midollo osseo abbiamo la ricostruzione ematopoietica (e dunque del repertorio immune), che dipende dalla migrazione e dall’homing delle cellule staminali verso il microambiente ematopoietico nelle nicchie del midollo osseo del ricevente [Figura 7]28, dalla composizione del trapianto, dal regime di trattamento e dal tipo di

immunosoppressione.

(32)

32

2.2 Rischio di infezione da CMV

L’infezione da CMV rappresenta la più comune infezione nei soggetti che ricevono un TCSE allogenico [Figura 8] ed è alla base di morbidità e mortalità significative: la mortalità per CMVD in questi soggetti può arrivare al 60%1.

Figura 8: le infezioni successive al TCSE30. Le infezioni successive al TCSE rappresentano uno degli ostacoli principali nella pratica clinica e, fra queste, un ruolo importante è ricoperto dal CMV. È possibile inoltre che si verifichino più infezioni nel medesimo paziente, ponendo problemi di diagnosi differenziale: i batteri Gram negativi sono responsabili di un’infezione gastrointestinale capace di simulare l’epatite da CMV, così come altre patologie non infettive possono simulare infezioni batteriche, virali o fungine. CMV = citomegalovirus; TCSE = trapianto di cellule staminali emopoietiche.

Storicamente, per l’infezione da CMV si riconoscono la fonte endogena e la fonte esogena: con il ricorso ad emocomponenti e, nell’era moderna, alla filtrazione, il tasso di infezioni esogene è prossimo allo 0%, motivo per cui risulta essere rilevante soltanto l’infezione endogena. Inoltre anticorpi specifici per CMV possono essere trasferiti passivamente tramite l’utilizzo di emocomponenti oppure tramite il ricorso alla somministrazione di immunoglobuline endovena. La sieropositività per CMV e la riattivazione dell’infezione sono associate a un outcome avverso del TCSE. Il primo fattore di rischio per la riattivazione del CMV è rappresentato dallo stato sierologico del donatore e del ricevente – la riattivazione è comunque rara nel TCSE autologo, a meno che questo non si accompagni a deplezione di linfociti T1. Nel caso del TCSE allogenico, il

(33)

33

tasso di infezione da CMV è compreso tra il 25% e lo 0% in base al tipo di donatore, perché la discrepanza tra donatore e ricevente è considerata ad alto rischio di CMVD, a causa della mancanza di una risposta immunitaria adattativa1: infatti la determinazione delle IgG ha un

valore prognostico fondamentale, mentre lo screening per le IgM fa parte generalmente del work-up pre-trapianto. Il rischio più alto si riscontra nel caso in cui il donatore sia negativo (D-)

ed il ricevente sia positivo (R+), mentre il rischio più basso si riscontra nel caso di donatore e

ricevente negativi (D-/R-)1; dal quadro più rischioso al quadro meno rischioso, dunque, abbiamo:

D-/R+> D+/R+ > D+/R- > D-/R-.

Molti studi hanno evidenziato una riduzione nella sopravvivenza globale (OS, overall survival) se il paziente è sieropositivo per CMV, rispetto al paziente sieronegativo31.

Il momento in cui si realizza l’infezione da CMV è di importanza fondamentale dal punto di vista prognostico, perché riattivazioni precoci sono associate ad una più alta mortalità non correlata a recidiva (NRM, non-relapse mortality) e ad una peggiore OS.

Il tasso di CMVD è calato al 3-6% a seguito dell’introduzione degli attuali protocolli terapeutici, nonostante ancora non si abbia una strategia preventiva ottimale che riceva un consenso omogeneo; prima della terapia pre-emptive, le riattivazioni tardive del CMV si accompagnavano ad elevate morbidità e mortalità nei pazienti riceventi il TCSE.

La riattivazione del CMV è associata inoltre ad un aumentato rischio di infezioni secondarie sia batteriche che fungine31: per esempio, la CMVD rappresenta un fattore di rischio indipendente

per aspergillosi e candidemia1.

Ad oggi sono in fase di studio i cosiddetti effetti “indiretti” dell’infezione da CMV, intendendo la relazione che sussiste tra il CMV e il fallimento del trapianto, la GVHD, le infezioni secondarie e l’aterosclerosi.

Come sappiamo, alla base dello sviluppo dell’infezione da CMV abbiamo uno squilibrio tra la replicazione virale e le difese dell’ospite: sembra che la replicazione attiva dei progenitori nel midollo osseo dopo il TCSE possa rappresentare un ambiente favorevole alla replicazione del CMV; diversi fattori di rischio pre-trapianto e trapianto-correlati possono contribuire a costituire tale microambiente: ad esempio, il ricevente può essere affetto da un’immunodeficienza primitiva, oppure può essere stato eseguito un trapianto da sangue cordonale. La manipolazione del trapianto e l’irradiazione totale (TBI, total body irradiation) possono essere considerati dei fattori predisponenti a questo quadro.

(34)

34

2.3 Terapia pre-emptive

La terapia pre-emptive è volta ad impedire l’insorgenza della CMVD nei soggetti sottoposti a TCSE allogenico e viene attuata in base all’identificazione del CMV nel sangue: purtroppo per questo elemento non esiste un valore soglia standardizzato, tanto che l’inizio della terapia pre-emptive viene stabilito dopo un’analisi del rapporto che sussiste tra il rischio di insorgenza di CMVD e la tossicità correlata ai farmaci.

I fattori di rischio per CMVD tardiva o ricorrente sono i seguenti:

 GVHD, in particolare quando vengono somministrati farmaci antinfiammatori steroidei ad un dosaggio superiore a 1 mg/kg;

 donatori MMUD, APLO o SCO;

 infezioni ricorrenti da CMV dopo la terapia pre-emptive;

 linfopenia a 100 giorni dal TCSE;

 trapianto D-/R+;

 deplezione di linfociti T.

I farmaci che possono essere utilizzati in regime preventivo sono i seguenti: ganciclovir (GCV), valganciclovir (VGCV), foscarnet (FOS), cidofovir (CDV) e acyclovir (ACV).

GCV è un analogo della guanosina che, dopo la fosforilazione della chinasi UL97 del CMV, interrompe la catena durante la replicazione del DNA virale3; rappresenta il farmaco di prima

linea nel trattamento dell’infezione, della riattivazione e della malattia da CMV31. È inoltre

disponibile una formulazione topica del GCV da applicare nell’occhio dei soggetti con retinite importante3. Tra le reazioni avverse abbiamo la mielotossicità e la neutropenia31: la

mielotossicità rende questo farmaco poco maneggevole dopo il TCSE, considerato inoltre che, per prevenire la GVHD, frequentemente si utilizza il micofenolato mofetile (MMF), farmaco col quale il GCV ha delle interazioni pericolose.

VGCV è un estere del GCV che, una volta assorbito a livello gastrointestinale, viene idrolizzato a GCV e ne rappresenta una valida alternativa orale31. Due studi di farmacocinetica hanno

dimostrato che con VGCV è possibile ottenere un’esposizione a tale farmaco pari o addirittura superiore a quella derivante dall’assunzione del GCV32, conservando la stessa efficacia e la stessa

sicurezza.

FOS è un analogo del pirofosfato ed inibisce l’attività della DNA polimerasi3; è un farmaco che

determina i medesimi effetti del GCV ma che, differentemente da questo, non causa mielotossicità. La tossicità da FOS è data da squilibri idroelettrolitici, irritazione od ulcerazione genitale ed alterazione della funzione renale, motivo per cui il FOS talvolta figura come farmaco di seconda linea a seguito del fallimento o dell’intolleranza del GCV31.

Riferimenti

Documenti correlati

L’episodio di rigetto b è caratterizzato da alti valori di antigenemia (da 1 a 472 nuclei su 2x10 5 cellule) con negatività o basso numero di copie di CMV DNA (< 20 copie/10

Tutti i pazienti sono stati valu- tati con diverse tecniche sierologiche nel pre-trapianto comunque del periodo di e a tempi diversi dopo il tra- pianto d’organo solido a

i dati raccolti nel quinquennio 1999-2003 per descrivere la circolazione ed il peso del virus Toscana nelle Marche in 665 casi di meningiti asettiche estive ricoverate in ospedali

Diverse strategie possono essere applicate la prevenzione della malattia da HCMV: negli USA si utilizza un approccio profilattico (ossia la somministrazione di farmaci antivirali

Da ottobre 2004 a ottobre 2005 si sono esaminati cam- pioni di aspirato nasofaringeo (NPA) ottenuti, indipen- dentemente dalla presenza di sintomatologia respirato- ria, da

Nell’analisi delle proposte didattiche si è voluto anche andare a riassumere delle questioni legate alla situazione nella quale si inserisce questo soggetto, attraverso un’analisi

ripresa  emopoietica.  Seconda  finalità  è  di  creare  una  condizione  di 

From a general perspective, Medical Tourism may be broken down into two main categories: a) Outbound Medical Tourism (When patients travel away from their home country); and