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La riflessione sul linguaggio sviluppatasi nell'ambiente rinascimentale di fine Quattrocento fu fertile terreno di incontro tra la tradizione neoplatonica ed ermetica, che abbiamo visto in parte nel capitolo precedente, e quella ebraica mistica e cabalistica. È noto che questo secondo apporto abbia caratterizzato l'opera di Giovanni Pico della Mirandola ma, come vedremo tra breve, l'esperienza del conte non rappresenta un caso unico e l'apporto di Ficino non è marginale.

Nella sezione successiva, dedicata nello specifico della creazione dell'antropoide in relazione al linguaggio, vedremo meglio quale sia stata l'influenza del Sefer Yeṣirah in ambito rinascimentale. Basti per adesso ricordare che grazie agli studi di Bacchelli è stato possibile ricondurre una versione manoscritta di questo testo al circolo di Pier Leone da Spoleto e dunque a Ficino.

Per quanto riguarda le fonti il mio discorso mira qui a sottolineare l'affinità di temi che lega Ficino e l'ambiente fiorentino alla cultura ebraica, affinità che ha consentito l'assimilazione di contenuti di mistica del linguaggio ebraica, possibile in particolar modo grazie alla rielaborazione di temi e correnti preesistenti operata da intellettuali ebrei vicini ai circoli rinascimentali toscani. Yohanan Alemanno, Flavio Mitridate ed Elia del Medigo veicolarono studi e traduzioni importanti e, benché sia nota la loro vicinanza al mirandolese, è lecito supporre dei significativi contatti con Ficino, in qualche caso ipotizzabili persino come precedenti.

nell'affinità di temi e citazioni fino ad ora ricondotte prevalentemente alla tradizione ermetica ed orfica. L'influenza coinvolge ad esempio passaggi relativi alla creazione delle statue così come quelli relativi al ruolo di suono, musica e danza, lungi dunque dal riguardare soltanto i nomi divini e il riferimento al tetragramma. Il lavoro di riscoperta delle fonti orientali ed ebraiche condotto negli ultimi anni da studiosi come Bacchelli, Bartolucci, Idel, Lelli e Toussaint ha permesso una visione più completa del quadro rinascimentale. A mio avviso bisogna considerare il testo ficiniano e le teorie che ne sono derivate come momento di confluenza delle due tradizioni, coerentemente con quanto auspicato dalla ricerca della prisca theologia, filone di sapere che si trasmette sin dall'antichità attraverso epoche e sapienti diversi.

Troveremo dunque i riferimenti ai saggi ebrei accanto alla figura di Orfeo e Pitagora per quanto riguarda il canto ed Ermete Trismegisto e la creazione di statue di matrice ermetica accanto alla metodologia creativa del Sefer Yeṣirah. Il filo conduttore di questa tesi è rappresentato dall'utilizzo della lingua, a mio avviso è proprio a questo proposito che si realizza la fusione delle due tradizioni. Questo incontro rappresenta il punto di partenza della speculazione filosofica successiva che porterà alla mnemotecnica di Giordano Bruno. Vedremo attraverso l'analisi dei testi ficiniani i vari elementi di cui si compone l'intreccio neoplatonico-cabalistico e ricomporremo successivamente il quadro a proposito della creazione artificiale. Non solo, come vedremo nell'analisi del De vita coelitus comparanda, vi è corrispondenza tra teoria del linguaggio, suono e fonti ebraiche ma il legame con la teoria dello spiritus mostra la convergenza con la

tradizione neoplatonica.

Prima di passare all'analisi dei testi è importante sottolineare la presenza della riflessione sulla natura aerea e sonora della rivelazione nella tradizione ebraica. Riprendendo Scholem ricordiamo che nella tradizione mistica ebraica il nome è parte del linguaggio di Dio, medium della creazione che si rivela un evento acustico più che visivo. Il linguaggio costituisce l'essenza vivente dell'uomo e il suo utilizzo proprio è prerogativa dell'uomo che, a differenza degli animali, è in grado di padroneggiarlo e farne a sua volta strumento creativo. Ma in che cosa risiede la potenzialità del linguaggio? Esso diventa medium della vita spirituale dell'uomo in quanto manifestazione di Dio tramite il suo carattere simbolico. In questo passaggio, nell'accesso dunque alla dimensione segreta del linguaggio, risiede la possibilità per il saggio di agire, a somiglianza del creatore divino, tramite la parola e la combinazione delle lettere. Le lettere della lingua divina, o meglio le consonanti, sono gli elementi dalla cui combinazione scaturisce la creazione; investite di un potere straordinario esse sono alla base della forza creatrice dei nomi36. Suono e linguaggio si intrecciano poi al concetto di verità,

così come la verità rappresentava la chiave nell'analisi platonica condotta nel Cratilo. Vedremo come autori quali Ficino, Ludovico Lazzarelli e Giordano Bruno proposero, in maniera diversa, di incanalare questo potere.

La forza creatrice del linguaggio poggia sulla concezione di un cosmo dove l'elemento linguistico è contenuto nel soffio divino37. Secondo la tradizione

ebraica ci sarebbe infatti una caratteristica strutturale propria della lingua che le

36 G.SCHOLEM, Il nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, traduzione di A.FABRIS Adelphi, Milano 1998, p. 27.

permette di comunicare qualcosa di non-comunicabile. Come abbiamo visto nel capitolo precedente la dottrina dello spiritus che Ficino eredita da Plotino contiene molti elementi affini a questa visione.

Il linguaggio era infatti indicato come prerogativa umana, mezzo creativo e, soprattutto, strumento conoscitivo. La sua potenzialità si bassa sul legame tra microcosmo e macrocosmo e sulla somiglianza tra procedimento creativo divino e ambito terreno all'interno di un cosmo armonico e simpatetico. Detto questo a proposito del linguaggio in generale, per quanto riguarda i nomi divini essi sono custodi di un potere miracoloso e pertanto non sono significanti dell'ambito umano bensì di quello divino. Come abbiamo visto Ficino utilizza le implicazioni di questo ragionamento per dimostrare la divinità di Cristo.

È emerso dal lavoro recente degli studiosi citati sopra che il filosofo fiorentino ha avuto accesso anche a testi che non appartengono al repertorio della controversistica cristiana e a traduzioni diverse da quelle che utilizzò Giovanni Pico della Mirandola. Vediamo ora come si articola la riflessione nel De Christiana religione, nel De vita e nei Commentaria platonici (in particolare nell' Argumentum in Cratylum).

Nel trentesimo capitolo del De Christiana religione la riflessione sul tetragramma viene condotta in relazione alla natura dei miracoli compiuti da Cristo. Ficino utilizza la capacità di Cristo di pronunciare il tetragramma e compiere miracoli tramite esso come evidenza della sua natura divina. Il discorso si inserisce all'interno della polemica contro gli scritti anti-cristiani Tholedot Yeshu e, sebbene faccia riferimento al Contra Iudaeos di Niccolò da Lyra, presenta, a proposito

della pronuncia e del significato del tetragramma l'influenza di un'altra fonte. Apriamo una parentesi per ricordare la prima testimonianza di interesse del Ficino per i nomina divina. Elaborata prima del 1464, la traduzione dell'Expositio rerum mathematicarum di Teone di Smirne presentava una lista di nomi divini composti di quattro lettere rintracciabili in diversi popoli. Come sottolineato da Toussaint e Bartolucci, Ficino si concentrava sulla corrispondenza tra le quattro lettere e la struttura quadripartita degli elementi naturali, così come dei periodi dell'anno, degli umori e dell'anima38. La tradizione ebraica viene considerata più volte da

Ficino, seppur con ruoli diversi: obiettivo polemico nel De Christiana religione, auctoritas nella Theologia Platonica e filo conduttore nell'Argumentum in Cratylum. Nel De Christiana religione compare una nuova trascrizione del tetragramma rispetto alla sua prima apparizione, ciò potrebbe indicare secondo Bartolucci l'approfondirsi di un interesse non più legato esclusivamente a fonti controversistiche. È noto dal lavoro di Cesare Vasoli che le citazioni del De christiana religione, di cui ricordiamo apparve una prima edizione in volgare nel 1476 e una in latino due anni dopo, siano state tratte dalle opere di Niccolò de Lyra e Paolo di Burgos. È tuttavia emersa un'ulteriore fonte, probabilmente orale, riconducibile a Flavio Mitridate e Yohanan Alemanno. Bartolucci, dopo aver sottolineato il legame della riflessione sul nome di Dio con la tradizione cabalistica, nota che il significato attribuito al tetragramma nel trentesimo capitolo del De Christiana religione, corrispondente a “fu, è e sarà”, è vicino a quanto appare nella “Biblioteca Cabalistica” tradotta per Pico della Mirandola da

Mitridate39. Questa interpretazione, assente nella letteratura precedente, è legata ad

una fonte orale che il Bartolucci riconosce in Alemanno. L'attribuzione viene portata avanti anche in relazione all'influenza che questo intellettuale ebreo ebbe su altre opere del Ficino: vedremo tra poco il legame con le fonti non comuni apparse quattordici anni dopo nel De vita coelitus comparanda40.

Nel 1484 Ficino modificò il testo del De Christiana religione aggiungendo due brani a proposito dell'incarnazione di Cristo, non a caso legati a fonti ebraiche non riconducibili a Niccolò de Lyra e Paolo di Burgos. La fonte viene individuata in questo caso nel testo del Seder 'Olam nella traduzione di Mitridate e avvalorerebbe l'ipotesi di un contatto diretto tra Ficino e Mitridate addirittura antecedente il sodalizio con Pico41. Rimane tuttavia difficile trovare testimonianza

di un incontro riconducibile al 1481-83 in quanto le tre prove degli incontri tra i due fanno riferimento alla metà degli anni '80. Ci si domanda dunque come sia avvenuto il contatto tra i due e se questo sia in qualche modo legato alle traduzioni che Mitridate effettuò per Sisto IV e alla presenza di Pier Leone da Spoleto che, essendosi trovato a Roma fino al 1482, potrebbe aver fatto, oralmente, da tramite. Al di là della veridicità o meno di tale ipotesi, è importante sottolineare come l'ambiente fiorentino fosse terreno fertile per le speculazioni cabalistiche prima dell'intervento di Pico. Questo porta, come detto, ad anticipare rispetto al 1486 l'interesse di Ficino per l' ebraismo e l'Islam e dunque la sua ricerca delle fonti originali allo scopo di arricchire la tradizione della prisca

39 G. BARTOLUCCI, Per una fonte cabalistica del De Christiana religione: Marsilio Ficino e il

nome di Dio, «Accademia» 2004, p. 44.

40 M. FICINO, De vita, III, 26; si veda anche BARTOLUCCI, Per una fonte cabalistica, cit., p. 45 e S. TOUSSAINT, op.cit.

theologia42. L'indagine del medico fiorentino scorre dunque seguendo il filo della

riflessione sul linguaggio e in particolare sul potere della parola. I passaggi a proposito del tetragramma rappresentano una chiave importante nel riconoscimento delle fonti ebraiche, tuttavia il tema dei nomina divina, presente in maniera ridotta nel De Christiana religione, vede una trattazione più completa nell'Argumentum in Cratylum.

Questo testo, pubblicato nel 1484 insieme alla traduzione dell'Opera Omnia platonica, rappresenta un significativo incontro tra tradizione cabalistica di stampo estatico abulafiano ed eredità platonica. Come abbiamo visto nel capitolo precedente Ficino parla dell'efficacia della lingua ebraica e della potenza dei nomi; poiché il potere risiede nella loro stessa struttura è necessario, per mantenerne l'efficacia, utilizzare la lingua originaria ebraica. L''intraducibilità che ne deriva è stata oggetto di discussione e nella riflessione cinquecentesca, Bruno compreso, l'alfabeto ebraico apparirà accanto a quello cristiano.

Poiché ad una determinata sequenza o combinazione di lettere corrispondono un significato ed una configurazione di elementi ben precisa cambiarne la disposizione equivale a modificare la conformazione del creato.

È interessante l'affinità con la tradizionale vicenda del Golem che prende o perde vita a seconda della combinazione di lettere presente sulla sua fronte. Ancora una volta entrambe le riflessioni poggiano sul presupposto di una corrispondenza tra elementi linguistici e fisici.

XIII secolo, la cui influenza sarebbe presente nella teoria del Ficino43.

Il cabalista spagnolo ritiene che la rivelazione divina sia avvenuta in due stadi, scritto e orale, e che questa seconda fase sia superiore, costituita dai nomi divini e comunicata da mente a mente. Intelletto e immaginazione avrebbero inoltre agito sulla natura della Torah, la cui versione orale corrisponde all'intelletto mentre quella scritta unisce intelletto ed immaginazione. Il fine ultimo della Cabala è per Abulafia il conseguimento di un'esperienza profetica estatica rendendo lo studio dei nomi uno strumento per raggiungere uno stato di conoscenza superiore. Il linguaggio rappresenterebbe dunque un ambito contemplativo superiore alla natura e una tecnica per conseguire un'esperienza mistica dotata di caratteri noetici44. Secondo Bartolucci per Ficino il tetragramma ha funzione parzialmente

diversa, egli infatti andrebbe verso una Cabala teurgico-magica più che verso quella estatica45.

La considerazione dell'importanza di tale pratica nel percorso di conoscenza dell'uomo, che si articola anche attraverso immaginazione e suono, indica a mio avviso una duplice valenza del tema. Lo studio dei nomi si accompagna alla recitazione di essi, ed eventualmente al movimento del corpo. Non si tratta di un intento esclusivamente magico-teurgico bensì lo studio delle potenzialità del linguaggio fa parte del percorso di risalita che Ficino apre all'uomo. A differenza di quanto vedremo in Bruno Ficino prospetta una risalita alla divinità, che risulta dunque raggiungibile. Questo approccio si rivela fondamentale nella conciliazione

43 G. BARTOLUCCI, Marsilio Ficino, Yohanan Alemanno e la “scientia divinum nominum”, cit., p. 144 e F. BACCHELLI, op.cit., p. 45.

con la fede tenendo presente la nota ambivalenza del medico fiorentino, intimamente diviso tra aspetti magici e ortodossia cristiana.

Come accade spesso a proposito di Marsilio Ficino l'aspetto magico-teurgico e quello conoscitivo convivono. Questa seconda prospettiva, aperta anche dalla riflessione plotiniana, venne ripresa e portata avanti attraverso lo studio delle potenzialità del linguaggio. La sua applicazione nel canto riflette ad esempio la medesima duplicità: pratica di magia naturale intenta ad attirare gli influssi celesti, in maniera più o meno lecita, e strumento fondamentale della risalita verso la vera conoscenza. Per quanto riguarda l'aspetto teurgico, l'attribuzione da parte di Ficino di un potere magico alle lettere, che vengono considerate come talismani, può essere ricondotta all'influenza di Alemanno. Nei suoi appunti, i Liqqutim, l'intellettuale ebreo si occupò di temi affini riconoscendo che le lettere sono

Le forme e i sigilli [fatti per] raccogliere l'emanazione celeste e spirituale allo stesso modo in cui i sigilli raccolgono le emanazioni delle stelle 46.

La presenza del tema dell'emanazione celeste in relazione ai sigilli all'interno dell'opera plotiniana è nota, non bisogna tuttavia assumere una posizione semplicistica poiché, come detto in precedenza, filone ebraico e filone neoplatonico si intrecciano nell'opera di Ficino. Per quanto a mio avviso rimangano più evidenti i debiti verso autori quali Platone e Plotino, senza tralasciare la tradizione ermetica, è innegabile che l'attenzione per il tema del linguaggio così come per il suono e la presenza di fonti rare in proposito siano indicazione dell'interesse autentico di Ficino per la cultura ebraica e in particolare la riflessione mistica sul linguaggio, smentendo così ogni etichetta di semplice

moda cabalistica. In particolare i rituali legati al suono, alla parola e alla danza sono stati ricondotti principalmente a fonti orfiche e neoplatoniche e sono state tralasciate le possibili influenze orientali ed ebraiche.

In un noto articolo Stéphane Toussaint sottolinea l'origine orientale di quanto emerge a proposito della danza planetaria in relazione alla purificazione dello spiritus nel De vita coelitus comparanda. Il legame tra movimento circolare ed equilibrio dello spiritus non sarebbe legato ai rituali sufici bensì sarebbe dovuto all'influenza di Ibn Tufayl, celato sotto l'indicazione ficiniana di Abubacher. Il testo dell' Hayy ibn Yaqzan di Ibn Tufayl aveva destato l'interesse di Alemanno e Giovanni Pico della Mirandola proprio alla fine degli anni ottanta del Quattrocento, in contemporanea dunque con la stesura del De vita coelitus comparanda terminato del 1489. in questo testo si racconta la storia di un giovane che vive, tramite una danza planetaria, un'esperienza mistica che lo porta ad un'illuminazione e ad una conoscenza superiore47. Il tema del movimento

circolare dell'anima appare in diversi passaggi del De vita coelitus comparanda:

a) All'interno del quarto capitolo Ficino, facendo riferimento a Platone, Plotino e Avicenna, afferma che lo spirito umano è in grado di assorbire lo spirito del mondo. La possibilità del contatto è garantita dalla struttura del mondo, che vive e respira, e dalla natura simile dei due spiriti. Quello umano è tuttavia contaminato da influssi negativi e sozzure e il movimento circolare si rivela fondamentale nel processo di purificazione, lo spirito infatti:

Diventerà infine celeste, se davanti al moto orbitale dell'animo e del corpo compirà anch'esso delle orbite48.

b) Nel sesto capitolo Ficino spiega che Giove è causa di vita in quanto sotto di esso il cuore riceve lo spirito vitale ed aiuta nella filosofia così come nella ricerca della verità e nella religione. Il suo influsso è quello speciale, dedicato all'uomo e non comune influsso su tutte le cose. In chiusura di capitolo il filosofo si esprime infine sul comportamento da assumere per evitare i danni arrecati da movimenti esterni negativi ed entrare in contatto con le forze celesti imitando il movimento dei pianeti:

E fa in modo di essere sempre in movimento secondo le tue forze, evitando soltanto la stanchezza, per opporre il tuo movimento ai movimenti esterni che potrebbero danneggiarti di nascosto, e per imitare secondo le tue forze ciò che avviene in cielo. Che se tu potessi percorrere con i tuoi movimenti spazi più ampi, in questo modo imiteresti di più il cielo, e potresti entrare in contatto con più forze celesti diffuse un po' ovunque 49.

c) Nell'undicesimo capitolo l'indicazione sul movimento circolare appare, in aggiunta ad alimentazione, odori e colori, tra le cure da dedicare allo spirito, ancora una volta strumento vitale di natura gioviale. È interessante all'interno del nostro discorso notare come per l'autore la vita abbia vigore maggiore nei corpi più sottili in quanto più vicini all'anima proprio per l'assonanza con aria suono e parola.

d) Nel diciannovesimo capitolo emerge il il legame tra l'orologio zodiacale di Lorenzo della Volpaia e la purificazione dello spiritus:

Sarà invero utile (al seguace degli astrologi) guardare una sfera dotata dei suoi movimenti, come quella costruita una volta da Archimede e poco tempo fa da un nostro concittadino di Firenze, di nome Lorenzo (della Volpaia). E non solo guardarla ma considerarla nel proprio animo […] Dunque quando avrai capito che né nulla è più ordinato del cielo, né alcuna cosa può essere pensata di più equilibrata di Giove, spererai di ottenere i benefici del cielo o di Giove, se renderai te stesso ordinatissimo ed equilibratissimo nei pensieri, negli affetti, nelle azioni, nel modo di vivere50.

Questo è un passaggio fondamentale: si parla di un'esperienza interiore, individuale, di ricerca dell'equilibrio da conseguirsi con l'aiuto di un supporto meccanico artificiale. Una sorta di automata che metta in relazione elementi terreni e celesti facendo riferimento ai segni zodiacali ed ai pianeti nonché al moto circolare. Non a caso questo dispositivo è stato accostato alla figura della ruota che, come vedremo, verrà utilizzata anche dalla mnemotecnica bruniana.

e) Nel ventitreesimo capitolo l'efficacia dei movimenti viene infine ricondotta alla generazione stessa dell'essere umano, Ficino afferma infatti:

Esercita il tuo corpo con movimenti frequenti, compi dei giri a somiglianza dei corpi celesti, con movimenti e giri di questo genere infatti sei stato generato e con movimenti e giri analoghi ti conserverai51.

È interessante notare come Toussaint riconduca all'influenza di Ibn Tufayl un tema spesso ricondotto esclusivamente alla tradizione orfica. A mio avviso non bisogna tuttavia sottovalutare l'influenza che autori come Platone e Plotino hanno avuto proprio a proposito dei movimenti circolari. Il tema del movimento circolare è forte nel Timeo e sarebbe riduttivo attribuirne la presenza esclusivamente all'influenza delle fonti orientali52.

50 Ivi III, 19. A proposito di questo passaggio si veda anche S. TOUSSAINT, op.cit., p. 22. 51 De vita III, 23.

Come affermato in precedenza, è probabile una fusione dei due filoni nell'opera ficiniana, tendenza a cui si mescola possibilmente anche il filone cabalistico a proposito degli antropoidi astrologici che compare nell'ultimo capitolo del De vita e che vedremo in seguito. Si fa dunque esplicito il legame con la tradizione di riflessione sul Golem e la concreta applicazione teurgica di principi quali