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Gli Imperi centrali e la Russia zarista: campi di concentramento e malattie

Le relazioni sulla sanità pubblica fornita settimanalmente dal Servizio Sanitario Pubblico americano, nel febbraio 1915, riportavano il tifo come malattia epide- mica in Serbia con 500 morti al giorno, mentre i casi denunciati nell’Impero Au- stro-ungarico erano circoscritti e si limitavano ad alcune centinaia, soprattutto tra i prigionieri di guerra e le persone che provenivano dalla Galizia82. Per la Germa- nia, invece, nel marzo 1915 venivano notificati alcuni casi di tifo, principalmente tra i soldati e il personale connesso al servizio delle baracche e dei campi di con- centramento, mentre si registrava la presenza del morbo tra i soldati russi prigio- nieri di guerra rinchiusi nei campi di concentramento di dodici distretti governa- tivi.

Nel dicembre 1914 venivano riportati anche 51 casi di colera in Germania, preci- samente nel Brandeburgo, a Posen e in 23 località della Slesia. In gennaio l’epidemia veniva segnalata nei campi di concentramento tra i prigionieri, fra i quali la più grave in quello di Wittenberg 83. Il medico francese Georges Mon- voisin descrisse il campo di Wittenberg durante l’inverno del 1914 e la primavera del 1915, un campo malsano e sovraffollato dove 14.000 uomini erano tenuti senza poter usare il sapone, l’acqua calda o un cambio di vestiti. I prigionieri non avevano un pagliericcio individuale, ma ne condividevano uno in tre. Nel dicem- bre 1914 scoppiò nel campo l’epidemia di colera che colpì 60 prigionieri, metà dei quali morirono84. In quell’occasione, il personale tedesco, militare e medico, precipitosamente abbandonò il campo, e da allora fino ad agosto 1915, nessuna comunicazione si è tenuta tra i prigionieri e le loro guardie se non per mezzo di urla tra i reticolati. Tutte le provviste venivano spinte nel campo per mezzo di sci- voli. Il cibo per l'ospedale e gli ufficiali medici arrivava in un carrello spinto per

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mezzo di argani. Secondo quanto riportato dalla stampa inglese dell’epoca, du- rante tutto il tempo della malattia nessuna assistenza medica era stata prestata dal personale tedesco85.

Invece secondo la studiosa Heather Jones vi fu una effettiva risposta all’epidemia da parte delle autorità in quanto iniziarono un programma di vaccinazione per i prigionieri, quantunque questa esperienza non sia servita a mettere in guardia le autorità sull’urgente necessità di provvedere alle misure igieniche ed introdurre una appropriata misura di quarantena in tutti i campi.

A partire dal gennaio del 1915 con l’affievolirsi del colera, scoppiò nell’Europa centro settentrionale l’epidemia di dermotifo che colpì la popolazione civile e i prigionieri di guerra. I campi di concentramento maggiormente colpiti furono quelli tedeschi di Langensalza (Thuringe), Kassel-Niederzwehren, Wittenberg e Gardelegen, anche se la diffusione fu notevole toccando ben trenta campi, collo- cati per lo più nella Germania settentrionale86.

Il campo di concentramento di Kassel «a été ravagé, dans les mois de février et de mars, par une effroyable épidémie de typhus exanthématique» scrive Mr. Favre, dell’Ucjg (Unions chrétiennes de jeunes gens - Unione cristiana dei giovani) al ritorno della sua visita nei campi di concentramento tedeschi alla fine del 1915 «Il n’Y avait, pour ainsi dire, plus de distinction entre le lazaret et le camp. Tout le monde était malade et l’on voyait circuler des gents qui avaient de 40° à 41° de fièvre. Les uns étaient épuissés par la faiblesse, d’autres se promenaient, d’autres étaient assis et mangeaient, malgré leur degré de fièvre très élevé». Il campo era molto mal tenuto, i bagni erano in un’unica costruzione, molto sudici, ai quali non si arrivava se non attraverso la melma87. Le cifre riportate nella sua relazione dal delegato spagnolo, in visita nei campi tedeschi, indicano per il campo di Kassel 7.314 colpiti su 19.000 prigionieri (francesi, inglesi, belgi e russi), ma le cifre dei deceduti non sono molto chiare. Nel campo di Langensalza, invece, l’epidemia di tifo da febbraio a giugno 1915 uccise 600 francesi e 200 russi, e a Wittenberg dove il tifo era scoppiato verso la fine dell’epidemia di colera, su 2.400 prigionieri francesi, furono contagiati 360 prigionieri per un totale di 124 decessi, tra i quali vi erano tre medici francesi, ma morirono di tifo dentro il campo anche due ufficiali, quattro medici militari e 21 uomini di truppa dell’esercito tedesco 88. La

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mortalità fra i prigionieri fu molto alta anche se i dati non sono chiari sui prigionieri contagiati e quelli deceduti in seguito all’epidemia, in ogni caso si parla di 44.732 colpiti su un totale di 848.556 prigionieri di guerra detenuti dalla Germania.

I rapporti del United States Public Health Service rilevarono che nei campi di concentramento, furono colpiti in particolare i prigionieri russi: «During the pe- riod from March 14 to 20, 1915, 31 cases of typhus fever, occurring mainly among soldiers, were notified in Germany. The disease was reported present dur- ing the same period among Russian prisoners in camps in 10 Government districts and in Saxony, Saxe-Coburg-Gotha, and Anhalt»89.

Sicuramente i prigionieri russi furono quelli maggiormente contagiati, ciò nono- stante Inghilterra e Francia usarono le notizie sull’epidemia che arrivano in Patria per alimentare l’indignazione popolare contro il nemico, l’opinione pubblica. Le autorità francesi e inglesi accusarono la autorità tedesche di negligenza durante le epidemie, soprattutto a Gardelegen e a Wittenberg, e di non aver adempiuto ad uno dei principi fondamentali della civiltà, quello della cura dei malati. Ritene- vano che i medici tedeschi non potessero ignorare le scoperte scientifiche sulla trasmissione della malattia per mezzo dei parassiti e la facilità con la quale poteva essere fermata attraverso la disinfezione degli uomini e dei loro effetti personali90. La Germania rispose alle accuse con una memoria difensiva nella quale sosteneva che i medici tedeschi non conoscevano nulla del tifo petecchiale, che era una ma- lattia sconosciuta nel Paese, a parte qualche raro caso verificatosi nelle regioni del confine orientale tra i vagabondi e le classi più povere della società. La difesa te- desca sostenne che non era conosciuto il meccanismo di diffusione della malattia per mezzo dei pidocchi e protestava che la causa dell’epidemia di tifo erano stati i prigionieri russi pieni di pidocchi91.

Heather Jones ha dimostrato nel suo studio che in Germania, nel 1915, invece era già dettagliatamente conosciuta la relazione tra il tifo e la scarsa igiene, come pure che il pidocchio fosse il veicolo del contagio, sebbene fosse ancora aperto il di- battito della trasmissione della malattia da uomo a uomo e che, a dispetto di que- ste conoscenze, la risposta tedesca alle epidemie fu all’inizio notevolmente lenta se paragonata all’enfasi posta sulle misure di profilassi per l'esercito tedesco allo

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scoppio della guerra nel 1914. La storica inglese, valendosi delle ricerche di due colleghi tedeschi come Uta Hinz e Karl Heinz Leven, sostiene che nella lentezza della reazione iniziale tedesca delle autorità tedesche fosse determinante l’aspetto razziale in quanto il tifo era percepito come endemico tra la popolazione orientale e come una normale parte della vita dei prigionieri russi, le cui attitudini culturali e igieniche erano considerate primitive92.

Le autorità tedesche colpevolizzando i prigionieri russi per l’epidemia, effettiva- mente insinuavano che attraverso la loro alleanza con la Russia, i governi britan- nico e francese erano essi stessi colpevoli della morte dei loro soldati.

La risposta francese e inglese enfatizzava la decisione tedesca di mescolare i pri- gionieri, decisione che aveva lo scopo di umiliare inglesi e francesi mescolandoli con i russi e i prigionieri delle truppe coloniali ritenuti meno civilizzati. In questo modo, con le scarse strutture igieniche del campo, anche Francia e Inghilterra col- pevolizzavano i prigionieri russi di essere il veicolo della malattia: «La cause du fléau ne fait ici l'objet d'aucun doute la propagation du mal est duc uniquement au mélange systématique et forcé opéré par l'autorité allemande entre les Français et les Russes, ces derniers porteurs d'un agent de contagion, le poa, qui, spécifique- ment infecté, pullule rapidement. D'après une note verbale de l'Office impérial des Affaires étrangères du 30 novembre 1915 , la cause du typhus est «un agent en- core inconnu jusqu'ici, qui est importé exclusivement par les poux dont les Rus- ses, à leur arrivée, étaient presque sans exception fortement infestés ». Or l'auto- rité allemande ne s'est pas bornée à provoquer, partout, contrairement au désir connu des intéressés, le mélange systématique, au point de vue du couchage, du logement, etc., des Français et des Russes, sous le prétexte ironique «qu'il fallait apprendre aux alliés à se connaître». Elle a maintenu ce mélange alors que les ef- fets en étaient connus; elle l'a maintenu alors que l’intervention motivée, énergi- que, persévérante des médecins français, à Langensalza, à Wittenberg réclamait l'abolition. Et le commandant du camp de Cassel il fut déplacé quand l'épidémie commença à atteindre le détachement allemand aurait tenu ce propos féroce « Je fais la guerre à ma façon»»93.

Nell’inverno 1914-15 l’organizzazione dei campi di concentramento in Germania era caotica, con notevoli carenze di alloggio: il campo di Döberitz consisteva in

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quattro larghe tende capaci ognuna di contenere i prigionieri, Sennelager nel set- tembre 1914 era un campo aperto cinto da filo spinato, senza alcuna tenda. Nell’ottobre 1914, nel campo di Zossen (Brandeburgo) oltre 15.000 prigionieri, quasi tutti francesi, alloggiavano parte in baracche di legno, parte sotto le tende in attesa che fosse terminata la costruzione delle baracche. Ma, poiché le tende non bastavano, diversi prigionieri avevano costruito delle capanne di fango per ripa- rarsi94.

Ma non sempre e ovunque. A Gardelegen, il consigliere nazionale svizzero, Ar- thur Eugster, durante la sua visita del 7 gennaio 1915, trovò che i 6.662 prigionieri (francesi, russi, inglesi, belgi ed alcuni civili provenienti dalle zone occupate della Francia del Nord) alloggiavano in baracche nuove, con il tetto incatramato, i muri dipinti di bianco, alti e chiari. I gabinetti erano puliti, disinfettati regolarmente, e poiché non c’era una canalizzazione di scolo, venivano svuotati per mezzo di ser- batoi di scarico chiusi. Le installazioni dei bagni e delle docce erano numerose e al momento della visita si stava costruendo un nuovo edificio, dove i prigionieri potevano lavare ed asciugare la biancheria personale. Le cucine, definite “vere cu- cine da campo”, erano numerose. Il letto dei prigionieri consisteva in un paglieric- cio di paglia o un sacco di “lana di legno”, probabilmente trucioli, un cuscino e due coperte di lana95.

In base alla circolare del 15 gennaio 1915 del CICR richiedeva che in ogni campo di concentramento ci dovesse essere la possibilità per i prigionieri di farsi un ba- gno, il consigliere Eugster, durante la sua seconda visita a 19 campi di concentra- mento in Germania tra il 22 febbraio e l’11 marzo 1915, sottolineò con forza che egli aveva potuto constare una volta di più, che tutti i campi erano provvisti di in- stallazione di bagni e di docce e che i prigionieri dovevano farsi regolarmente il bagno. «Quand on affirme que, dans beaucoup de camps allemandes, les prisonniers vivent dans la saleté, couverts de vermine, l’intérêt de la vérité et de la justice nous oblige à refuter avec énergie de telles assertions. C’est le contraire qui est vrai. Partout, sous la direction d’hygiénistes émérites, on prend toutes les mesures utiles pour le maintien de la santé des prisonniers. Si donc l’état sanitaire des camps est réellement bon, c’est grâce aux mesures d’hygiéne qu’ont prises les Allemands. Ceux-ci ont, malgré ces énormes rassemblements d’hommes, pu

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restreindre à leurs premiers foyers les épidémies apportées par les prisonniers russes (choléra et typhus). Cette lutte contre les épidémies présente d’extrêmes difficultés, mais on la poursuit avec une grande énergie et, Dieu merci, avec un succés évident. Je puis donc affirmer, en toute sécurité, quel es mesures hygiéniques allemandes sont dignes de tout éloge. Si, malgré la lutte énergique qu’on a menée avec succès contre la vermine, les mesures de désinfection et autres moyens n’ont pas encore réussi à extirper complètement ce fléau, cela prouve seulement l’étendue du mal qu’on avait à combattre»96.

La Jones, nel suo fondamentale lavoro, indica nella negligenza delle autorità la maggiore responsabile delle diffusione mortale di malattie, e precisamente nell’epidemia di tifo in Germania nel 1915 e la malaria e la febbre tifoide nel Nord Africa tra i prigionieri tedeschi. Queste malattie non erano fenomeni univer- sali tra i prigionieri nel 1914-1915 e non erano il risultato automatico o inevitabile di una improvvisa sistemazione di una massa di uomini. A dispetto dei significa- tivi problemi nell’organizzare i campi e distribuire le risorse, non c’erano epide- mie tra i prigionieri tedeschi tenuti in Inghilterra o nella Francia metropolitana e questo fatto dimostra che era possibile proteggere la salute dei prigionieri, anche quando gli Stati erano costretti ad improvvisare alloggi di fortuna per contenerli97. L'epidemia segnò in ogni caso una svolta importante nel sistema concentraziona- rio tedesco poiché le autorità furono obbligate ad accelerare la costruzione di campi ex novo o a migliorare quelli che già esistevano. In pochi mesi le strutture fondamentali dei campi di concentramento in Germania cambiarono e da improv- visati campi si trasformarono in piccole città con la loro amministrazione e le loro infrastrutture.

Nel visitare il campo di Cassel, il delegato spagnolo riferiva che la mancata orga- nizzazione del campo rese difficile all’inizio approntare le cure adeguate per l’epidemia. Ma grazie agli sforzi del medico tedesco del campo, il prof. Reberg, assistito da medici francesi, inglesi e russi, fu organizzato il servizio e si cominciò a controllare la malattia, cominciando innanzitutto dalla distruzione dei pidocchi, la cui proliferazione, era la principale causa di contagio. Per attaccare energica- mente la malattia, si cominciò a depilare i prigionieri, i quali dopo aver fatto un bagno, passavano completamente nudi in un altro locale dove ricevevano vestiti

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puliti. Il gen. Kruska, comandante del campo, venne sostituito in maggio 1915 dal gen. Von Domming e si procedette ad una ampia sistemazione98. Nel 1917 il campo di concentramento di Kassel era stato largamente sistemato. Costituito da baracche che potevano contenere 1.000 uomini, ogni baracca era divisa in 4 parti, ciascuna aveva due piani e poteva contenere 250 uomini. All’entrata della baracca c’era una scrivania per i sottufficiali tedeschi con 2-3 impiegati francesi. Di fianco si trovava un magazzino con coperte ed altri effetti. All’altra estremità stava un lavatoio per i servizi igienici e un grande forno ad acqua calda per lavare e prepa- rare i pasti. Tutti i prigionieri avevano la propria ciotola per mangiare. In ogni camera, a fianco della stufa di riscaldamento che poteva servire all’occorrenza an- che a preparare i pasti, c’era una stufa da cucina dove i prigionieri potevano cuci- nare le loro provviste. C’erano molte baracche destinate alla socialità e alle attività ricreative, come il teatro e la musica, ed una era destinata alla biblioteca del campo e alla sala lettura con tavoli e panche99.

Un adeguato sistema di disinfestazione con bagni in massa, rasatura della peluria e disinfezione dei vestiti nei forni o nelle camere di fumigazione, separazione tra sani e infetti, furono norme che, scaturite o meno dall’esperienza dell’epidemia, anche se attuate non garantirono l’immunità dal tifo esantematico nei campi di concentramento, ma sicuramente una maggiore resistenza. E in ogni caso, le epi- demia di tifo si riscontrarono nei campi di concentramento anche degli altri Paesi belligeranti, a cominciare dalla Russia.

L’esercitò russo, alla fine del conflitto, aveva catturato circa due milioni di soldati tedeschi e austriaci. Molti di loro, come abbiamo già visto in precedenza, furono presi in Galizia nel 1914, o durante le battaglie di Przemysl tra il 1914 e il 1915. Metà dei prigionieri finirono in distretti lontani dal fronte, altri furono utilizzati in lavori militari vicino alla linea del fronte, a Kiev o a Odessa. Inizialmente, furono riadattate le costruzioni più diverse come caserme, teatri, circhi, fattorie abbando- nate, a volte in modo improvvisato e precario. A Samara, nella regione del Volga, i prigionieri erano stati messi all’Istituto Stolypine, un ampio edificio ben co- struito, arieggiato e pieno di luce. A Omsk, nella Siberia sudoccidentale, invece, avevano utilizzato un vecchio edificio dell’Esposizione siberiana, molto spazioso, ma difficile da riscaldare. A Novonicolaevsk, sulla riva destra del fiume Ob, i pri-

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gionieri erano stati ricoverati ai mercati coperti della Municipalità, dove tutti i lo- cali erano sono riscaldati da stufe di terracotta, di forma circolare e alte 3 metri, rivestite di lamiera.

A Orenburg, città posta all’entrata della regione delle steppe, il campo di concen- tramento fu costituito a circa tre chilometri dalla città al Ménovoï Dvor (Corte degli scambi), in un immenso caravanserraglio costruito nel Settecento, ai tempi di Caterina II, per alloggiare i carovanieri che facevano lo scambio delle mercan- zie tra la Russia e l’Oriente100.

Quando le strutture non furono più sufficienti, i prigionieri vennero dapprima po- sti sotto le tende, o in baracche chiuse o semiaperte, poi all’avvicinarsi della sta- gione fredda si cominciarono a costruire alloggi per l’inverno, piuttosto rigido in gran parte del paese, come è noto. Le autorità russe facevano costruire i campi in spazi considerevoli, tanto che alcuni occupavano centinaia di ettari di terreno e le baracche erano allineate in lunghe file.

In Siberia l’abbondanza e la prossimità dei boschi aveva fatto sì che il materiale utilizzato maggiormente fosse il legno, ma in altri luoghi venivano impiegati an- che i mattoni secchi. Più spesso in Turkestan, si seguiva un procedimento indi- geno, che consisteva nello stendere sopra dei pali trasversali delle stuoie di canna mescolate con uno spesso strato di argilla. Questa copertura di circa 30 centimetri di spessore, era impermeabile, calda in inverno e fresca d’estate. Le pareti delle baracche, costruite con grandi travi rinforzate agli angoli, erano rivestite all’interno e all’esterno di uno strato di argilla e spesso di argilla battuta, talvolta in mattoni, raramente in legno. Gli interstizi venivano calafati, impermeabilizzati, con la stoppa. Qualche volta la parete interna veniva rivestita con tavole. Il tetto, formato da un doppio rivestimento di pannelli, con all’interno uno strato di sega- tura e trucioli, veniva ricoperto di cartone bitumato, raramente di lamiera.

Un tipo particolare di costruzione è rappresentato dalle zemlianki: baracche co- muni, ma impiantate nel suolo ad una profondità di circa un metro e venti. Le falde, i lembi del tetto, arrivano a circa 60-80 centimetri dal suolo e si accede all’interno per mezzo di una scala di 5-6 gradini. Le zemlianki erano utilizzate dai soldati russi che montavano la guardia lungo le linee ferroviarie, ma per brevi pe- riodi e solo di notte. Infatti, come alloggio dei prigionieri presentavano seri pro-

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blemi, diventando fortemente umide con le piogge e il gelo e dal momento che il sole penetrava difficilmente all’interno, attraverso le piccole finestre, l’umidità e il fango si mantenevano a lungo. Gli stessi gradini della scala di accesso erano spesso coperti di neve e ghiaccio.

Ai prigionieri di guerra le autorità inizialmente non fornirono né il materasso né il pagliericcio dal momento che i soldati russi usavano dormire per terra e il Go- verno russo non intendeva fornire ciò che non era accordato alle proprie truppe. In seguito a proteste e a lamentele furono ottenuti alcuni miglioramenti, come ad esempio la distribuzione della paglia. Nel giro di qualche giorno, però, la paglia si spezzava, si trasformava in polvere che, penetrando nella bocca o nelle narici, di- ventava focolaio di malattie. In alcuni luoghi i prigionieri avevano imparato a in- trecciare la paglia e a fare stuoie sulle quali dormire. Gli uomini dormivano con tutti i vestiti addosso, coloro che avevano il cappotto o il mantello si potevano co- prire, gli altri rimanevano così com’erano poiché il soldato russo non aveva in dotazione una coperta, ma solo il mantello con cui coprirsi la notte101.

In Russia il “sistema del bagno” era riservato agli ospedali e ai lazzaretti, mentre per lavarsi il procedimento impiegato non solamente in tutta l’armata russa, ma anche dalla maggioranza della popolazione, era quello del bagno russo, la bania.