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IV. Il dramma dei prigionieri austriaci all’Asinara

1. I prigionieri di guerra e la normativa

La Commissione per i prigionieri di guerra venne istituita con il decreto luogote- nenziale firmato il 24 giugno 1915, in base all’art. 14 del regolamento annesso alla IVa convenzione dell’Aja. Tale Commissione, che aveva sede a Roma presso il Ministero della Guerra, aveva l’incarico «di funzionare quale ufficio informa- zioni per i prigionieri di guerra, di trattare tutte le questioni che si riferiscono ai prigionieri stessi (alloggiamento, vitto, vigilanza, misure igieniche, istanze, corri- spondenza ecc.) e di concretare i relativi provvedimenti».

La Commissione era presieduta dal ten. Gen. Paolo Spingardi, conte e senatore del Regno; i membri erano il viceammiraglio Vittorio Moreno, magg. Gen. Me- dico Domenico Susca, il barone Camillo Romano Avezzana, ministro plenipoten- ziario di 2° classe, Ferdinando Fassati dei marchesi di Balzola, il direttore della sanità pubblica, il cap. commissario Giovanni Tonini e infine il primo capitano di cavalleria, il conte Alessandro Sigray di San Marzano239. In sostanza si trattava di una commissione presieduta da un generale dell’esercito e composta dai rappre- sentanti dei ministeri più direttamente interessati (Guerra, Marina, Esteri ed In- terni) e, tra le altre funzioni, doveva comunicare alla Croce rossa italiana le infor- mazioni riguardanti i nominativi e lo stato dei prigionieri di guerra nemici. Le no- tizie così ricevute sarebbero state inoltrate all’ufficio internazionale per i prigio- nieri di guerra costituitosi a Ginevra, che poteva in questo modo contattare le fa- miglie240.

Il comitato della Croce rossa italiana, per accordi presi con il ministero della guerra e con il comitato internazionale della Croce rossa di Ginevra, aveva costi- tuito al suo interno una commissione per i prigionieri di guerra presieduta dall’on. Emilio Maraini, deputato al parlamento, successivamente sostituito alla sua morte, il 5 dicembre 1916, dal sen. Giuseppe Frascara. La commissione aveva il compito di «provvedere alle informazioni, corrispondenza e soccorsi fra le famiglie italiane ed i nostri militari fatti prigionieri dal nemico»241.

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Le prime prescrizioni riguardanti la costituzione e amministrazione dei reparti di prigionieri di guerra in Italia, con la formazione delle cedole individuali, in altre parole le norme riguardanti il trattamento dei prigionieri catturati, furono emanate con la circolare n.220 del 9 luglio 1915, e con la circolare n.1392 del 29 agosto 1915 vennero risistemate, con l’aggiunta condensata di tutte le disposizioni mano a mano emanate «nell’intento di meglio coordinarle e, ove occorra, chiarirle e completarle, così da assicurare piena unità d’indirizzo in così importante servizio» 242.

Le norme furono riprese il 30 dicembre 1915, con alcune varianti, infine stampate con ulteriori, ma lievi modifiche dallo Stabilimento ausiliario Longo nel giugno del 1916 e in seguito ristampate ancora nel 1917, con il titolo:

Raccolta delle disposizioni di carattere permanente relative ai prigionieri di guerra e ai disertori del nemico243.

«I prigionieri di guerra» esordiva la circolare «debbono essere trattati con umanità non disgiunta da quella serietà e severità di modi che sono le caratteristiche dei nostri usi militari. Nei campi di concentrazione i prigionieri di guerra sono sotto- messi alle leggi, ai regolamenti e agli ordini vigenti nel R. Esercito nostro. La di- sciplina vi dovrà essere rigidamente osservata, ogni atto di insubordinazione pu- nito con giusto criterio disciplinare, commisurato alla speciale situazione dei pri- gionieri di guerra (art. 8 del Regolamento sopra citato)».

I prigionieri dovevano essere raccolti, dai reparti che li avevano catturati, «in ac- campamenti lontani quanto più è possibile dalla fronte di combattimento, sotto una rigida e severa vigilanza». Una volta stabilito il loro numero complessivo do- vevano essere accompagnati, distinti in ufficiali e truppa, nei campi di concentra- mento provvisori delle «località designate dai comandi di corpo d’armata sotto la sorveglianza delle sezioni dei carabinieri».

I Comandi, sempre quando avevano tempo, dovevano interrogare i prigionieri per cercare di ottenere notizie di interesse militare.

Fra le varie nazionalità della monarchia Austro-ungarica esistevano degli attriti che si ripercuotevano anche tra i prigionieri, pertanto veniva raccomandato di cer- care di evitare che esprimessero «con insulti ed imposizioni - difficilmente avver- titi dal personale incaricato della sorveglianza a causa della diversità di linguaggio

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- e per evitare discussioni di indole politica», i prigionieri dovevano essere ripar- titi in due gruppi distinti: slavi (boemi, polacchi, slovacchi e croati), tedeschi (ti- rolesi, stiriani, bassa e alta Austria) e ungheresi.

Si raccomandava di trattare gli ufficiali con «deferenza e rispetto». A loro spettava di alloggiare in camere, secondo l’età e il grado, arredate con mobili di casermag- gio, e potevano avere a loro disposizione qualche uomo di truppa per il servizio personale.

La truppa doveva essere alloggiata in locali rispondenti a tutte le esigenze dell’igiene e della sicurezza, evitando il sovraffollamento. Per dormire doveva es- sere fornito un pagliericcio possibilmente sollevato da terra con tavole e cavalletti, solo temporaneamente, e in caso di necessità, paglia a terra. A ogni prigioniero venivano consegnate una o più coperte, secondo la stagione, e, per la pulizia per- sonale, un asciugamano e il sapone. La pulizia dei locali spettava agli stessi pri- gionieri e tutti dovevano aver cura della propria pulizia personale con bagni e docce.

Gli ufficiali di uno stesso reparto potevano riunirsi in una mensa comune, tenendo presente che i pasti dovevano essere moderati e non oltrepassare il costo di quattro lire al giorno. Erano ammessi la birra e i vini leggeri da tavola, ma assolutamente vietate le bevande alcoliche. Il servizio di cucina poteva essere fornito dai prigio- nieri stessi, o anche da “trattori” o cuochi appositamente pagati dagli ufficiali, mentre l’arredamento della mensa (stoviglie, utensili, biancheria) doveva essere a cura e spese dell’amministrazione militare.

Agli uomini di truppa spettava la razione alimentare assegnata al soldato italiano in tempo di pace. Era facoltà dei comandanti i reparti prigionieri di modificare la razione, senza alterare però il suo costo, facendo distribuire prevalentemente pa- tate e legumi, largamente in uso nella razione ordinaria del soldato austro-unga- rico. Il rancio doveva essere confezionato dagli stessi prigionieri, scelti a turno fra coloro che ne avevano l’attitudine.

In ogni reparto veniva istituita una cantina nella quale i prigionieri potevano ac- quistare «alimenti e bevande quali caffè, tè, birra, limonata, ecc. ed anche vino in limitata quantità (esclusi però i liquori) sulla base dei prezzi di tariffa affissi nei locali stessi».

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Su tutti i prigionieri di guerra doveva essere esercitata la più «severa vigilanza» per impedire qualsiasi tentativo di evasione, poiché avevano l’obbligo di non eva- dere, ma non poteva essere loro richiesta la parola d’onore. Ai prigionieri era con- sentito di circolare, durante il giorno, nei cortili o piazzali della struttura che li ospitava. Erano previste, ancora, per «ragioni d’igiene», delle «passeggiate mili- tari» nei dintorni dei campi stessi.

Inoltre, veniva espressamente permesso agli ufficiali, «quando in abito civile e speciali condizioni di luogo non vi si oppongano, di uscire talvolta accompagnati da ufficiali nostri, con le necessarie misure di sorveglianza, per acquisti nei ri- spettivi centri di residenza, di giorno però e non mai di sera».

Ufficiali e truppa dovevano vestire in uniforme, e ai primi era «loro permesso di recarsi direttamente presso i negozi della località di residenza per fare acquisti o per ordinare le riparazioni di cui abbisognano». Ogni prigioniero doveva poter di- sporre di alcuni capi di biancheria: «due cravatte di tela, tre camice di tela, un far- setto a maglia di lana, due mutande di tela, due paia di pezzuole da piedi o calze, due fazzoletti». Ai prigionieri venivano distribuiti «berretti giubbe panciotti e pantaloni di panno grigio verde per armi a piedi, senza stellette, senza fregi e senza spalline, oppure durante l’estate tenute di tela color kaki» e a coloro che non possedevano il «soprabito (mantellina o cappotto)», ne veniva consegnato uno. Tutti dovevano avere due paia di scarpe, di cui uno di riposo.

In ogni campo di concentramento doveva essere destinato un locale, fornito di ta- vole, panche e l’occorrente per scrivere, affinché i prigionieri potessero corri- spondere con la propria famiglia come stabilito, ovvero una sola volta alla setti- mana «per cartolina o per lettera non eccedente quattro pagine di formato nor- male». Di tale servizio era competente la Croce rossa italiana alla quale il mini- stero della guerra aveva dato la delega, «previa censura riservata al ministero delle poste e dei telegrafi».

I prigionieri potevano ricevere o spedire denaro per posta, tramite vaglia, ma non era consentito loro tenere in tasca se non il necessario, pertanto al ricevimento do- vevano depositare la somma al comandante del reparto che ne rilasciava una rice- vuta e ne consegnava l’ammontare in acconti successivi. Infine, i prigionieri erano autorizzati a ricevere o spedire «in franchigia ed in esenzione di tasse, pacchi po-

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stali», con i quali potevano farsi mandare anche il tabacco, ma non più di un etto e ogni quindici giorni.

I comandanti di reparto potevano organizzare «corsi di istruzione, scuole per anal- fabeti o anche corsi di lingua italiana ed altri - a seconda delle circostanze» e mettere a disposizione libri, riviste e giornali, richiesti alle biblioteche vicine o in- viati da comitati o associazioni di soccorso. Agli ufficiali, poi, era consentito leg- gere giornali politici e quotidiani, con esclusione però di quelli stranieri.

In conformità dell’art. 6 del regolamento annesso alla Convenzione dell’Aja, i prigionieri di guerra, fatta eccezione degli ufficiali, alfieri, cadetti e aspiranti ca- detti, potevano essere impiegati dai comandanti di reparto solo nei lavori all’interno dei campi di concentramento, e precisamente i lavori di sarto e calzo- laio per i rammendi al corredo di vestiario e le riparazioni delle calzature degli al- tri prigionieri, e quelli di muratore, fabbro e falegname per la sistemazione dei lo- cali da loro occupati.

La paga da corrispondere a questi prigionieri variava in base alla loro capacità, ma non poteva superare «quella di picchetto stabilita per i soldati del R. Esercito», ovvero 5 centesimi l’ora.

La questione degli stipendi a truppa e ufficiali aveva comportato «lunghe e labo- riose pratiche» tra il Governo italiano e quello austro-ungarico. Alla fine, rag- giunto un accordo nel marzo del 1916, veniva stabilito una sorta di stipendio ta- bellare annuo, esente da qualsiasi ritenuta e senza distinzione di anzianità per i singoli gradi:

sottotenenti, alfieri e cadetti 1.800 lire

tenenti 2.200

capitani 3.600

maggiori 4.400

tenenti colonnelli 5.300

colonnelli 7.000

Una speciale categoria, che non aveva riscontro nell’esercito italiano, era formata dagli aspiranti cadetti austro-ungarici: avevano diritto ad alloggio e vitto separato

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dalla truppa e ad uno stipendio annuo di 1.200 lire. Per i sottufficiali, dal feldwe- bel al feuerwerker (dal “ruolo dei marescialli” all’addetto ai rifornimenti) veniva corrisposto il soldo giornaliero di lire 0,50. I sottufficiali avevano, inoltre, la fa- coltà di organizzare, se lo desideravano, una mensa a parte secondo modalità da stabilirsi con il comandante del campo di concentramento. Per le altre categorie di sottufficiali, caporale e caporale maggiore, il soldo giornaliero era di 0,30 lire, mentre per gli appuntati e la truppa 0,15 lire, rispettivamente 109,50 e 54,75 lire annue244.