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2.Quale impatto determinano i nuovi media sull’identità degli adolescenti ?

Come ben sappiamo, l’adolescenza si caratterizza per essere un periodo di transizione tra l’infanzia e la vita adulta e corrisponde ad un arco di anni piuttosto ampio, ma variabile da individuo ad individuo sia per quanto riguarda l’entità e le caratteristiche dei cambiamenti che l’attraversano sia per quanto concerne i limiti temporali che ne scandiscono l’inizio e la conclusione, si tratta quindi di una fase caratterizzata da grandi e importanti cambiamenti che vanno poi a contribuire alla costruzione dall’identità del giovane adulto. Con la nascita dei social network, in un certo senso, le cose si complicano ancora di più.

Gli anni Novanta, infatti, sono gli anni del boom dei social network, quindi i nati a partire dalla prima metà del secolo sono coloro che per primi hanno iniziato ad usare il Web 2.0 come strumento espressivo e relazionale quindi i “nativi digitali” di questa generazione, anche detta “Generazione social media” sono la prima generazione in grado di controllare in modo nuovo la propria identità sociale e le proprie relazioni.

Tutto ciò, naturalmente, fornisce all’adolescente nuove opportunità di crescita, in un certo senso quindi possiamo considerare i social network come « piattaforma comunicativa ed espressiva basata sul web 2.0 che consente all’utente di gestire sia la propria rete sociale sia la propria identità sociale »46. Grazie a tali opportunità, il nativo digitale può usare i social network per soddisfare bisogni differenti tra loro: « attraverso i social network il nativo digitale può sia sviluppare la propria identità (social network come Espressione di sé) sia comprendere quella dell’altro (social network come Voyeurismo). Allo stesso tempo, può cercare supporto oppure offrirlo. Non solo, i social network sono in grado di accompagnare il nativo digitale nel proprio sviluppo »47.

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Allo stesso tempo, però, i social network hanno portato con sé notevoli cambiamenti che stanno avendo un forte impatto sulle pratiche degli adolescenti. Più precisamente Riva fa riferimento a tre principali cambiamenti: “la trasformazione dello spettatore in “spettautore” e in “commentautore”; la trasformazione del ruolo del corpo e la nascita di un nuovo spazio sociale, l’interrealtà”48

. Si tratta di trasformazioni non sempre positive, ma che racchiudono in sé elementi complessi e aspetti spesso negativi.

Per quanto riguarda il primo aspetto, possiamo affermare che con il progressivo sviluppo tecnologico, il nativo digitale diviene anche creatore di contenuti, secondo l’autore, più precisamente, « accanto allo spettatore, consumatore passivo di informazioni, abbiamo lo “spettautore” che crea o modifica contenuti esistenti secondo i propri bisogni comunicativi, e il “commentautore” che discute e condivide con i propri amici »49

Il secondo aspetto riguarda una tematica particolarmente importante che vede la contrapposizione tra reale a virtuale. « Nell’interazione faccia a faccia il soggetto è il suo corpo. Dall’espressione del volto al movimento delle mani, ogni gesto riflette il soggetto e lo rende visibile all’altro intuitivamente »50

. Le ricerche delle scienze cognitive hanno scoperto l’esistenza dei cosi detti neuroni specchio grazie a studi fatti sulla corteccia premotoria delle scimmie. I neuroni specchio, infatti, si attivano sia durante l’esecuzione di azioni, sia durante l’osservazione di un individuo che compie quella stessa azione. Quindi, anche se tutto ciò avviene involontariamente, tali processi sono alla base del processo di riconoscimento ed espressione emotiva definita appunto “alfabetizzazione emotiva”. Come afferma Giuseppe Riva, « con la nascita della comunicazione mediata, il soggetto diventa “disincarnato” (disembodied) per il suo interlocutore: la fisicità del corpo viene sostituita da quella del medium. La capacità di creazione dei contenuti offerta dal web 2.0 porta un ulteriore cambiamento: la fisicità e l’immediatezza del corpo

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reale vengono sostituite da un corpo virtuale, composto da una pluralità di immagini parziali e contestualizzate »51.

L’ultimo, ma non il meno importante elemento da considerare riguarda, la nascita uno spazio sociale nuovo detto interrealtà. L’interrealtà è « uno spazio sociale ibrido in cui si fondono on-line e off-line »52, si tratta di uno spazio sociale più malleabile e dinamico. A caratterizzare l’interrealtà, infatti, è lo scambio tra le diverse dimensioni, in quanto il mondo digitale influenza il mondo reale e viceversa. Riva infatti, afferma che « se nelle comunità virtuali precedenti ai social network il mondo reale e quello digitale entravano raramente in contatto, e comunque solo per esplicita volontà dei soggetti interagenti, nei social network questo avviene sempre e anche se i soggetti coinvolti non lo vogliono o non ne sono consapevoli »53. Un esempio di tale aspetto è appunto il fenomeno del tagging anche definito “etichettamento” con cui, nei social network è possibile associare ad un amico una foto o una nota di testo a lui riferita.

Quindi, le nuove generazioni, dispongono di una nuova interfaccia che permette loro la creazione di nuove pratiche, si tratta adesso di vedere più da vicino e con maggior precisione gli elementi principali di queste trasformazioni in atto nelle nostre società, ma soprattutto nella “mente degli adolescenti” ossia nei processi cognitivi, identitari e relazionali del nativo digitale.

Per fare ciò, sarà necessario fare riferimento ai principali autori che trattano tali argomentazioni e che negli ultimi anni hanno potuto studiare tali processi divenendo i principali esperti sul tema. Per avere un’idea chiara sarà necessario suddividere i vari studi in due diversi gruppi. Nel primo, andremo a vedere quelle che sono le concezioni più pessimiste, che considerano i social network come una minaccia ossia come mezzi di comunicazione dannosi allo sviluppo identitario del nativo digitale, successivamente analizzeremo gli elementi positivi ossia quelli che vedono i social network come uno spazio sociale che garantisce nuove possibilità di sviluppo personale e sociale.

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Per rigore di analisi andremo ad esaminare quelli che sono gli elementi, in un certo senso più negativi, e per fare ciò sarà necessario fare riferimento ai contenuti presenti nei testi di Giuseppe Riva (Nativi digitali, 2014, Il Mulino e I social network, 2010, Il Mulino), professore di psicologia all’Università Cattolica di Milano ed esperto in Psicologia dei nuovi media. L’autore si concentra su come i processi cognitivi possono essere influenzati dall’uso dei nuovi media. A suo avviso, infatti, i media sono in grado di influenzare i processi cognitivi del giovane ad almeno tre livelli ossia:

1) modificano gli schemi cognitivi di organizzazione e di attuazione dell’azione;

2) influenzano la nostra percezione del corpo e dello spazio; 3) alterano la capacità di percepire e di esprimere emozioni.

Per quanto riguarda il primo aspetto è necessario prima chiarire che cos’è uno “schema” nella psicologia cognitiva. Tale disciplina definisce schemi « l’insieme delle proprietà prototipiche di una data esperienza costruite dalla nostra mente a partire dalle nostre interazioni »54 quindi è solo attraverso l’uso continuativo della tecnologia che l’individuo crea gli schemi che gli permettono di adoperare la tecnologia in maniera automatica. Riva sottolinea che « gli esseri umani non possono evitare di sviluppare risposte automatiche (…). Per quanto lo si addestri, è impossibile insegnare a un utente a non sviluppare abitudini quando usa ripetutamente un’interfaccia (…). Qualsiasi sequenza ripetuta, con il tempo, diventerà acquisita e automatica »55. Quindi, se per le generazioni precedenti le nuove tecnologie rappresentano strumenti per così dire “opachi” ossia che richiedono un grande sforzo per poter essere adoperati, per i nativi digitali rappresentano, al contrario, una grande opportunità che essi sono in grado di attuare in maniera assolutamente automatica e “trasparente” ossia senza bisogno di pensare. Questo avviene perchè sono in grado di simulare mentalmente le diverse opportunità di azione del medium.

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Secondo Riva, tutto ciò offre due vantaggi significativi rispetto alle generazioni precedenti:

- “ Non dovendo usare il ragionamento per interagire con i nuovi media, il nativo digitale è libero di utilizzarlo per identificare nuove opportunità e modalità d’uso;

- La capacità di simulare il processo d’uso del medium permette al nativo digitale di identificare in una determinata situazione delle opportunità che chi non è in grado di farlo non riesce a vedere”56.

Il secondo livello di cui parla l’autore fa riferimento a come i nuovi media modificano l’esperienza del corpo e dello spazio. Tale aspetto, in un certo senso è una conseguenza del primo livello dato che, i nuovi media, modificando i nostri schemi cognitivi di organizzazione e attuazione dell’azione, influenzando di conseguenza la nostra percezione del corpo e dello spazio. Ma perché ?

Come abbiamo appena detto, il nativo digitale è in grado di costruire degli schemi che gli permettono di identificare le opportunità nascoste dietro i nuovi media (come afferma Riva, possiedono una sorta di “vista a raggi X”) e che gli permettono di adoperarli in maniera automatica e abituale di conseguenza, la loro presenza nella tecnologia, diviene costante o meglio, si immergono nella tecnologia.

A tal proposito, le scienze cognitive, ritengono che questa totale immersione non sia casuale, ma che sia appunto uno degli effetti della creazione di schemi legati all’uso della tecnologia. Distinguono infatti due diversi tipi di interazione con un medium ossia : le azioni mediate dirette e le azioni mediate indirette.

- “ Nell’azione mediata diretta il soggetto, attraverso il movimento del corpo, controlla direttamente la tecnologia utilizzata per realizzare la sua intenzione;

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- Nell’azione mediata indiretta invece il soggetto, attraverso il movimento del corpo, controlla una tecnologia con cui a sua volta controlla uno o più strumenti tramite i quali realizza la sua intenzione”57

Quindi, nel momento in cui ho imparato ad usare una tecnologia in maniera diretta, il mio schema corporeo si espande e finisce per inglobare la tecnologia, in base a ciò, quindi, dal punto di vista del controllo cognitivo imparo ad usare tale tecnologia in maniera intuitiva tanto quanto una qualsiasi altra parte del mio corpo. Dall’altra parte, nel momento in cui ho imparato ad usare un tecnologia in maniera indiretta, anche la percezione dello spazio cambia, in quanto, sono nel mondo reale, ma allo stesso tempo sono totalmente immerso nel mondo virtuale/digitale.

La terza dimensione cognitiva che viene modificata in modo significativo dai nuovi media, come abbiamo detto, è la capacità di sperimentare e riconoscere le emozioni. I nuovi media, infatti, sono in grado di modificare in maniera rilevante le emozioni provate dai nativi digitali. Come sappiamo, i neuroni specchio svolgono un ruolo molto importante nell’interazione con l’altro, in quanto sono i principali responsabili del processo di riconoscimento e di espressione emotiva, con l’interazione mediata, però ciò perde di valore in quanto il soggetto appare disincarnato, ossia, l’interazione mediata sostituisce la fisicità del corpo con quella del medium, di conseguenza, ciò impedisce ai neuroni specchio di attivarsi ossia di attivare quei meccanismi che ci permettono di comprendere le azioni dell’altro. Quindi, secondo Riva « pur avendo molte più possibilità di provare emozioni durante la fruizione dei media di quanto non accadesse con i media precedenti, il nativo digitale è meno in grado di gestire le proprie emozioni e di riconoscere quelle degli altri »58.

I nuovi media, in un certo senso, producono emozioni forti, ma disincarnate. Il soggetto diventa quindi disincarnato per il suo interlocutore e tutto ciò comporta delle conseguenze per il nativo digitale.

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Riva, a tal proposito individua quattro diversi tipi di conseguenze:

- “ In primo luogo, il corpo virtuale si separa dall’identità del soggetto e diventa uno strumento comunicativo ed espressivo che può essere utilizzato in maniera strategica per trasmettere una precisa immagine di sé, ad esempio per attirare l’attenzione di una particolare persona;

- In secondo luogo, privi dell’oggettività del corpo fisico, i soggetti riceventi possono costruire l’identità dell’altro solo in maniera indiretta, interpretando i messaggi e le immagini che questo condivide. Quindi è possibile farsi un’idea sbagliata visto che non conosco direttamente il mio interlocutore;

- In terzo luogo, il corpo virtuale si separa dal soggetto e acquisisce una propria autonomia e stabilità;

- Infine, il soggetto non può più usare il corpo dell’altro per comprendere le emozioni. In questo modo il soggetto viene privato di un importante punto di riferimento nel processo di apprendimento e comprensione delle emozioni proprie e dell’altro favorendo appunto il così detto analfabetismo emotivo”59

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Quindi, la mancanza di fisicità dell’altro priva il soggetto di un’importante elemento nel processo di apprendimento delle emozioni favorendo appunto “l’analfabetismo emotivo”, con questa espressione si intende « la mancanza di consapevolezza, e quindi di controllo, delle proprie emozioni e dei comportamenti a esse associate, la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali si prova una certa emozione e l’incapacità di relazionarsi con le emozioni altrui – non riconosciute e non comprese – e con i comportamenti che da esse scaturiscono »60.

Si capisce bene come l’avvento dei nuovi media ha cambiato le caratteristiche dell’identità, perché se prima erano limitate da vincoli spaziali e temporali, adesso hanno una notevole possibilità di espansione in quanto i nativi digitali possono raccontarsi non solo ai loro amici e parenti, ma a tutti i visitatori della rete. Questo perché una delle caratteristiche dei nuovi media è proprio la loro natura ibrida

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ossia si caratterizzano come un luogo digitale all’interno del quale si integrano il mondo reale con il mondo digitale. Tale aspetto racchiude in sé aspetti positivi, ma allo stesso tempo potrebbe rappresentare un rischio per i nativi digitali. Giuseppe Riva, a tal proposito, fa riferimento a tre paradossi che, a suo avviso, rendono ben visibile la natura ibrida dei nuovi media.

Primo paradosso : « se i nativi digitali possono usare efficacemente i media digitali per modificare la propria identità sociale (impression management), è vero anche che l’intervento esterno può modificare più facilmente il modo in cui gli altri membri della rete ne percepiscono l’identità (reputation management) »61

. Cosa vuol dire ? In poche parole, come già visto nelle pagine precedenti, sappiamo già che nell’interazione faccia a faccia ogni gesto riflette il soggetto ossia lo rende intuitivamente visibile all’altro, mentre nei nuovi media il corpo reale viene sostituito dall’interfaccia del computer ossia dal così detto corpo virtuale, quindi il soggetto diviene quello che comunica. Il soggetto quindi « può organizzare la propria presentazione in maniera “strategica”, proprio per trasmettere una precisa immagine di sé »62. Infatti, se nella vita reale cambiare la propria immagine richiede tempo e fatica e naturalmente il rischio di fallimento, nei nuovi media, posso facilmente sperimentare nuovi modi di essere senza particolari costi in termini psicologici ed emotivi. Però, se tutto ciò si caratterizza in termini di opportunità, in quanto consente all’individuo di avere un ruolo centrale nella definizione della propria identità, il risvolto della medaglia e quindi il significato del paradosso, è che i nuovi media e in particolare i social network « permettono anche agli altri componenti della nostra rete di poter intervenire facilmente sulla nostra identità sociale »63 ciò è particolarmente vero se pensiamo alla pratica del tagging in quanto, come sappiamo, con esso è possibile che un contenuto in cui noi siamo presenti, apparirà sul nostro profilo senza che noi lo vogliamo e ciò può comportare cambiamenti imprevisti nella nostra identità sociale. Ciò può avere come conseguenza la creazione di un’identità fluida ossia flessibile, ma allo stesso tempo precaria che può divenire un vero problema per un

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adolescente che sta appunto cercando di costruire la propria identità. Come abbiamo affermato nelle pagine precedenti, secondo Erik Erikson è assolutamente necessario che il giovane adolescente superi le varie crisi di identità che si susseguono in modo da giungere ad un’integrazione delle varie componenti personali, sociali ed esperenziali, ma se il tutto avviene all’interno di un mondo che si rappresenta come l’unione tra il reale e il virtuale, al posto di un’integrazione si assiste alla moltiplicazione dell’identità che può avere delle conseguenze rilevanti sui rapporti relazionali.

Secondo paradosso: « se i nativi digitali possono scegliere come e quali caratteristiche sottolineare della propria identità sociale attraverso i diversi media (personal branding), è vero anche che, seguendo le tracce lasciate dalle diverse identità digitali, è più facile per altri ricostruirne l’identità reale »64

. Cosa vuol dire? Ognuno di noi, sul proprio profilo, può decidere cosa pubblicare e cosa non della propria personalità quindi il soggetto, in questo modo, ha ampia libertà di gestione della propria identità sociale, in base a ciò infatti « diviene possibile promuovere se stessi e la propria reputazione all’interno della nostra rete con risultati efficaci sia a livello relazionale sia professionale » 65. Quindi possiamo decidere come presentarci agli altri. Allo stesso tempo però nascono delle complicazioni, ossia degli aspetti più strettamente negativi in quanto « la facilità con cui i social network permettono di creare e condividere contenuti ha reso disponibile a tutti i frequentatori della rete una grande quantità di dati e informazioni personali (..) Il risultato è che, seguendo le tracce lasciate dalle diverse identità digitali, è più facile per gli atri ricostruire l’identità reale »66. La problematica legata a tale aspetto è la possibilità da parte di qualunque altro individuo, di adoperare queste informazioni personali per scopi fraudolenti o di tipo commerciale e quindi non nel rispetto della privacy. Naturalmente ciò diviene possibile perché nella maggior parte dei social network vengono adoperate politiche piuttosto morbide in termini di privacy e anche perché, i nativi digitali, nonostante siano assolutamente consapevoli dei rischi, considerano la privacy non

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come un diritto, ma come una minaccia alla libera conoscenza. Naturalmente non è sempre cosi!

Terzo paradosso : « se i social media, non distinguendo tra legami forti (amici veri) e legami deboli (conoscenti), consente ai nativi digitali di gestire con sforzo limitato i legami deboli, facilitando l’allargamento della rete sociale, allo stesso tempo la mancanza di differenza può farli comportare con i legami deboli allo stesso modo che con i legami forti (scomparsa della divisione dei ruoli sociali), con tutti i problemi del caso »67. Cosa vuol dire? Sappiamo che i nostri legami sociali non sono tutti uguali, abbiamo i legami forti ossia amici veri e parenti che svolgono un ruolo centrale nella nostra vita non solo privata, ma anche sociale in quanto rappresentano un punto fermo nella nostra soggettività in termini di supporto e sostegno, dall’altra parte ci sono i legami deboli costituiti da tutti i conoscenti. Quindi, se a livello individuale sono i legami forti a svolgere un ruolo rilevante per l’esperienza del soggetto, a livello sociale sono i legami deboli che svolgono il ruolo più importante in quanto si costituiscono come ponti per costruire nuove esperienze e nuove relazioni. Se nella vita reale dedichiamo poco tempo ai legami deboli per motivi di poco tempo libero a disposizione, con i social network, i nativi digitali, hanno maggiori possibilità di gestire i loro legami deboli senza sforzo. Allo stesso tempo, però, « nei social network non esiste una distinzione tra legami forti e legami deboli: all’interno del mondo digitale le relazioni sono tutte uguali »68 e questo avviene perché nei social network esiste un’unica modalità di relazione ossia l’amicizia. Quindi, « la mancanza di distinzione tra gli amici dei social network non permette al nativo digitale di separare in maniera netta i diversi contesti che frequenta e i ruoli che assume, con il rischio di mettere a repentaglio la propria reputazione »69.

Riflettendo su i tre paradossi appena illustrati, risulta particolarmente importante soffermarci su un aspetto contenuto nel primo paradosso, nel quali si afferma che il soggetto, sui social network “può organizzare la propria presentazione in maniera “strategica”, proprio per trasmettere una precisa immagine di sé”.

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In un certo senso, a tal proposito, potremmo fare riferimento alle considerazioni di un importante sociologo canadese ossia Erving Goffman il quale, in una delle sue

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