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3. Analisi delle interviste alle figlie curanti

3.5 Implicazione dei servizi di assistenza e cure a domicilio (SACD) nella presa a

¨ Relazione e comunicazione con gli infermieri dei SACD:

In alcuni casi, le donne intervistate riferiscono di avere sempre avuto una buona relazione con il personale dei SACD:

“...abbiamo un bellissimo rapporto con il [SACD].” (Bruna, 2016);

“Funziona benissimo. Le ragazze vengono, io mi trovo veramente bene.” (Marina, 2016). Sempre secondo Bruna e Marina, c’è una buona comunicazione e scambio col personale del servizio per quanto riguarda il parente assistito:

40 “...abbiamo tanto, tanto, una cosa epistolare...” (Bruna, 2016);

“Mi chiamano, mi dicono com’è la situazione, mi dicono cos’hanno bisogno, sempre.” (Marina, 2016).

Per quanto riguarda l’assistenza all’utente, sembra che si siano sempre rivelati piuttosto presenti e efficienti; ma per quanto riguarda il supporto al famigliare curante?

“...ci poteva essere un contatto un po’ più diretto con la persona che potevo essere io, ma non hanno...non hanno tempo credo. Cioè devi renderti conto che fanno il loro lavoro e lo fanno molto bene, perché non ho mai avuto problemi, mai, però ecco non ci si può aspettare di dire: “sediamoci a tavolino, ne discutiamo, e ok...”.” (Simona, 2016);

“Loro erano...tra virgolette un po’ passivi nei miei confronti, no. Io non ho mai ricevuto telefonate da parte loro, a chiedermi come va, come non va eccetera, si aspettavano sempre che io al limite chiedessi, e allora dopo loro si attivavano.” (Simona, 2016).

Simona attribuisce questa mancanza di contatto diretto anche alla mancanza di tempo del personale. D’altra parte però Marina, ad esempio, riferisce che non c’è ancora stato l’effettivo bisogno di svolgere un colloquio con le infermiere, poiché quest’ultime, a suo avviso, sono molto brave ad anticipare dubbi e bisogni:

[D: ti capita mai di confidarti con loro?] “No, per adesso no. Per adesso no. Anche perché per il momento loro centrano talmente subito bene il problema che io ho già la risposta senza fare la domanda...” (Marina, 2016).

La tendenza per le più, in caso di bisogno di un supporto emotivo, sembra essere quella di fare affidamento sul medico di famiglia o su altri terapisti invece che sul personale infermieristico a domicilio; infatti nella maggior parte dei casi sono stati i medici ad accorgersi per primi dell’esaurimento delle figlie curanti, come riportato in alcuni trafiletti illustrati nei capitoli precedenti.

¨ Desiderio di un’assistenza personalizzata:

Nel campione intervistato, ci sono figlie che hanno avuto più o meno anni di esperienza e di assistenza da parte dei servizi domiciliari; ad esempio Bruna racconta che a suo parere il “vecchio sistema” era migliore, poiché era il responsabile a recarsi al domicilio e a identificare i bisogni dell’utente e dei famigliari per stabilire un’assistenza più personalizzata, che andasse incontro ai desideri della persona e non il contrario:

“Dovrebbero ripristinare il sistema, il vecchio sistema, [...] c’è il responsabile che va a casa e si rende conto di persona di com’è il nuovo utente, in che ambiente vive, il suo carattere, come sono i famigliari, perché io ho ancora avuto la fortuna di avere il signor *** che a quel tempo era sotto ancora al regime, l’ancien regime, che lui veniva a casa, si è reso conto la mia mamma di cosa aveva bisogno, di quante volte alla settimana e di che persona anche andava meglio per lei, ecco.” (Bruna, 2016).

Anche Carla, attingendo dalle sue esperienze passate, si auspicherebbe che i professionisti fossero sempre gli stessi, dato che è importante, a suo avviso, conoscere a fondo le esigenze e le problematiche della persona:

“...una volta venivano più o meno sempre le medesime persone, dall’utente, invece adesso cambiano molto spesso. E questo, io gliel’ho già detto, non lo vedo proprio bene, neanche gli utenti, [...] però ho detto, almeno la persona del [SACD] che viene conosce, sa le esigenze che ha la persona, sa i pregi, sa i difetti e tutto quello che vuoi, conosce la casa, conosce tutto. Sarebbe bello, non so, non dico sempre una persona, ma magari non so, quelle due o tre.” (Carla, 2016).

41 Sempre su questa problematica della molteplicità di persone che intervengono nella cura, Giorgia racconta una sua esperienza negativa che l’ha portata a cambiare ente di assistenza:

“...hanno un’organizzazione pessima, non hanno delle regole ben precise [...] credo che in due o tre settimane avrà visto...trenta persone diverse. [...] spesso erano anche uomini...e anche per lei, anche per l’igiene...cioè, diventa anche una cosa un po’ umiliante.” (Giorgia, 2016), mentre oggi, con la nuova associazione:

“...son sempre quelle due che girano. Ed è anche per noi molto meglio [...] sono più regolari, più professionali” (Giorgia, 2016).

Le signore pongono quindi molto l’accento anche sull’importanza, per loro, di non avere troppi curanti attorno, ma solo pochi che, conoscendo bene il genitore, gli diano la possibilità di uscire di casa, andare al lavoro, ecc. avendo la certezza che il genitore si trovi in buone mani:

“...quando parto da casa e vado a scuola, devo sapere che ci sono delle persone di cui mi posso fidare...” (Bruna, 2016).

¨ Mancanza di informazioni sulla gestione dell’anziano:

Diverse donne hanno riportato la difficoltà ad attivare i primi aiuti e sussidi per mancanza di informazioni; ad esempio Lucia non immaginava l’esistenza dei centri diurni, poiché non aveva mai avuto la necessità di interessarsene prima:

“...perché una non è che si immagina che ci sono questi...io ad esempio non sapevo neanche l’esistenza dei centri diurni se non c’ero dentro con mia mamma...” (Lucia, 2016).

Anche Simona ha avuto difficoltà a reperire informazioni, poiché a suo avviso le informazioni sono tutte sparse, e anche facendo una ricerca in rete spesso se ne ricavano solo informazioni parziali:

“...tu entri e trovi tutto un po’ sparso. Se scrivi anziani e Ticino trovi un po’ di tutto, no. E allora da sola devi capire come muoverti, no, e allora diciamo che le persone della mia età, che sono sui cinquant’anni, non tutte palleggiano il computer, eh.” (Simona);

“...non ho trovato un’informazione unica conglobata. E credo che sarebbe utile. Sempre di più, perché sempre di più l’anziano ha bisogno, e sempre di più bisogna capire: “ma che chance ha l’anziano che ha bisogno?” ok; ci sono le associazioni, poi ha un grado di invalidità, non può più mangiare da solo, eccetera? Ok ci sono i pasti a domicilio...sì, ma io prima di arrivare ai pasti a domicilio ne ho passati, eh, non ricordavo che c’era questa possibilità. Ma non solo, uno mi dice: “guarda, puoi fare arrivare i pasti a domicilio”; eh ma in che modo, scusa? Cioè, come funziona? Ma qual è l’associazione? Sai, se non sai non sai, punto, no. quindi uno ti può dire, ma poi manca il collegamento.” (Simona, 2016).

Per questo problema Simona si è rivolta ad un’associazione specializzata nelle consulenze sull’anziano, che l’ha aiutata a comprendere meglio le necessità e le possibili contromisure da adottare:

“Ho chiamato la [associazione] e ho detto: “sentite, ho due persone, la nonna di una certa età, la mamma che è comunque molto più giovane ma è un disastro...mi date una mano a capire cosa posso fare?” e loro devo dire che sono stati bravissimi, la ragazza che è arrivata da noi, da me, è stata bravissima, ha voluto vedere la situazione e poi mi ha aperto un mondo che non conoscevo, che era del tipo i sussidi che hai a disposizione, che non sapevo che esistevano...” (Simona, 2016).

Molto spesso sembra essere quindi il collegamento teoria-pratica che manca e che può mettere ulteriormente in crisi la figlia curante già sotto pressione per la situazione del genitore che non sta bene.

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