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3. Analisi delle interviste alle figlie curanti

3.3 Rapporto con il resto dei propri famigliari

¨ Dividersi fra i genitori e la propria famiglia:

Quasi tutte le donne intervistate hanno evidenziato la necessità di dividersi tra genitori e famiglia, sforzo che talvolta si tramuta in una vera e propria sfida, in cui la donna cerca di arrivare ovunque, anche sacrificando i propri spazi personali:

“...sai, sei un po’ tra incudine e martello, no [...] cerco di dividermi un po’ tra il tutto” (Marina, 2016);

[D: riesci a dividerti tra di loro?] “Devi. Non hai scelta. Devi. Secondo me, grazia che ci sono queste associazioni...” (Marina, 2016);

“...è giusto dedicarsi ai propri genitori come loro l’hanno fatto dall’inizio che sei nata e poi hai camminato da sola, però diventa difficile quando hai una tua famiglia. Combatti quotidianamente con la tua famiglia che hai e dici: “ma no, non è giusto” e con quello dici: “ma è comunque la mia famiglia, la mamma, il papà...” o quello che è la tua famiglia...sai, sei in mezzo, eh.” (Simona, 2016).

Sono diversi gli elementi che vengono a galla quando la propria vita famigliare viene “sconvolta” dalla malattia o dalla precarietà di un genitore; il termine del “combattere” per tenere assieme tutti i pezzi utilizzato da Simona e ripreso anche da altre figlie ha una connotazione molto forte, fornendo un possibile indizio sulle importanti difficoltà derivanti dalla necessità di gestirsi tra la famiglia d’origine e la propria famiglia:

“...non posso proprio per dire...mandare a gambe all’aria la mia famiglia proprio per la mamma...” (Carla, 2016).

Secondo Simona arriva infatti per tutte i figli il momento nella vita in cui si ritorna inevitabilmente a dedicare una parte della propria vita ai genitori, anche se ciò significa frammentare la propria:

“...dividi quello che una volta era il bel periodo tu con tuo marito, no, quel periodo che va da quando tu esci di casa, al momento in cui i tuoi famigliari si arrangiano sempre da soli, quel momento migliore della tua vita e poi arriva la precarietà dei genitori che devi cominciare a rimettere nella tua vita, a rimetterli, perché io ho fatto un grandissimo periodo in cui li sentivo ogni tanto, sai...ci sentivamo, come stai, come non stai, tutta la settimana...ecco, al momento in cui ti rendi conto che ripiombano all’improvviso nella tua vita, in maniera abbastanza pesante, e devi dire: “ecco, oddio, aspetta un attimo...” devi togliere dalla tua vita famigliare presente, togliere dei pezzettini per ri-dedicarli ai tuoi genitori. Lì non è facile, non è per niente facile... perché dici: “ma come...ma che cavolo sta succedendo?”.” (Simona, 2016).

Anche in questo caso Simona utilizza una scelta di parole significative; il concetto di “ripiombare” nella vita di qualcuno ha un significato forte, che sa di un evento quasi traumatico, dall’impatto pronunciato, che poco ha a che fare con la facoltà di scegliere. Le donne intervistate hanno in media tra i 50 e i 60 anni, età in cui i figli sono già maggiorenni e solitamente più indipendenti, per cui spesso sono i coniugi quelli maggiormente toccati dall’assenza e dalle preoccupazioni della moglie:

“...non riuscivo neanche più a vedermi così spesso con mio marito...cioè nel senso, viviamo sotto lo stesso tetto qui e là ma il parlare...non c’era quasi più dialogo proprio perché non c’era il tempo. Io magari arrivavo e poverino lui si era addormentato, o io andavo e poi lui arrivava...tutte cose di questo genere, figuriamoci se avevo la possibilità...no no, quello che ne ha pagato di più è stato sicuramente anche mio marito, eh. I figli no perché sono fuori casa. Però comprensivo, questo molto.” (Lucia, 2016).

35 La vera sfida sembra consistere nel raggranellare del tempo, nel corso della settimana, da dedicare alla propria vita di coppia:

“Ecco, l’unica cosa che tengo è magari la domenica che la dedico un po’...un po’ di più al marito, ecco.” (Carla, 2016);

“...l’unico momento libero che abbiamo, andiamo a far la spesa al sabato due ore e mezza, non di più.” (Bruna, 2016).

Nonostante le difficoltà, le donne riportano tutte delle esperienze positive col proprio coniuge:

“devo cercare di non fare...allo stesso tempo di non fare mancare troppo all’altra famiglia...cioè a mio marito, alle mie figlie, ecc...però boh, nonostante tutto io sono fortunata, perché ho un marito d’oro e anche le figlie, anche se ogni tanto dicono: “dai mamma, devi prenderti più tempo!”.” (Bruna, 2016).

¨ Collaborazione alle cure da parte dei famigliari:

Le esperienze in merito delle figlie sono abbastanza varie; c’è ad esempio chi ha scelto, come Lucia, di escludere i famigliari dall’assistenza della madre per non caricarli eccessivamente:

“...noi siamo sempre stati una famiglia unita, nel senso, la nostra cultura dice...tutti ci si aiuta. Però alla fine mi sono anche ritrovata da sola per mia volontà. Tra virgolette tra mia volontà perché dicevo, sono già io che sono in ballo e sono stanca, è peccato che stanco anche mio marito o i miei figli o mia sorella [...] E allora alla fine, questa routine, se vuoi, mi è durata tutto il percorso, da sola, no. Ma non perché non mi hanno voluto aiutare, ma proprio perché dici...per difendere anche loro, no, che mi dispiaceva.” (Lucia, 2016);

la signora ritiene inoltre che non vivendo direttamente la situazione, i famigliari non possano capirla fino in fondo:

“Perché il sentir dire, il doverlo spiegare anche ai famigliari...sì lo possono capire, ma non capirai mai veramente se non sei tu che vivi la situazione.” (Lucia, 2016).

Se da una parte c’è chi ha deciso di escludere i famigliari, dall’altra c’è chi ha dovuto lottare per far sì che i parenti le dessero una mano a gestire la situazione:

“...c’è stato un momento che mia mamma era qui in casa anziani a ***, la nonna era a casa da sola, eccetera, che ho fatto una riunione di famiglia, ho indetto una riunione di famiglia, perché ho detto se non lo facciamo...questo tramite il mio compagno...però ho detto, se non lo facciamo tutti stanno a guardare, chi corre sono solo io, e fra un po’ mi esaurisco.” (Simona,

2016).

Nel caso di Simona e Lucia, in particolare, è stato l’aiuto da parte dei fratelli che è venuto a mancare:

“...come spesso succede nelle famiglie, se ci sono dei fratelli, uno corre più dell’altro, devo essere sincera, perché alla fine questo è quello che è successo anche a me, nel senso che lui era un po’ la parte passiva, quindi aspettava sempre che io gli dicessi cosa doveva fare, no.” (Simona, 2016);

“...essendo io la più vicina, perché siamo due sorelle però la sorella abita a ***, essendo la più vicina scappi in continuazione tu.” (Lucia, 2016).

Nonostante tutte le vicissitudini, la costante rimane la comprensione e collaborazione dimostrata da parte dei rispettivi mariti. Simona del compagno dice:

“...ho avuto un compagno che ha capito oltremisura...non è che mi ha dato una mano, mi ha dato cento mani. Presentissimo e questo è importante perché lui vedeva che a un certo punto io non arrivavo più da nessuna parte, ero stanchissima e mi ha aiutato lui, eh.” (Simona, 2016).

36 Sono spesso anche i figli, seppur giovani, a essere un grande aiuto per la figlia curante; ad esempio le figlie di Bruna rappresentano un aiuto molto prezioso, sia dal punto di vista della gestione burocratica che pratica:

“...AVS, AI, IPG, questo quello e tutte queste cose è la figlia maggiore che me le fa. Mentre la [figlia], lei invece fa il pratico. Se io una volta dovessi aver bisogno di cambiare il pannolone, non ci sono…attaccare il nutrimento son capaci tutti e due...” (Bruna, 2016).

Nel caso di Marina c’è addirittura la figlia di dieci anni che contribuisce alle cure, a modo suo:

“...la piccola [figlia] fa la maestrina quando va da loro, dorme il sabato magari da loro, la domenica sta con loro, perché è sempre stata abituata ad andar là e adesso lei fa la mammina coi nonni. Controlla se prendono le pastiglie e sta lì finché non le prendono...” (Marina, 2016). La tendenza quindi, da parte della famiglia più stretta intesa come coniuge e figli, è quella di collaborare in modo importante al sostegno della figlia curante ma anche di offrire il proprio aiuto in ambito pratico. D’altra parte, tutte le donne intervistate che hanno un fratello o una sorella, hanno rilevato un minore aiuto da parte loro, per un motivo o per l’altro. Sembra quindi che la risorsa più consistente per queste donne sia la propria famiglia, piuttosto che quella di provenienza.

¨ Allacciamento alla cultura d’origine e tradizione delle cure inter-generazionali:

Metà delle donne intervistate hanno riferito di aver già vissuto l’esperienza della cura in famiglia e che si tratterebbe quindi di un’eredità intergenerazionale:

“...a fianco c’erano i miei nonni, i genitori di mia mamma. E lei si è sempre occupata di loro. Noi abbiamo sempre vissuto con i nonni in pratica, no, e c’è sempre stata questa cosa che era una cosa naturale occuparsi delle persone più anziane. Chiaramente io non pretendo che perché mi sono occupata di mia mamma, che le mie figlie si dovranno occupare di me” (Bruna, 2016); “La mamma accudiva anche i suoceri, i genitori di mio papà. La mamma quando aveva bisogno il mio papà, l’ha curato. Io ho sempre visto aiutarsi in famiglia. E quindi dico, i nostri genitori non scampano in eterno, quindi aiutiamoli adesso noi.” (Carla, 2016).

Per alcuni di loro appare quindi come un atto naturale occuparsi dei propri genitori anziani; come visto nei capitoli precedenti, ciò può essere un fattore determinante nella decisione di presa in carico del parente.