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Metabolismo e riproduzione Epidemiologia

Tassi di fecondità per età materna

SPESA PUBBLICA PER PENSIONI, SANITA', ASSISTENZA AGLI ANZIANI, ISTRUZIONE E INDENNITA' DI DISOCCUPAZIONE (2010-2060)

4. LE CONDIZIONE CHE POSSONO COMPROMETTERE LA FERTILITA’ LA PREVENZIONE DELL’INFERTILITA’

4.1 Metabolismo e riproduzione Epidemiologia

A fotografare l’incremento in Italia negli ultimi anni di sovrappeso e obesità, legati a scorretti stili di vita ed alimentazione sregolata, è l’ultimo report pubblicato nel 2012 dal Sistema di Sorveglianza dell’Istituto Superiore della Sanità “Okkio alla Salute”. Tali dati confermano livelli preoccupanti di eccesso ponderale: il 22,2% dei bambini è infatti risultato in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità, con percentuali più alte nelle regioni del centro e del sud. Anche i valori relativi alla "inattività" fisica e ai comportamenti sedentari, pur mostrando un lieve miglioramento rispetto al biennio 2008-2010, permangono elevati. Tale tendenza trova riscontro anche nelle età più adulte; infatti, da quanto riportato dal sistema di "sorveglianza Passi" 2010-2013 emerge che due adulti su cinque (42%) sono in eccesso ponderale (Body Mass Index BMI ≥25 Kg/m2).

In particolare, il 31% è in sovrappeso (BMI ≥25 - <30 Kg/m2) e l’11% è obeso (BMI ≥30

Kg/m2). La prevalenza di persone in eccesso ponderale disegna un chiaro gradiente Nord-

Sud con una maggiore diffusione nelle Regioni meridionali: la Basilicata e Campania sono le Regioni con le prevalenze più alte (rispettivamente 49% e 48%). Pertanto è necessario focalizzare l’interesse sulla promozione della salute, fin dall’infanzia, prima che si instaurino patologie, associate alla sedentarietà e all’obesità come la sindrome metabolica, l’insulino-resistenza e il diabete, correlate ad alto rischio cardiovascolare e che impattano in maniera non affatto trascurabile sulla fertilità. A tal proposito è noto come le giovani donne affette da Sindrome dell'ovaio policistico (PCOS), condizione patologica frequentemente associata a disordini dell'ovulazione, possano presentare, in oltre il 50% dei casi, gradi diversi di insulino-resistenza (IR), fino al diabete clinico, alla dislipidemia mista ed alla obesità con tipica distribuzione del grasso corporeo di tipo androide. Queste caratteristiche configurano un aumentato di sindrome metabolica. Si stima che la probabilità di comparsa della stessa sia 2-4 volte superiore rispetto alle pazienti non affette da PCOS. La definizione di sindrome metabolica secondo il National

Cholesterol Education Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III - ATPIII) prevede la presenza di tre o più

disordini tra i seguenti:

- obesità centrale (circonferenza vita ≥88 cm);

- alterata regolazione glicemica (glicemia a digiuno ≥110mg/dL, o ≥140mg/dL a due ore nel test con carico orale di glucosio (OGTT);

- ipertensione arteriosa(PA ≥130/85 mm/Hg); - ipertrigliceridemia (≥150mg/dL);

- ridotto colesterolo HDL (<50mg/dL);

Le alterazioni metaboliche presenti nelle donne con PCOS richiedono perciò una modifica nell'approccio clinico a questa sindrome, riconoscendo che questa condizione è cronica e con possibili ricadute a lungo termine. Infatti, sebbene il nesso tra PCOS ed alterazioni metaboliche resti tuttora oggetto di controversie sotto il profilo patogenetico, è innegabile che un approccio terapeutico incentrato sulla modifica del "lifestyle" e sulla ottimizzazione delle abitudini alimentari sia in grado di migliorare il quadro clinico della

PCOS e di ripristinare la funzione ovulatoria. Esistono ancora controversie sulla opportunità di uno screening per identificare una eventuale alterata tolleranza glicidica e insulino-resistenza in tutte le donne con PCOS. Secondo il Royal College of Obstetricians

and Gynaecologists, le giovani donne con diagnosi di PCOS dovrebbero essere informate

sulle possibili complicanze legate alla loro condizione e a tutte andrebbero proposti una determinazione della glicemia basale ed un lipidogramma. Secondo la American College of

Obstetricians and Gynecologists lo screening dovrebbe essere effettuato direttamente con

un test con carico orale di glucosio e un lipidogramma. La presenza di obesità nelle giovani donne con PCOS determina un peggioramento del quadro clinico sia dal punto di vista metabolico sia sotto il profilo riproduttivo, con maggiore prevalenza di diabete di tipo 2, oligomenorrea ed infertilità. Inoltre, l'eccesso ponderale in queste pazienti si associa ad una peggiore risposta alla stimolazione ovarica controllata effettuata sia con farmaci come il clomifene citrato (modulatore selettivo del recettore estrogenico) sia con gonadotropine esogene. In ultima analisi le donne obese con PCOS rispetto alle donne di peso normale presentano nelle tecniche di fecondazione assistita (FIVET, ICSI) minor percentuale di gravidanze, aumentata frequenza di aborti spontanei e, soprattutto, un'elevata incidenza di complicazioni rilevanti quali la sindrome da iperstimolazione ovarica. Per contro, nelle donne obese con PCOS l'esercizio fisico, una dieta ipocalorica e la riduzione del grasso corporeo comportano un miglioramento della funzione ovarica con possibile ripristino delle ovulazioni spontanee, aumento del potenziale riproduttivo e una normalizzazione del metabolismo glucidico con possibile riduzione del rischio di diabete di tipo 2.

Sindrome dell’Ovaio Policistico

La PCOS colpisce una percentuale della popolazione variabile tra il 5 e il 10%, tanto da essere oggi considerata l’alterazione endocrina più comune durante gli anni fertili. L’eziologia di questa sindrome è ancora oggi controversa e dibattuta. In altre parole l’ovaio policistico è l’espressione di una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo e non la conseguenza di uno specifico difetto locale ovarico o centrale (ipotalamo-ipofisario). Tuttavia sembra più appropriato abbandonare i rigidi schemi di una precisa classificazione e considerare questa sindrome come una condizione con un ampio ventaglio di etiologie e di manifestazioni cliniche, che oggi includono quelle derivanti dalla resistenza all’insulina e dalla conseguente iperinsulinemia oltre che quelle legate all’iperandrogenismo. Data la complessità nel definire quali sintomi debbano rientrare nella definizione di PCOS, nella Consensus Conference di Rotterdam del 2003 si è concluso che la stessa costituisce una condizione i cui sintomi cardine sono l’iperandrogenismo e la morfologia policistica dell’ovaio (PCO). Anche l’iperinsulinismo, determinato dall’insulino-resistenza caratteristica dell’obesità di tipo centrale, ha un ruolo importante nella patogenesi della PCOS. A tal proposito, è importante sottolineare come secondo le ultime analisi l'insulino-resistenza riveste un ruolo centrale nella genesi della sindrome. Possiamo quindi concludere che la PCOS è il risultato finale comune di una serie di meccanismi patogenetici differenti che, una volta instauratasi la sindrome, tendono ad alimentarsi reciprocamente.

Il trattamento della PCOS deve mirare a regolarizzare i cicli mestruali, ripristinare l'ovulazione e quindi la fertilità, ridurre, più o meno radicalmente, i segni clinici dell'iperandrogenismo ed arrestare la tendenza al progressivo aggravamento della malattia. Purtroppo allo stato attuale non esiste una terapia "causale" adatta a trattare in maniera radicale la sindrome dell'ovaio policistico. Pertanto è necessario, di volta in volta, scegliere tra le varie possibili strategie terapeutiche quella più adatta a risolvere il

problema che la paziente vive con maggiore preoccupazione. E' ormai unanimamente accettato che, indipendentemente dall'esistenza o meno di uno specifico desiderio di gravidanza, è sempre necessario trattare la sindrome dell’ovaio policistico per evitare le conseguenze dell'ipersecrezione androgenica (irsutismo) e della costante presenza di livelli più o meno elevati di estrogeni non bilanciati dal progesterone che, possono provocare la comparsa di una iperplasia endometriale, possibile precursore del cancro dell'endometrio. Anche il rischio metabolico (patologia cardiovascolare e diabete), soprattutto se la paziente è obesa, deve essere valutato e contrastato.

Strategie di intervento definite per target (pazienti; medici; media)

In caso di desiderio di gravidanza, in pazienti affette da PCOS, la terapia deve tendere a correggere la anovularietà, responsabile della sterilità. E' bene tuttavia ricordare che la percentuale di donne affette da PCOS che ovula, anche se irregolarmente e sporadicamente, è compresa tra il 20 ed il 50% dei casi; è evidente, quindi, che la maggior parte di queste pazienti non dovrà ricorrere ad alcuna terapia per ottenere una gravidanza. Pertanto, tenendo presente che la PCOS non è sinonimo di sterilità, il ricorso ad un trattamento finalizzato all'induzione dell'ovulazione deve essere attuato solo dopo aver accertato che la anovularietà è sistematica ed è l'unica causa della sterilità. La scelta iniziale deve cadere sui trattamenti più semplici che non richiedono monitoraggi complessi; ogni trattamento è ripetuto alcune volte, sia in caso di insuccesso ovulatorio, sia in caso di insuccesso riproduttivo. La riduzione del peso deve rappresentare la prima raccomandazione nelle pazienti con PCOS obese, prima dell'inizio di qualsiasi intervento farmacologico. Infatti proprio per questa categoria di pazienti, il calo ponderale di almeno il 5% rispetto al peso iniziale, è in grado di migliorare o addirittura normalizzare la funzionalità ovarica.

La perdita di peso riduce i livelli di insulina, di SHBG e gli estrogeni; può ripristinare l'ovulazione da sola o favorendo l'effetto dei farmaci utilizzati ai fini dell'induzione dell'ovulazione. Anche l'esercizio fisico è importante perché riduce la resistenza insulinica e va sicuramente raccomandato visto il forte impatto non solo sul quadro metabolico, ma anche sulla funzione ovarica e il ripristino della fertilità. Al fine di prevenire queste condizioni cliniche dovrebbe essere predisposta una maggiore sensibilizzazione verso una stile di vita sano e la diffusione di una vera e propria “educazione alimentare”. Negli ultimi anni infatti è stato attribuito un ruolo sempre maggiore agli effetti benefici della dieta mediterranea, tanto che questo tipo di dieta, nel novembre del 2012 è stata riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità. E' dunque innegabile che una corretta applicazione dei principi dettati dalla dieta mediterranea possa riflettersi in una concreta ricaduta in termini sia di prevenzione sia di miglioramento della salute riproduttiva.

L'idea che inadeguatezze dello stile di vita e delle abitudini alimentari rappresentino una minaccia per la propria fertilità resta tuttavia di difficile elaborazione, soprattutto tra gli adolescenti che difficilmente tendono a "proiettarsi" nel proprio futuro riproduttivo. Altrettanto complesso appare "veicolare" il messaggio che un'alimentazione corretta ed un opportuno "lifestyle" possano rappresentare una vera e propria terapia, in grado di impattare in modo rilevante sulla prognosi riproduttiva. Tuttavia, è cruciale che questo tipo di informazione venga garantito in modo efficace sin dalla giovane età. A tal fine, data la scarsa "recettività" propria dell'età adolescenziale, le strategie di intervento dovrebbero coinvolgere, in prima istanza, genitori ed educatori. I primi giocano un ruolo chiave nel condizionare e gestire in modo pratico le abitudini alimentari quotidiane dei giovani, nelle differenti fasi di sviluppo. I secondi possono veicolare il messaggio

nell'ambito delle attività scolastiche. Tale intervento presuppone, tuttavia, un coinvolgimento a monte della comunità scientifica finalizzato a propria volta alla sensibilizzazione dei sanitari che operano sul territorio, con particolare riferimento ai medici della medicina generale e della pediatria di base.

In definitiva, per ridurre le disuguaglianze in termini di salute e di costi sanitari e sociali, andrebbero promosse campagne di sensibilizzazione che coinvolgano gli operatori sanitari, principali responsabili della "diffusione" dei messaggio nella quotidianità, affinché una corretta informazione raggiunga genitori ed educatori in modo costante e efficace. In parallelo, l'informazione dovrebbe essere garantita, in modo diretto ai giovani nelle differenti fasi di crescita, anche attraverso canali di comunicazione a loro consoni. Strategie quali incontri nelle scuole dedicati, con diffusione di opuscoli informativi, si sono rivelati non sempre efficaci. Al contrario, si potrebbe considerare l'idea di sfruttare i

social network quali Facebook e Twitter, come strumento di veicolazione molto vicino al

loro modo di rapportarsi al mondo. Paradossalmente, l'utilizzo dei canali “regno della sedentarietà” potrebbe rappresentare un punto di partenza efficace ed appropriato.

4.2 I killer invisibili: condizioni ambientali, professionali,