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Impatto economico della denatalità Dinamiche e previsioni demografiche

Tassi di fecondità per età materna

2.7 Impatto economico della denatalità Dinamiche e previsioni demografiche

Se la teoria malthusiana del XVIII secolo, basata sulla crescita esponenziale della popolazione più veloce dell’incremento della disponibilità di alimenti (che cresce invece in progressione aritmetica), ha perso progressivamente terreno in considerazione dell’importanza del progresso tecnologico nell’agricoltura e della diffusione sempre più accentuata delle tecniche di controllo delle nascite, la teoria della transizione demografica ha acquisito sempre maggior peso in relazione alle trasformazioni sociali e culturali delle popolazioni. Il modello della transizione demografica sintetizza il passaggio da un livello di crescita della popolazione ad uno di decrescita, consentendo di analizzare il cambiamento demografico come causa ed effetto del cambiamento sociale, economico e produttivo di un Paese. Il modello prevede tre fasi: in quella iniziale, i tassi di natalità e mortalità presentano valori elevati, determinando una debole crescita della popolazione, condizione che si registra nei Paesi fortemente legati al settore primario; nella seconda fase, di sviluppo, si osserva la diminuzione del tasso di mortalità, mentre permane ancora un elevato tasso di natalità, per l’effetto congiunto dei miglioramenti nell’agricoltura, dell’accumulazione dei capitali e dell’avvio dei processi industriali; nella terza fase, di consolidamento dello sviluppo, si evidenzia un ulteriore calo delle nascite ed un rallentamento dei tassi di mortalità derivanti dai progressi nella medicina. Il modello classico della transizione demografica si conclude con una crescita zero della popolazione: un progressivo invecchiamento della popolazione, da cui discende la riduzione delle capacità produttive e innovative di un Paese, l’aumento della spesa pubblica (aumento della spesa previdenziale ed assistenziale) e la diminuzione della disponibilità di lavoro e di mercato per le imprese.

La combinazione tra la persistente denatalità, che depaupera le classi di età infantili e giovanili come descritto nei paragrafi 1 e 2 del capitolo, ed il progressivo aumento della longevità, che comporta un aumento del numero di persone in età avanzata, colloca l’Italia nella fase conclusiva della teoria della transizione demografica, così come in Europa e in Nord-America. Tali dinamiche endogene possono essere modificate per effetto dei movimenti migratori che, a seconda delle caratteristiche demografiche dei flussi e della loro dinamica temporale, forniscono un contributo differenziale alle diverse classi di età: dapprima alle classi di età lavorativa, quando i flussi migratori sono prevalentemente formati da giovani lavoratori; successivamente anche alle classi di età infantili quando, a seguito della ricongiunzione familiare o della integrazione economica e sociale nel territorio di arrivo, gli immigrati costituiscono nuove famiglie. Il risultato di tali contributi va nel senso di un ringiovanimento della struttura demografica della popolazione, seppure non in grado di bilanciare completamente l’azione dei processi di invecchiamento demografico, ma solo di attenuarne gli effetti.

Le previsioni demografiche che si ricavano da tali andamenti stimano, nel 2050, una quota di ultrasessantenni pari al 22% della popolazione mondiale (circa 2 miliardi di persone) e pari al 37% della popolazione europea. L’aumento della sopravvivenza e il calo della fecondità hanno reso anche l’Italia tra i paesi con il più elevato livello di invecchiamento, con un processo destinato ad accelerare nel prossimo futuro. Se nel 2013 la quota di anziani ultra-sessantacinquenni era pari al 18% e al 23% della popolazione, rispettivamente maschile e femminile, le più recenti previsioni demografiche elaborate

dall’Istat16 mostrano una popolazione italiana così composta al 2050: il 12,6% di persone

con età inferiore a 15 anni, il 54,4% nella cosiddetta fascia di età attiva (da 15 a 64 anni), un terzo di residenti con 65 anni ed, infine, il 7,6% di persone con 85 anni e più. Tra gli indici demografici che sintetizzeranno questo quadro, merita soffermarsi sull’indice di invecchiamento (rapporto percentuale tra il numero di ultra-sessantacinquenni ed il numero di giovani con meno di 15 anni) che al 2050 si stima pari a 262.8, sull’indice di dipendenza degli anziani (rapporto percentuale tra numero di ultra-sessantacinquenni e popolazione con età tra 15 e 64 anni) pari a 60% ed, infine, sull’ indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione inattiva (0- 14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni) e che si stima si incrementerà nel prossimo 40-ennio del 55%.

Impatto sulla spesa pubblica degli scenari attesi

Se l’invecchiamento della popolazione può rappresentare una fonte aggiuntiva di capitale sociale in termini di esperienza, gli scenari descritti pongono, tuttavia, in discussione la sostenibilità degli attuali equilibri economici e sociali del nostro Paese: ovvero, è lecito chiedersi se le dinamiche demografiche appena descritte, frutto di incrementata longevità e di persistente denatalità, assicurino risorse sufficienti per affrontare i bisogni sociali e sanitari di tutte le generazioni che si troveranno a coesistere, così come trovano risposta nell’attuale sistema di welfare.

Per quanto riguarda le risorse finanziarie in grado di alimentare il sistema di tutele sociali e sanitarie, la loro crescita è subordinata all’incremento del PIL nazionale oppure all’incremento del prelievo fiscale, aumentando così le possibilità di spesa pubblica. Purtroppo entrambi questi elementi non sono realizzabili nell’attuale fase economica e il prelievo fiscale non è ulteriormente dilatabile, risultando peraltro nelle posizioni più elevate delle classifiche OCSE. In prospettiva, dunque, il problema della disponibilità di risorse si lega alle possibilità di crescita del PIL, che tuttavia sembrerebbero necessariamente limitate dalla crescita della popolazione anziana inattiva e dalla diminuzione della popolazione in età attiva. Tale scenario potrebbe trovare soluzione aumentando notevolmente la produttività del lavoro, come peraltro è avvenuto negli ultimi decenni grazie allo sviluppo tecnologico.

Per quanto riguarda, invece, le conseguenze dei mutamenti demografici sui bisogni sociali e sanitari, esse investono sia il sistema sanitario che quello di tutela previdenziale, con differente impatto in termini di spesa pubblica.

Nell’ambito del Documento di Economia e Finanza, l’Italia elabora tradizionalmente le previsioni di medio-lungo periodo relative a cinque componenti di spesa pubblica

16 Previsioni demografiche elaborate dall’Istat ricorrendo al cosiddetto modello per componenti (cohort

component model), secondo il quale la popolazione, tenuto conto del naturale processo di avanzamento dell’età, si modifica da un anno al successivo sulla base del saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) e del saldo migratorio (differenza tra movimenti migratori in entrata e in uscita). Le previsioni sono aggiornate periodicamente rivedendo e/o riformulando le ipotesi evolutive sottostanti la fecondità, la sopravvivenza e la migratorietà.

Si riportano i dati relativi allo scenario centrale, ossia basate su un set di stime puntuali ritenute “verosimili” che, costruite in base alle recenti tendenze demografiche, rappresentano quelle di maggiore interesse per gli utilizzatori.

connesse con l’invecchiamento (spesa age-related): la spesa pubblica per pensioni, la spesa sanitaria, quella per l’assistenza di anziani e disabili a lungo termine (Long-Term Care), la spesa per l’istruzione e quella per ammortizzatori sociali.

Le previsioni recepiscono specifiche ipotesi demografiche e variabili macroeconomiche; per quanto riguarda le prime, esse prevedono: i) un flusso netto annuo di immigrati pari, mediamente, a circa 306 mila unità, con un profilo crescente per i primi 15 anni e decrescente successivamente; ii) un livello della speranza di vita al 2060 pari a 85,5 anni per gli uomini e a 89,7 anni per le donne; iii) un tasso di fecondità totale al 2060 pari a 1,61. Gli scenari demografici e macroeconomici si traducono in un tasso di crescita del PIL reale che si attesta, nel periodo 2015-2060, attorno all’1,5% medio annuo. A partire dal 2020, il deflatore del PIL e il tasso di inflazione sono assunti pari al 2,0%.

SPESA PUBBLICA PER PENSIONI, SANITA', ASSISTENZA AGLI ANZIANI, ISTRUZIONE E INDENNITA' DI