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Il ruolo del livello di istruzione e della condizione professionale

Tassi di fecondità per età materna

2.3 Il ruolo del livello di istruzione e della condizione professionale

Gli ultimi decenni della storia italiana sono caratterizzati dalla crescita del livello di istruzione delle donne. Nella fascia di popolazione fra i 25 e i 44 anni le donne con un titolo di studio superiore sono oggi relativamente più numerose degli uomini. Fra gli inizi degli anni ‘70 e i primi anni del 2000 il tasso di conseguimento del diploma per le donne è più che triplicato. I rapporti di forza si sono invertiti anche per quanto riguarda la laurea e ormai il numero di donne che raggiunge questo traguardo ha superato quello degli uomini di vari punti percentuali (28% vs 19%). Le donne italiane, comunque, non hanno ancora recuperato il divario esistente rispetto ad altri Paesi europei in tema di quota di popolazione con alto livello di istruzione9.

Delle donne che hanno partorito nell’anno 2005, il 40,9% possiede almeno un diploma di scuola superiore, il 41,5% ha una scolarità medio-bassa mentre il 17,6% ha conseguito la laurea; nel 2010, il 44,2% delle partorienti ha una scolarità medio alta, il 33,3% ha un titolo di studio medio-basso mentre il 22,5% è in possesso di laurea. Il generale incremento del livello di istruzione delle partorienti è senz’altro correlabile alle variazioni di scolarizzazione tra le coorti che entrano in età riproduttiva; le variazioni più pronunciate nelle partorienti a confronto si osservano nella fascia di età tra 30 e 39 anni.

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Fonte: Ministero della Salute, Analisi dell’evento nascita - Anno 2005, Analisi dell’evento nascita - Anno 2010

L’analisi non può prescindere dal mettere in relazione la tematica più generale dell’istruzione con il ritardo nei tempi della maternità/paternità. La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico nel rapporto di coppia, per il raggiungimento dell’indipendenza economica e sociale. Occorre, poi, evidenziare che il sistema universitario italiano è connotato da un’eccessiva durata del percorso e da un alto numero di abbandoni.

Quadro che non sembra mutato con il riordino del sistema e l’istituzione del 3 + 2, inizialmente introdotto proprio al fine di rendere più veloce il completamento del primo ciclo di studi. Raramente, però, l’innovazione ha comportato nei fatti un ridisegno della didattica e dei contenuti dei corsi, individuando un percorso che avesse un proprio mercato di sbocco10. La carenza di orientamento e di adeguate informazioni sul mercato

del lavoro e sulla sua evoluzione non offre sostegno ai giovani nella fase di transizione fra percorso formativo e professionale. L’ultima riforma del lavoro ha introdotto importanti novità in materia di occupazione, con l'obiettivo di garantire flessibilità e tutelare il lavoratore, produrre politiche attive per il lavoro e rilanciare l'economia, ma non è ancora riuscita a fornire al sistema imprenditoriale il volano necessario allo sviluppo. La difficoltà a trovare un lavoro nelle nuove generazioni intacca non solo la fiducia nelle istituzioni, ma porta i giovani a rifugiarsi nella rete parentale più stretta11. Ed è così che ritorna, da

un’altra prospettiva, il tema della posticipazione delle scelte di vita. I giovani si vedono più come figli che come nuove generazioni responsabili.

Il passaggio dalla scuola alla prima occupazione è, dunque, una fase cruciale nella quale si rischia di disperdere anni preziosi verso il percorso della realizzazione professionale e personale.

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Banca d’Italia – Eurosistema , n. 122” Il capitale umano per la crescita economica: possibili percorsi di miglioramento del sistema di istruzione”. Aprile 2012

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Fonte: Ministero della Salute, Analisi dell’evento nascita - Anno 2005, Analisi dell’evento nascita - Anno 2010

I dati pubblicati dall’ISTAT in tema di lavoro dimostrano che l’occupazione della popolazione in età lavorativa rappresenta uno degli indicatori chiave per misurare le differenze di genere che si riducono al crescere del livello di istruzione femminile. Viene, comunque, confermata una differenza ancora rilevante in termini di tassi di occupazione femminile fra l’Italia e gli altri Paesi europei12. I nostri tassi di occupazione femminile

risultano inferiori a quelli medi dell’Unione Europea per ogni classe di età.

Nel 2005, circa la metà delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 39% è casalinga mentre si registra una quota di disoccupate o in cerca di prima occupazione pari al 10,2%; tra le straniere che hanno partorito nel 2005, il 59% risulta casalinga mentre meno del 30% possiede un’occupazione. Nel 2010, quasi il 60% delle madri risulta occupata, il 30,7% risulta casalinga mentre l’8% risulta disoccupata o in cerca di prima occupazione; tra le madri straniere, il 54,8% risulta casalinga mentre circa un terzo risulta occupata. Il 18% delle madri con un titolo di studio medio-alto ha avuto il primo figlio entro 25 anni di età rispetto al 36,5% delle donne con un titolo di studio basso; a 30 anni, il 56,8% delle madri con un più alto livello di istruzione ha avuto il primo figlio, contro il 69,8% delle altre; all’età di 35 anni, le due proporzioni si attestano, rispettivamente, ad 88,6 e 92%. Per quanto riguarda la condizione professionale, all’età di 25 anni solo il 14% delle madri occupate ha avuto il primo figlio, a fronte del 35% delle non occupate. A 30 anni, queste proporzioni salgono al 51,8% per le occupate e al 72,5% per le non occupate. Come nel caso dell’istruzione, entro i 35 anni la percentuale di primogeniti da madri occupate e non occupate tende a riallinearsi (87,3% e 92,5% rispettivamente). Il 18,4% di tutte le madri occupate all’inizio della gravidanza non lavora più al momento dell’intervista (nel 2002 erano il 20%). Non lavorano più dopo la nascita dei figli il 25% delle madri residenti al Sud contro il 15% delle residenti al Nord. Lasciano o perdono il lavoro il 32% delle madri che hanno al massimo la licenza media e solo il 7,8% delle laureate. Infine, il 40,2% delle madri che lavora dichiara di avere delle difficoltà nel conciliare la vita lavorativa con quella familiare13.

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Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro. Rapporto annuale 2005. Lavoro – Occupazione

13

Essere madri in Italia. Anno 2005.